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Svolgimento del processo
1.1. La Corte d’appello di Genova, con decreto dell’11.2.2022, ha respinto il reclamo proposto dall’Agenzia delle Entrate contro il decreto del Tribunale di Genova che, rigettando la sua opposizione, aveva omologato il concordato preventivo proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione.
1.2. La corte del merito ha ritenuto, al pari del primo giudice, che, l’art. 180 comma 4 l. fall. (anche nel testo applicabile ratione temporis, introdotto dal d.l. n. 125/2020 e anteriore alle modifiche apportatevi dal d.l. 125/2021) consenta al tribunale di intervenire, omologando il concordato preventivo, non solo se l’Amministrazione Finanziaria e gli Enti Previdenziali non si siano espressi in merito al piano concordatario, ma anche quando - come nel caso in esame - abbiano espresso voto negativo; ha inoltre affermato che, ai fini dell’omologazione del concordato preventivo, la proposizione dell’opposizione estende il sindacato del tribunale, in presenza delle altre condizioni previste dalla legge, unicamente alla convenienza della proposta concordataria, da valutarsi nel confronto tra il soddisfacimento raggiungibile dai creditori con il concordato (prospettato, nella specie, nella misura del 40% dei crediti privilegiati e del 5,50% di quelli chirografari) rispetto all’alternativa liquidatoria in sede fallimentare (che avrebbe assicurato all’Agenzia solo l’8% delle somme dovute), ma non anche, come invece preteso dalla reclamante, alla fattibilità economica del piano.
1.3. L’Agenzia delle Entrate, con ricorso notificato il 14/3/2022, illustrato da memoria, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto.
1.4. (omissis) s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, con il quale ha, tra l’altro, eccepito l’inammissibilità del ricorso per il mancato deposito dei “fascicoli di parte” in violazione dell’art. 369 c.p.c..
Motivi della decisione
2.1. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 180 l.fall., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 1- bis, del d.l. n. 125/2020, convertito dalla l. n. 159/2020, contesta che il concordato possa essere omologato, ai sensi della norma in esame, oltre che nel caso in cui l’amministrazione finanziaria non si sia espressa in merito al piano concordatario, anche quando abbia espresso voto negativo. Deduce in contrario, sulla scorta di varie argomentazioni, che la disposizione in esame va interpretata alla stregua del suo dato letterale (che la renderebbe applicabile solo nell’ipotesi di inerzia, ovvero di astensione dal voto, dell’amministrazione), sottolineandone altresì la divergenza con quanto previsto dall’art. 182 bis 4° comma l. fall., come modificato dal medesimo d.l., in materia di accordi di ristrutturazione, là dove consente al giudice di approvare l’accordo, se ritenuto maggiormente conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, anche in caso di “mancata adesione” dell’amministrazione finanziaria e degli enti pubblici di previdenza e assistenza.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 180, comma 6°, l.fall., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 125/2020, convertito dalla l. n. 159/2020, sostiene in subordine che, una volta ritenuto che il cd. cram down fiscale possa operare anche nelle ipotesi di voto contrario ritualmente espresso dall’Amministrazione Finanziaria, il giudizio di “convenienza” rimesso al tribunale in sede di omologa deve necessariamente concernere anche la fattibilità del piano proposto, in considerazione della funzione surrogatoria in tal modo assunta dal giudice.
2.3. Va in primo luogo respinta l’eccezione svolta in rito dalla controricorrente.
2.4. Il mancato deposito del fascicolo di parte, infatti, non determina l’inammissibilità del ricorso, il quale è improcedibile, ai sensi dell’art. 369 n. 4 c.p.c., o inammissibile, ai sensi dell’art. 366, 1° comma, n. 6 c.p.c., solo se il ricorrente non abbia, nel primo caso, provveduto al deposito degli “atti processuali” e dei “documenti” sui quali il ricorso si fonda o, nel secondo, se non li abbia specificamente indicati. Nella specie, tuttavia, l’eccezione risulterebbe infondata anche se esaminata sotto questi più limitati profili, dato che il ricorso pone due questioni di carattere esclusivamente giuridico.
2.5. I motivi sono, tuttavia, infondati.
2.6. L’art. 180, comma 4°, l.fall., nel testo, applicabile ratione temporis, successivo alle modifiche apportatevi dall’art. 3, comma 1-bis, lett. a) del d.l. n. 125/2020, convertito dalla l. n. 159/2020 (ma anteriore a quelle introdotte dall’art. 20, comma 1, lett. a), del d.l. n. 118/2021, convertito dalla l. n. 147/2021) prevede(va) che “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria … quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione… è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
2.7. La formulazione letterale della norma, facendo testuale riferimento alla sola ipotesi della “mancanza di voto”, sembrerebbe in effetti deporre per la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui l’omologazione forzata è possibile, in presenza delle residue condizioni previste, soltanto nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia omesso di esprimere il proprio voto (che è, dunque, mancante) e non anche quando, come accaduto nella specie, abbia espresso voto negativo; e la tesi sembrerebbe rafforzata dal raffronto fra la norma in esame e quella contemporaneamente dettata per gli accordi di ristrutturazione dall’art. 182 bis, comma 4°, l.fall., come modificato dallo stesso d.l. n. 125/2020, a mente del quale il tribunale può omologare l’accordo anche “in mancanza di adesione” (i.e.: anche in caso di voto negativo) dell’amministrazione finanziaria “… quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione … è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
2.8. All’interpretazione strettamente letterale va tuttavia senz’altro preferita quella estensiva seguita dalla corte d’appello, la quale (a prescindere dall’insussistenza di possibili ragioni giustificatrici di un regime giuridico differente, nei termini esposti, tra il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione), ha correttamente ritenuto che, poiché la ratio della norma va individuata nell’intento del legislatore di attribuire all’A.G.O. il compito di superare le inerzie e le resistenze mostrate dall’Amministrazione Finanziaria in sede di transazione fiscale, la proposizione “mancanza di voto” (peraltro preceduta dalla congiunzione “anche, che potrebbe essere letta, con valenza rafforzativa, come sinonimo di “persino”) va equiparata a quella di “mancanza di adesione”.
2.9. Conforta tale tesi in primo luogo il fatto che già col d.l. n. 118/2021, convertito dalla l. n. 147/2021, il legislatore (presumibilmente accortosi dei dubbi interpretativi suscitati dalle due diverse locuzioni utilizzate negli artt. 180, 4° comma, e 182 bis, 4° comma l.fall.) ha modificato, nel senso appena detto, il testo della prima norma, la quale, nella sua conseguente versione definitiva, prevede che, come negli accordi di ristrutturazione, così nel concordato preventivo, il tribunale, a fronte della sussistenza delle residue condizioni di legge, dispone l’omologazione “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria”.
2.10. La previsione, d’altro canto, è rimasta ferma anche a seguito dell’entrata in vigore, il 15 luglio 2022, del d.lgs. n. 14/2019 (CCII), i cui artt. 63, comma 2 bis, e 88, comma 2 bis, stabiliscono che il tribunale provvede ad omologare l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo (anche minore: art. 80, comma 3) “anche in mancanza di adesione” da parte dell’amministrazione finanziaria. Ed è noto come le norme del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza siano idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo delle disposizioni della legge fallimentare nel caso, quale quello in esame, in cui ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro (Cass. SU n. 8504 del 2021; conf., Cass. SU n. 21835 del 2022, in motiv.).
2.11. Le norme, nella loro più recente formulazione, dimostrano, pertanto, che il legislatore ha inteso chiaramente consentire l’omologazione forzosa tanto del concordato preventivo, quanto dell’accordo di ristrutturazione, tutte le volte in cui, ferma restando la necessità delle altre condizioni richieste, manchi l’adesione dell’amministrazione finanziaria, vale a dire non solo nel caso in cui l’amministrazione non abbia espresso alcun voto, operando la regola del silenzio-dissenso, ma anche nell’ipotesi, come quella in esame, in cui l’amministrazione abbia espressamente votato in senso contrario alla proposta di concordato o all’accordo.
2.12. Argomento ancor più convincente dell’infondatezza della tesi della ricorrente è costituito dal fatto che un’interpretazione restrittiva del disposto del 4° comma dell’art. 180 cit. introdotto dal d.l. 125/2020 e non ancora modificato dal d.l. 118/202, che, in ragione della sua formulazione testuale, ne consentisse l’applicazione solo al caso dell’astensione dell’amministrazione finanziaria da qualunque manifestazione di voto, non troverebbe alcuna giustificazione sul piano sistematico, posto che, nella disciplina attuale del concordato preventivo, l’astensione, il silenzio o il mancato voto del creditore sono sempre parificati, come emerge dagli artt. 177 e 178 l.fall., nel calcolo delle maggioranze, al voto contrario (a differenza di quanto era previsto dall’art. 178, comma 4°, l.fall., nel testo introdotto dal d.l. n. 83/2012 e anteriore alla sua sostituzione ad opera del d.l. n. 83/2015).
2.13. D’altra parte, se la ratio dell’adesione forzata dei creditori tributari e contributivi, quale emerge dalle norme prima esposte, è quella di superare le “ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate” da parte dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti, pregiudizialmente contrari a qualsiasi soluzione che comporti previsione d’incassi minori rispetto al valore nominale del credito, pur se non funzionali al buon funzionamento della pubblica amministrazione e spesso causa di pregiudizio per lo stesso erario, risulta, allora, evidente che, a parità delle residue condizioni, non ha alcun senso distinguere tra l’ipotesi in cui l’amministrazione resti inerte e quella in cui assuma una posizione esplicitamente contraria e che, in definitiva, il presupposto della norma risiede, tanto nella versione previgente, quanto in quella successiva, nell’assenza di adesione, indipendentemente dal fatto che questa dipenda, o meno, dalla mera inerzia dell’amministrazione ovvero dall’espressione del suo voto contrario.
2.14. Va escluso infine che tale soluzione, nel consentire al giudice l’omologazione forzata del concordato preventivo non solo nell’ipotesi di silenzio dell’amministrazione ma anche in quella di suo esplicito rigetto della proposta, risulti “eversiva”, come pretende l’Agenzia ricorrente, del principio costituzionale della separazione dei poteri ovvero lesiva della esclusività della giurisdizione tributaria: il giudice ordinario, infatti, non giudica sulla fondatezza della pretesa tributaria né si sostituisce all’amministrazione nell’esprimere il proprio consenso, ma si limita (in coerenza con il preminente “interesse concorsuale” alla conservazione del bene impresa e della relativa azienda rispetto a quello “fiscale”, pur esistente ma in certa misura recessivo, della riscossione dei tributi e della loro attuazione coattiva: Cass. SU n. 8504 del 2021, in motiv.) ad estendere alla stessa gli effetti della proposta (come consente il par. 64 dei considerando della Direttiva UE n. 1023/2019) per cui, com’è stato giustamente affermato in dottrina, “sarebbe distonico prevedere la possibilità` di esercizio di questo potere solo nell’ipotesi di silenzio dell’amministrazione e non anche di esplicito rigetto”.
2.15. Va in definitiva enunciato il seguente principio di diritto: l’art. 180, comma 4°, l.fall., anche nel testo introdotto dal d.l.. n. 125/2020, convertito dalla l. n. 159/2020 ma non ancora modificato dal d.l. n. 118/2021, convertito con l. n. 147/2021, trova applicazione sia nel caso in cui l’amministrazione finanziaria non abbia espresso alcuna voto sulla proposta concordataria sia nel caso in cui abbia manifestato voto contrario all’approvazione della stessa; l’adesione coattiva può (anzi deve) essere, di conseguenza pronunciata dal giudice, in presenza delle residue condizioni, tutte le volte in cui, tanto nel concordato preventivo, quanto negli accordi di ristrutturazione, l’amministrazione, rimanendo inerte o votando contro, non abbia prestato adesione alla soddisfazione ivi prospettata.
2.16. Quanto al secondo motivo, questa Corte non può che ribadire che non v’è spazio per una valutazione da parte del tribunale della fattibilità economica della proposta(cfr. Cass. n. 23882 del 2016; Cass. n. 17103 del 2023) in quanto, anche nel caso in cui il giudice abbia accertato la maggior convenienza della proposta rispetto all’ “alternativa liquidatoria”, disponendo l’adesione coattiva dell’ amministrazione, la proposta deve comunque ritenersi approvata dalla maggioranza dei creditori.
3. Il ricorso dev’essere, quindi, respinto.
4. La novità della questione posta impone l’integrale compensazione tra le parte delle spese del presente giudizio.
5. La Corte dà atto dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.