Svolgimento del processo
1. con citazione notificata in data 16/06/2007 X ha convenuto in giudizio X dinanzi al Tribunale di Frosinone; assumendo di avere sottoscritto, in data 27/11/2006, in qualità di promissario acquirente, con il convenuto, quale promittente venditore, un preliminare di vendita di un immobile e di avere contestualmente versato € 40.000,00, a titolo di caparra confirmatoria, ha dedotto che il venditore non aveva adempiuto all'obbligazione di ottenere il rilascio del certificato di destinazione urbanistica del bene entro il termine essenziale del 28/02/007, e ha chiesto che, accertata l'efficacia del proprio recesso, il convenuto venisse condannato al pagamento del doppio della caparra, o, in subordine, la declaratoria di risoluzione del contratto e la condanna di controparte alla restituzione della caparra ricevuta;
2. il convenuto, costituitosi tardivamente, ha contestato la domanda dell'attore e ha chiesto di dichiarare risolto il contratto preliminare e che venisse accertato il proprio diritto a trattenere la caparra.
Il processo è stato interrotto due volte: per la morte del convenuto, al quale è subentrato il figlio X per la morte di quest'ultimo, con conseguente riassunzione della causa, da parte dell'attore, nei confronti degli eredi della parte deceduta, o meglio nei confronti del coniuge X anche quale rappresentante legale dei figli minori X (nato nel X e X (nato nel X)
3. il Tribunale di Frosinone, delimitato il tema del decidere con l'esclusione delle domande riconvenzionali di parte convenuta in quanto tardive, con sentenza n. 273 del 2015, ha respinto le domande dell'attore;
4. sull'impugnazione dall’attore soccombente, la Corte d'appello di Roma, nella resistenza di X (anche nella suindicata qualità di rappresentante processuale dei figli minori), ha rigettato l'appello, così argomentando la propria decisione: (i) è corretta l'esegesi del testo del contratto preliminare del 27/11/2006 operata dal primo giudice, il quale ha escluso che la locuzione "entro e non oltre il 28/02/07" indicasse un termine essenziale, e ha ritenuto che quella indicata nel contratto fosse la scadenza temporale per la comunicazione della data del rogito, sicché si è in presenza di un termini non perentorio, ma acceleratorio (in vista della sollecita stipula del contratto di compravendita); (ii) nel marzo 2007, il venditore ha convocato il compratore per la stipula del contratto definitivo. La data è prossima allo spirare del termine "dilatorio" del 28/02/2007, sicché è da escludere che in quel momento fosse venuta meno, per il compratore, l'utilità economica dell'acquisto. Ne è prova la lettera del 05/04/2007, inviata da X al venditore, nella quale il primo si dichiara ancora interessato all'acquisto sia pure ad un prezzo inferiore; (iii) conclusivamente, il recesso del compratore è palesemente contrario a buona fede; (iv) la non essenzialità del termine elimina in radice il presupposto della domanda di risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1457, cod. civ.; è corretto, inoltre, che il Tribunale abbia negato che - abbia proposto, in via subordinata, domanda di risoluzione di natura costitutiva ex art. 1453, cod. civ.; (v) bene ha fatto il primo giudice a non disporre la restituzione della caparra confirmatoria versata dal compratore dopo avere respinto le domande dell'attore;
5. X ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, illustrati con memoria.
X in proprio e quale rappresentante legale del figlio ha resistito con controricorso, nel quale ha eccepito che il ricorso per cassazione non è stato notificato al figlio X ormai divenuto maggiorenne.
La Corte, con ordinanza interlocutoria del 27/03/204, ha rinviato la causa a nuovo ruolo e ha ordinato al ricorrente (il quale vi ha provveduto in data 9-10/05/2024) di notificare il ricorso per cassazione a X.
L'intimato non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1. il primo motivo di ricorso - "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1457 e 1351 c.c." - censura la sentenza impugnata che ha negato che, lì dove nel contratto preliminare sottoscritto il 27/11/2006 le parti stabilivano che la stipula del rogito avvenisse entro e non oltre il 28/02/2007, il termine doveva ritenersi essenziale in ragione delle espressioni utilizzate dai contraenti e delle intese intercorse tra loro. E questo anche perché, diversa mente, il compratore non avrebbe versato al venditore una caparra di € 40.000,00;
1.1. il motivo è inammissibile;
1.2. l'attività di interpretazione è diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ovvero, ancora, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall'art. 1362 e ss., cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed al princìpi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dal canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010, Rv. 613151 - 01; in termini, ex multis, Cass. 24/06/022, n. 20434; Cass. 22/07/2022, n. 22980).
1.3. nella specie, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1457. 1351, cod. civ., mentre avrebbe dovuto fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale (art. 1362 e seguenti, cod. civ.), indicare le regole legali di interpretazione, mediante specifica menzione delle norme asseritamente violate e, infine, precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dal canoni legali assunti come violati o se lo stesso li avesse applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017).
In altri termini, la parte, in maniera non consentita, si è limitata a prospettare a questa Corte - cui è demandato esclusivamente il controllo di legalità della decisione - una ricostruzione della vicenda negozia le che, come si evince dalla narrativa del mezzo d'impugnazione, non collima con il conforme accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito;
2. il secondo motivo - "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1477 comma 3 c.c. - Difetto di motivazione - errata interpretazione e qualificazione della domanda" - si fonda sul presupposto che l'attore aveva svolto due domande alternative: la prima, con la quale aveva chiesto l'applicazione dell'art. 1385, cod. civ., e cioè che venisse accertata la legittimità del suo recesso e il suo diritto al doppio della caparra versata a causa del mancato rispetto, da parte del venditore, del termine essenziale pattuito per la stipula del contratto definitivo; la seconda, di risoluzione del contratto per inadempimento del promittente venditore - a causa della mancata consegna al compratore della documentazione urbanistica essenziale per il perfezionamento dell'acquisto - e di condanna del convenuto alla restituzione della caparra e al risarcimento del danno.
Il ricorrente denuncia che la Corte d'appello, confermando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda principale argomentando che il termine del 28/02/2007, indicato nel preliminare, per la conclusione del definitivo, non era un termine essenziale e, inoltre, ha ritenuto di non dovere valuta re la gravità dell'inadempimento del convenuto in ragione della ravvisata inapplicabilità dell'art. 1453, cod. civ.;
2.1. il motivo è inammissibile;
2.2. in tema di ricorso per cassazione, l'erronea interpretazione delle domande e delle eccezioni, non è censura bile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 31546 del 03/12/2019, Rv. 656493 - 01).
Si aggiunga che non è nemmeno invocabile il "vizio di motivazione": si è dinanzi a un'ipotesi di c.d. "doppia conforme", ai sensi dell'articolo 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità della doglianza di omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., nella specie nemmeno puntualmente proposta, dato che la sentenza di appello «conferma la decisione di primo grado» e risulta «fondata sulle stesse ragioni», inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado. Né il ricorrente indica, nel rispetto dell'art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., sotto quale profilo siano tra loro diverse le ragioni di fatto su cui si fondano, rispettivamente, la decisione di primo grado e la sentenza di appello (tra le altre, Cass. n. 1614 del 2024; Cass. n. 5947 del 2023);
3. il terzo motivo - "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1218 c.c. Difetto di motivazione" - censura la sentenza per non avere fatto corretta applicazione dei princìpi in tema di onere della prova, posto che è pacifico che ehi domanda la risoluzione del contratto ha l'onere di provare il titolo del suo credito e che, invece, spetta al debitore dare prova dell'adempimento;
3.1. il motivo non è fondato;
3.2. in primo luogo, la sentenza d'appello non è nulla per carenza struttura le della motivazione perché reca una motivazione chiara (i cui tratti salienti sono stati sintetizzati nella parte narrativa), che soddisfa senz'altro il requisito del "minimo costituzionale", come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, la quale cita, in motivazione, Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18/04/2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31/12/2018, n. 33679).
In secondo luogo, la decisione della CDA di Roma è conforme a diritto in quanto, senza infrangere la regola del riparto dell'onere della prova, nega che il contratto si sia risolto ex art. 1457, cod. civ., per la dirimente ragione della ravvisata non essenzialità del termine per la stipula del rogito di compravendita;
4. il quarto motivo - "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1385 c.c. in relazione all'art. 1453 c.c." - censura la sentenza che ha incomprensibilmente escluso che il venditore dovesse restituire al compratore la caparra.
Il ricorrente evidenzia che i giudici di merito hanno correttamente dichiarato inammissibile - perché proposta dal convenuto costituitosi tardivamente in giudizio - la domanda del venditore di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente.
Rimarca, quindi, che, per il meccanismo dell'art. 1385, cod. civ., il contraente che ha ricevuto la caparra confirmatoria può trattenerla (soltanto) nel caso in cui l'altra parte risulti inadempiente alle obbligazioni assunte, il che a suo giudizio comporta che, in difetto dell'accertamento del (presunto) inadempimento dello stesso X non vi è alcuna giustificazione per la quale il venditore debba trattenere la caparra ricevuta;
4.1. il motivo è infondato;
4.2. nel giudizio di merito è stata respinta la domanda di X di declaratoria di legittimità del proprio recesso ex art. 1385, secondo comma, cod. civ., e si è stabilito che non esiste il diritto del compratore alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata. Inoltre, da un lato, è stata rigettata la domanda di risoluzione del contratto proposta da quest'ultimo al sensi dell'art. 1457, cod. civ.; dall’altro, è stata dichiarata inammissibile, per tardività, la domanda riconvenzionale del convenuto di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453, cod. civ.
Sicché, una volta rigettate, per i motivi sopra indicati, le domande di risoluzione del contratto proposte dalle parti, al contrario di quanto prospetta il ricorrente, il giudice di merito non poteva né doveva ordinare la restituzione della somma versata in ragione del fatto che la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venire meno della causa della corresponsione (Sez. 2, Sentenza n. 8571 del 27/03/2019, Rv. 653635 - 02).
Nel caso in esame, il preliminare di acquisto, del quale non è stata dichiarata la risoluzione, è tuttora in essere;
5. in conclusione, il ricorso va respinto;
6. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
7. ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare a X le spese del giudizio di cassazione, che liquida in€ 7.000,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.