Svolgimento del processo
1.Con sentenza in data 6 giugno 2023, la Corte d'appello di Catania, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione n. 4892/2020, in riforma della sentenza del Tribunale di Catania, ha assolto R.G. dal reato a lui ascritto ed ha confermato la sentenza di condanna, alla pena sospesa di mesi cinque di reclusione, in relazione al reato di cui agli artt. 113 e 589 cod.pen., nei confronti di S.R. per avere cagionato il decesso del nato di R.L., perché non valutava correttamente i segni clinici e lo stato della paziente, già cesarizzata due volte con algie pelviche, omettendo di predisporre ed eseguire in maniera costante il controllo cardiologico e il monitoraggio della ripresa del travaglio, dei suoi effetti sulla pregressa cicatrice isterotomia e con la mancata tempestiva I diagnosi di pericolo di rottura della parete uterina, rottura poi avvenuta con conseguente choc emorragico e lipotimia successiva, grave sofferenza ipossiceica e danno del nato, così che ne determinava il decesso, nella notte tra il 28 e 29 luglio 2009, ed ha confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza del Tribunale.
2.Nel ripercorrere brevemente la vicenda processuale, deve darsi ;atto che il
il Tribunale di Catania, con sentenza in data 28/11/2016, aveva condannato S.R. e R.G., quali medici di turno dell'Ospedale Santo Bambino di Catania, per avere cagionato, in concorso colposo, il decesso, del nato di R.L..
La Corte d'appello di Catania, investita dell'impugnazione aveva confermato, per quanto qui rileva, la sentenza del Tribunale di Catania in punto affermazione della responsabilità penale per il reato di omicidio colposo in cooperazione e colposa tra loro.
3.La sentenza di condanna è stata oggetto di annullamento ;da arte della
Corte di cassazione con sentenza n. 4892 del 2020, che ne ha censurato l'iter logico argomentativo, con rinvio per un nuovo giudizio evidenziando profilo di contraddittorietà delle due sentenze di merito, lacunosità della motivazione ed anche carenza di motivazione sui seguenti punti:
In particolare, la sentenza di annullamento aveva dapprima evidenziato che occorreva focalizzare l'attenzione sull'addebito colposo di cui all'imputazione.
In relazione al reato che ci occupa, di cui al capo B), a S.R. e R.G., medici di turno presso il reparto di ginecologia ed ostetricia dell'ospedale Santo Bambino di Catania, come si ricordava in premessa, era contestato, durante lanotte tra il 28 ed il 29 settembre 2009, di non avere valutato correttamente i segni clinici e lo stato di R.L. (paziente con peculiari problematiche al momento del suo ingresso in ospedale) omettendo di disporre e di eseguire in maniera costante il controllo cardiotocografico ed il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti sulla pregressa cicatrice isterotomia.
Ciò chiarito, e ricostruiti i fatti sulla scorta delle deposizioni dei consulenti tecnici e delle dichiarazioni testimoniali, la sentenza rescindente evidenziava che le sentenze di merito non facevano chiarezza se in quella data situazione - rispetto ad una paziente in quelle condizioni e con quel pregresso - il comportamento doveroso omesso fosse quello di cui all'imputazione, ovvero di avere omesso "di eseguire in maniera costante il controllo cardiotocografico ed il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti sulla pregressa cicatrice isterocomia“, e rilevava la carenza di motivazione sotto il profilo del nesso di causalità, in relazione ai rapporti tra il comportamento doveroso che sarebbe stato omesso e il realizzarsi dell'evento e l'ulteriore carenza di motivazione in relazione alla indicazione se il caso concreto fosse regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone, pratiche clinico-assistenziali, nonché di valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, di specificare, di qualeforma di colpa si tratti, se di colpa generica o specifica, eventualmente e aIla luce di regole cautelari racchiuse in linee-guida, se di colpa per imperizia., negligenza o imprudenza e se ed in quale misura la condotta del sanitario si fosse discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali.
Acclarata l'eventuale responsabilità di uno o di entrambi i medici, il giudice del rinvio doveva tenere conto che le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno chiarito che, in tema di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, l'abrogato art. 3 comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, si configura come norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies cod. pen., introdotto e alla legge n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve! da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. il 2018, Mariotti, Rv. 272175; conf. :;ez. 4, n. 36723 del 19/04/2018, Di Saverio, Rv. 274326).
5.La Corte d'appello di Catania, all'esito del giudizio di rinvio, t1a assolto R.G. ed ha confermato la sentenza di condanna nei confronti di S.R..
In tale ambito, per quanto qui di rilievo, la sentenza impugnata dà atto della rinnovazione istruttoria, avendo disposto nuova audizione dei consulenti tecnici prof. S., dr. R. e dr. P., e di avere reso la decisione sulla scorta delle linee-guida già in atti, non essendone state prodotte altre, secondo cui il parto vaginale non è controindicato nella donne bicesarizzata e che il monitoraggio continuo è imposto solo in presenza di alcuni condizioni, non ricorrenti nel caso di specie, ma che, tuttavia, pur in assenza di linee guida che imponessero di disporre il monitoraggio continuo, nel caso concreto, in presenza di donna: bicesarizzata, con la testa del nascituro non impegnata, senza dilatazione, che spinge sullacicatrice, secondo le linee guida del 2012, pacificamente applicabili al caso inesame, alla donna doveva essere garantita una adeguata sorveglianza clinica e un monitoraggio elettronico fetale continuo nella fase attiva di travaglio e nella fasedi "prodromi da travaglio", presenti nel caso in esame. Il monitoraggio attivo e continuo costituiva condotta doverosa, a livello di buone prassi, al fine di prevenire la rottura dell'utero.
In conclusione, le specifiche condizioni della paziente, come ricostruite daiconsulenti tecnici in base alle evidenze della cartella clinica, imponevano), proprioper i molti fattori di rischio, enucleati a pag. 10, il continuo monitoragqio fetale, obbligo disatteso dalla imputata, ma imposto quantomeno dalle buona prassi nel contesto specifico di concreto rischio di rottura dell'utero. La doverosa condotta, che non avrebbe impedito la rottura dell'utero, avrebbe tuttavia messo, in luce le alterazioni del tracciato cardiotocografico sintomatiche della rottura dell’utero che con un intervento chirurgico tempestivo di taglio cesareo avrebbe evitato gravi danni e con elevata probabilità la morte del feto, deceduto a seguito di una prolungata sofferenza fetale, individuata in tre/quattro . ore, periodo corrispondente a quello intercorso tra la riconduzione in reparto della paziente, senza alcun monitoraggio, e l'emorragia che l'aveva colpita a seguito della rottura dell'utero.
Conclusivamente, il continuo monitoraggio fetale avrebbe rivelato i segni della rottura dell'utero consentendo un rapido intervento che con elevata probabilitàavrebbe avuto effetti salvifici per il feto. Per i giudici del merito alla luce dei dati di fatto, la colpa per imperizia in capo alla S.R. era grave.
6.Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione· il difensore di fiducia dell'imputata S.R., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
6.1.Con un primo motivo deduce la violazione di cui all'art. 627 comma 3 cod.proc.pen. e vizio di motivazione in relazione alla corretta qualificazione del reato di cui all'art. 589 cod.pen. e di applicazione delle norme di cui agli artt. 40 e 43 cod.pen.
Argomenta la ricorrente che, a fronte dei rilievi sollevati dalla se 1tenza di annullamento, la sentenza impugnata avrebbe lasciato irrisolte! le questioni sollevate e non avrebbe fatto buon governo dei parametri ermeneutici: tracciati dalla sentenza rescindente.
In sintesi, secondo la sentenza impugnata la condotta specifica: commessa, ossia quella del controllo cardiotocografico continuo, non era alla stessa1 imposta dalle condizioni del caso specifico perché non prevista dalle linee guida, salvo poi rimproverare alla R.S. di non essersi discostata dalle linee guida che a quella condotta però non la obbligavano. Evidente e letterale, pertanto, la manifesta illogicità della motivazione nel percorso argomentativo inferenziale cherisulterebbe avulso dai criteri di cui all'articolo 192 cod.pnoc.p1:n. e la contraddizione tra la premessa e le conclusioni del giudice del merito la paziente non avrebbe dovuto essere sottoposta a monitoraggio cardiotocogrico continuo, non sussistendone i presupposti di rischio disciplinati dalle linee guida, salvo leggersi poi nella sentenza impugnata, che quella che era una generica inreferenza accordata al monitoraggio cardiotocografico continuo della donna cesarizzata che tuttavia diventava, per i giudici del merito, un vero e proprio obbligo tenuto conto della circostanza del caso specifico e segnatamente dall'insieme di fattori di rischio, tutti ben noti all'imputata, che gravavano sulla paziente. Così i giudici del rinvio avrebbero contraddittoriamente rilevato che la paziente non doveva essere sottoposta a monitoraggio cardiotocografico continuo perché non previsto dallalinee-guida in assenza dei presupposti ivi previsti, salvo poi affermare chi i le buone prassi avrebbero imposto il continuo monitoraggio nella donna cesarizzata.
In altri termini, i giudici del rinvio danno atto dell'assenza delle condizioni imponenti la condotta che si addebita alla S.R. e sostengono ugualmente la responsabilità penale ancorandola alla preferenza della tesi sostenuta dai consulenti secondo cui, data per non contestata l'assenza di un travaglio, i malesseri accusati dalla R.L. al rientro in reparto erano da intendersi come prodromi di travaglio e, dunque, imponenti quantomeno a livello di buone prassi quel controllo tocografico continuo non prescritto dalle linee guida correttamente applicate dalla S.R.. Ulteriore contraddittorietà della motivazione si riverirebbe nell'affermazione dei giudici del rinvio, secondo cui la R.L. non era in travaglio sussistendo invece una mera situazione di prodromo da travagliocondizioni imponente la condotta contestata che però come scrivono gli stessi giudici le linee guida impongono solo in presenza di travaglio attivo non sussistente nel caso di specie.
L'errore motivazionale avrebbe riflessi anche sulla responsabilità della ricorrente, sul nesso di causa e sul corretto inquadramento del tipo e grado di colpa. Non avrebbero verificato i giudici del merito se la ricorrente, rimandando in reparto la paziente, avesse dato disposizioni precise al personale infermieristico, se fosse continuata la somministrazione di Miolene. Non avrebbero individuato giudici del rinvio, la condotta doverosa salvifica, unicamente ancorata e l'omesso monitoraggio continuo che non sarebbe di per sé idoneo a evitare Ia rottura dell'utero, che può presentarsi bruscamente. Non avrebbero spiegato poi se la rottura dell'utero fosse conseguenza delle contrazioni dovute alla spinta del feto sulla cicatrice e non determinata da un fattore imprevedibile in conseguenza del comportamento della donna per defecare in un contesto neI quale dall'accertamento autoptico non risultavano segni di sofferenze fetale dovute a spinta o asfissia.
6.2.Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all'art. 3 della legge n. 158(201: Con riferimento all'applicabilità della disciplina più favorevole rispetto all'articolo 590 sexies codice penale prevista dall'art. 3 della legge 58, del 2012, i giudici del rinvio sarebbero pervenuti alla corretta qualificazione del grado di colpa con motivazione assertiva totalmente svincolata dal principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente. Quel che i giudici del rinvio rimproverano alla ricorrente è il comportamento di aver trattato la R.L. come "paziente normale ignorando non solo che la stessa continuava a palesare dolori addominali, ma anche gli evidenti fattori di rischio che le avrebbero imposto quantomeno, come buona pratica assistenziale adeguata al caso concreto, di sottoporre la R.L. a monitoraggio topografico continuo per tenere sotto controllo la cicatrice isterotomia. Detto altrimenti, il comportamento che si esigeva dalla ·ricorrente dalle 00:15, qualificato come grave imprudenza, sarebbe quello che la stessa non avrebbe avuto ragione di porre in essere per assenza delle condizioni che lo legittimavano anche secondo le buone pratiche assistenziali, in quanto non erano in atto contrazioni, anomalie pressorie, cardiache al momento in cui la R.L. fu rimandata in stanza e nessuna pratica imponeva di tenere il cardiotografo in maniera continua a una gestante. Il dato significativo, ai fini invocare la esimente invocata, sarebbe invece quello di cui dà atto la stessa Corte del rinvio ovvero che le contrazioni erano cessate dalle 22:45, dato che costituisce premessa di una conclusione motivazionale assolutamente illogica inconferente poiché a quell'ora la paziente in assenza di contrazioni venne tenuta in osservazione per oltre un'ora e mezza, fino alle 00:15, quando constatata la buona condizione unicamente alla somministrazione del tocolitico venne rimandata irti reparto. Quel che si verificò dalle 00: 15 non potrebbe essere a lei addebitato per quanto esposto nel primo motivo e in ogni caso non integrerebbe comunque la grave imprudenza.
Chiede l'annullamento della sentenza.
7.Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso. sia rigettato.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2.Va anzitutto rilevato che la sentenza rescindente quella Corte di cassazione, emessa in data 16/01/2020, evidenziava plurime carenze motivazionali e contraddittorietà tra le due sentenze su punti decisivi.
Muovendo dall'addebito colposo di cui all'imputazione e cioè di non avere
valutato correttamente i segni clinici e lo stato di L.R. (paziente già cesarizzata due volte, intervallata da parto naturale e due interruzzioni di gravidanza, con algie pelviche), omettendo di disporre e di eseguire in maniera costante il controllo cardiotocografico ed il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti sulla pregressa cicatrice isterotomia, la sentenza rescindente demandava al giudice del rinvio, di fare chiarezza (in presenza di rilevata carenza motivazionale) se in quella data situazione - rispetto ad una paziente in quelle condizioni e con quel pregresso - il comportamento doveroso omesso fosse quello di cui all'imputazione, laddove si imputa alla ricorrente - si ripete - "di avereomesso di eseguire in maniera costante il controllo cardiotografico ed il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti sulla pregressa, 1 cicatrice isterotomia", nonché di valutare se sussisteva il nesso di causalità,I in relazione ai rapporti tra il comportamento doveroso che sarebbe stato omesso e il realizzarsi dell'evento ed ancora si richiedeva la verifica se il caso concreto fosse regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, ,nonché di accertare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico in indicato dai predetti parametri, e di specificare di quale forma di colpa si tratti, s1i di colpa generica o specifica, eventualmente alla luce di regole cautelari racchiuse in linee guida, se di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza, nonché di motivare se ed in quale misura la condotta del sanitario si fosse discostata da linee guida o da buone pratiche clinico-assistenziali. Tenuto conto che, nel caso in esame, trovava applicazione, quale norma più favorevole, la causa di non punibilità ex art. 3 deld.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni, ,della legge 8 novembre 2012, n. 189, secondo il quale "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buoni pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve", si configura quale norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotta connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, Mariotti, Rv. 272175; 1 onf. Sez. 4, n. 36723 del 19/04/2018, Di Saverio, Rv. 274326) principi a cui doveva attenersi il giudice del rinvio.
2.Così puntualizzato il perimetro del giudizio di rinvio, osserva iI Collegio che, quanto al primo profilo, il percorso argomentativo della sentenza impugnata ha risolto tutti gli aspetti devoluti alla valutazione dei giudici del rinvio che, con motivazione oltremodo approfondito e corretta in diritto, hanno confermato la decisione di condanna della sola S.R. essendo intervenuta assoluzione per R.L..
La sentenza impugnata individua, in primo luogo, l'addebito mosso, comedescritto nel capo di imputazione ovvero "di aver omesso di disporre di eseguire in maniera costante il controllo cardiotocografico ed il monitoraggio della ripresa del travaglio e dei suoi effetti sulla pregressa cicatrice isterotomia e poi affronta gli ulteriori quesiti devoluti.
Il percorso logico argomentativo dei giudici del rinvio, sul punto oggetto dirisposta al devoluto della sentenza rescindente e alle censure difensive.
In sintesi, la sentenza impugnata ha individuato la condotta omissiva, comedescritta nel capo di imputazione, ha accertato l'esistenza di linee guida che regolavano il comportamento del sanitario, evidenziando, peraltro, che le predette linee guida non imponevano, in assenza delle condizioni ivi previste, il monitoraggio continuo. Tuttavia la buona prassi medica, anche riportate nelle linee guida del 2012, imponeva, nella concreta situazione di rischio della paziente L.R., un 'adeguata sorveglianza clinica e un monitoraggio elettronico fetale continuo nella fase attiva di travaglio, sicché in presenza degli specifici fattori di rischio e di prodromi di travaglio, le specifiche condizioni della R.L. imponevano, secondo i giudici del merito, nella condivisione delle conclusioni dei consulenti, ,: livello di buone pratiche, il monitoraggio continuo atteso il rischio potenziai dei due tagli cesarei e la conseguente rottura dell'utero (cfr. pag. 9- 10).
In conclusione, pur non sussistendo una indicazione del comportamento doveroso nelle linee guida per il caso concreto, le specifiche condizioni della paziente imponevano al sanitario di adeguare le stesse secondo le buone prassi mediche riportate nelle linee guida del 2012. Il monitoraggio continuo avrebbe avuto con elevata probabilità effetto salvifico, con dimostrazione del nesso di causa naturalistico e psichico. Qualificavano i giudici del merito la colpa per in· perizia di grado non lieve agli effetti dell'esclusione dell'art. 3 della legge Balduzzi
3.Ciò premesso, lamenta la ricorrente, con il primo motivo di ricorso, l'apparenza della motivazione, per non avere sostanzialmente risposto a devoluto in sede rescindente, e la contraddittorietà della conclusioni là dove i giudici del rinvio avrebbero dato atto che la ricorrente si sarebbe attenuta alle linee guida, salvo poi addebitare un profilo di colpa per imperizia per non avere applicato le buone pratiche nel caso concreto che consigliavano un continuo monitoraggio, elevandole a vero e proprio obbligo nel caso specifico in un contesto nel quale, invece, le linee guida non lo prevedevano.
La tesi prospettata dalla ricorrente è giuridicamente infondata e contraria ai principi scolpiti dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.
4.Quanto al caso concreto, va chiarito, come rileva la sentenza rescindente e come ha valutato la corte di merito, che la questione attiene alla applicazione della disciplina più favorevole alla vicenda di che trattasi che è certamente la disciplina del decreto Balduzzi, e segnatamente l'art. 3 e el d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, secondo il quale "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve",che le Sezioni Unite Mariotti individuano quale norma più favorevole ai sensi dell'art. 2 comma 4 cod.pen., rispetto all'art. 590 sexies cod.pen. introdotto dalla legge Gelli- Bianco nel 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza e imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuta nella fase della scelta delle linee guida adeguata al caso concreto (S.U. n. 8770 del 21/12/2017, Mariotti, Rv. 272174).
E su ciò dimostra di concordare la ricorrente, là dove invoca I’esenzione dalla punibilità per essersi attenuta alle linee guida che non imponevano di porre in essere la condotta di cui si contesta l'omissione.
Tale prospettazione, tuttavia, non è giudicamene fondata secondo i principi reiteratamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.
5.Sulla natura delle linee guida la giurisprudenza di legittimità ha ormai assunto posizioni consolidate.
I principi sono scolpiti nella sentenza Sez. 4 n. 7849 del 20:; 2, anche richiamata nel ricorso, che nel ripercorre la giurisprudenza sul tema, ha ribadito che le linee guida non hanno carattere precettivo come quello attribuito alle regole cautelari codificate, poiché hanno un più ampio margine di flessibilità Le linee guida hanno rilievo sul piano orientativo della condotta dell'operatore sanitario facendo salve le specificità del caso, specificando e richiamando sul punto, gli arresti precedenti secondo cui il rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica non determina di per sé l'esonero della responsabilità penale del sanitario, ai sensi del previgente art. 3 comma 1, della legge Balduzzi dovendo comunque accertarsi se la specificità del quadro clinico del paziente imponesse un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato da dette linee guida (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti) in quanto queste (le linee guida) non sono in grado di offrire standard legali e precostituiti, non divengono delle regole cautelari secondo il classico modello della colpa specifica (Sez. 4, n. l 6237 del 29/01/2013, Cantore). Da un lato la varietà, il diverso grado di qualificazione delle linee guida, dall'altro, soprattutto, la loro natura di strumento di indirizzo e di orientamento privo della prescrittività propria di una regola cautelare, per quanto elastica, non costituiscono uno strumento di precostituita ontologica affidabilità. Ne consegue che, nel caso in cui tali raccomandazioni non siano adeguare rispetto all'obiettivo della miglior cura per lo specifico caso del paziente, l’esercente la professione sanitaria ha il dovere di discostarsene. !
Successivamente in ordine di tempo le Sezioni Unite Mariotti, hanno ben chiarito che «Non si tratta, infatti, di uno "scudo" contro ogni ipotesi di responsabilità, essendo la loro efficacia e forza precettiva comunque dipendenti dalla dimostrata "adeguatezza" alle specificità del caso concreto che è anche l'apprezzamento che resta, per il sanitario, il mezzo attraverso il quale recuperare l'autonomia nell'espletare il proprio talento professionale e, per la collettività,quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici». E ancora hanno ribadito che si tratta di «regole cautelari valide solo se adeguati • rispetto all'obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente», tutto ciò perché le linee guida non hanno carattere cogente e non sono esaustive.
Si tratta di affermazioni di principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità che, sotto la vigenza del ci.I. 158/2012, aveva statuito che ricorre che sottrae alla sanzione penale presuppone in ogni caso che il sanitario si sia orientato secondo le indicazioni ricavate da linee guida: se le linee guida non sono adeguate allo specifico paziente e dovevano essere disattese, il medico che ciò nonostante se ne sia fatto osservante cade in errore; il quale, siccome per adesione alle linee guida, sia pure inadeguate, si guadagna la liceità della condotta, se connotata da colpa lieve (Sez. 4, n. 15258 del 11/02/2020, Agnello, Rv. 27924:'. - 02 in motivazione).
6.Ed allora il mero rispetto delle linee guida non esonera ex se dalla responsabilità il sanitario, dovendo nella pratica medica essere valutata l'adeguatezza della regola cautelare posta in via astratta al caso concreto.
Qualora la regola cautelare, posta in via astratta e non esaustiva dalle linee guida, si riveli inadeguata in relazione allo specifico profilo di rischio, valutato in rapporto alla situazione concreta, l'errore del sanitario nell'adattamento delle linee guida rispetto al caso concreto esonera la sua responsabilità solo se “lieve”.
Se "il professionista si orienti correttamente in ambito di 3gnostico terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinenti! proprio all'adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico", ancora una volta "la condotta sarà soggettivamente rimproverabile, in ambito penale, solo quando l'errar sia non lieve" (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105). Dunque, 10n rileva ex se quale circostanza di esonero dalla responsabilità penale l'essersi attenuto alle linee guida, come astrattamente previste, dovendo queste essere :3deguate alla situazione concreta e disattese in presenza di specifici fattori di rischio nel caso concreto e il sanitario risponde dell'evento solo quando l'errar sia 110n lieve.
7.Così definiti i parametri normativi della questione, la sentenza impugnata ha ritenuto, sulla scorta di un percorso argomentativo per null6 ca1 ente e/o manifestamente illogico che, in presenza della situazione di fatto accertata, e non oggetto di contestazione (paziente bicesarizzata con algie pelviche, :on testa impegnata e dilatazione zero, e con testa che spinge sulla cicatrice), era norma cogente, come indicato nella buona prassi medica del 2012, il controllo continuo, controllo che avrebbe rilevato le anomalie e la conseguente rottura dell’utero e consentito un intervento rapido con effetti salvifici sul feto con elevato grado di probabilità.
A confutazione della tesi difensiva, ancora sviluppata in udienza, scrivono i giudici del rinvio a pag. 12, che alla S.R., che aveva somministrato alla R.L.. il farmaco Miolene, il quale aveva fatto cessare le contrazioni, così attestando "l'inizio di travaglio", su cui la difesa ha speso argomenti per escluder!( 1 in via di fatto, trattandosi di un farmaco a lento rilascio nel tempo sicché si doveva prevedere che le contrazioni sarebbero riprese al termine dei suoi effetti; che aveva mandato in reparto la R.L., conoscendo la sua storia pregressa e le algie che presentava, senza alcun tipo di controllo per circa quattro ore, fino all'emorragia a cui aveva fatto seguito l'intervento chirurgico non risolutivo.
Una volta individuata la regola cautelare da osservare nel caso concreto ovvero il monitoraggio continuo della paziente, omissione di cui deve rispondere la ricorrente, stabilire se il P. abbia detto il vero o meno diventa, secondo i giudici del merito, del tutto secondario. A parte il fatto che nelle quattro ore, dalle 00,15 alle 04,40, in cui la R.L. era rimasta in reparto, non aveva avuto alcun controllo (e di ciò vi è conferma dalla testimonianza della compagna di stanza), in ogni caso l'osservanza della regola cautelare da parte del sanitario avrebbe risolto monte la valutazione dell'operato dell'infermiere P., e ciò in quanto il continuo monitoraggio avrebbe rilevato i segni della rottura dell’utero con esecuzione di un intervento immediato con elevata probabilità di effetti salvifici (che è stato eseguito in abbondante ritardo proprio perché la R.L. era rimasta in reparto senza alcun controllo).
I giudici territoriale', hanno perciò ritenuto un elevato grado di colpa nella condotta dell'imputata che aveva rimandato la paziente in stanza cor I la flebo contenente un farmaco che avrebbe bloccato le contrazioni solo per u 1 periodo limitato e nella scelta di non eseguire alcun monitoraggio e/o alcun controllo manuale, nelle ore successive nonostante continuasse a stare male (vomito) accusando sintomi che la stessa gestante aveva indicato quali segni premonitori del parto nelle due precedenti gravidanze.
7.In conclusione, le linee guida che non prescrivevano il continuomonitoraggio, erano inadeguate al caso concreto (sulla loro inadeguatezza al caso concreto sono chiare le conclusioni del CTP a pag. 9), senza che la S.R. Abbia tuttavia declinato la norma cautelare astratta alla peculiarità del caso concreto, in rapporto allo specifico rischio di rottura dell'utero, che imponeva un controllo continuo: tale mancato adeguamento è stato ritenuto a lei imputabile quale colpa grave essendo mancata, da parte del medico, non solo la valutazione dell'adeguatezza delle linee guida al caso concreto, ma altresì l'individua:! ione della regola cautelare per prevenire il rischio specifico della rottura dell’utero che, nel contesto specifico, non era affatto imprevedibile. Nella concomitante presenza di tutti i suddetti fattori, ovverosia il fatto che la gestante avesse in passato già subito due cesarei con correlata cicatrice, che presentasse algie pelviche e che accusasse i segni premonitori del parto malgrado la mancata dilatazione dell'utero, si imponeva, pertanto secondo le buone prassi mediche, quale condotta doverosa, il monitoraggio costante della paziente. La sua omissione ha correttamente indotto la corte territoriale a ravvisare la colpa grave nella puntuale applicazione dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, nel giudizio sulla gravità della colpa deve tenersi conto - oltre che delle specifiche condizioni del soggetto agente, del suo grado di specializzazione e della situazione specifica in cui si è trovato ad operare - della natura della regola cautelare violata, in quanto l'eventuale natura elastica della stessa, indicando un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, incide sulla esigibilità della condotta doverosa omessa, richiedendo il previo riconoscimento delle stesse da parte dell'agente (SE:Z. 4 - , n. 15258 del 11/02/2020, Rv. 279242 - 02).
8.Si impone il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
9.La Corte dispone, inoltre, che copia del presente dispositivo sia trasmessa all'Amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico a norma dell'art. 154 ter disp. att. cod.proc.pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese pn 1cessuali, Manda alla cancelleria per la comunicazione del presente disp sitiv) all'ASP Catania, Amministrazione di appartenenza dell'imputata, ai sensi dell'ar. 154 ter disp. att. cod.proc.pen.