Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 13/2022, dichiarava il fallimento di A. D., titolare dell’omonima ditta individuale.
Il medesimo Tribunale, con sentenza n. 189/2023 e su istanza del curatore, dichiarava l’estensione del fallimento di A. D. a E. F. e S. T., rilevando che, con scrittura privata del 10 aprile 2015, D. aveva stipulato con le altre due signore un contratto di società ex art. 2247 cod. civ., col quale erano state previste, per ciascuna, le quote di partecipazione agli utili e alle perdite.
2. Il reclamo proposto contro questa seconda pronuncia da S. T. veniva accolto dalla Corte d’appello di Torino.
La corte del merito rilevava, sulla base del contenuto della scrittura privata del 10 aprile 2015, che la D., trovatasi nella necessità di dover richiedere l’apporto, a vario titolo, della F. e della T. nell’acquisizione dell’azienda, aveva attribuito alla prima una quota di partecipazione agli utili ed alle perdite della società in misura pari al 30% ed alla seconda una quota di partecipazione in misura pari al 10%.
Constatava che contestualmente le medesime parti avevano sottoscritto anche un riconoscimento di debito con cui avevano promesso di pagare a P. Holding s.r.l. la somma di € 400.000 secondo le medesime proporzioni (la D. per il 60%, la F. per il 30% e la T. per il restante 10%).
Riteneva che al momento della redazione delle scritture si fosse costituito tra le parti un contratto di società, sulla base del quale la D. aveva attribuito alla F. una quota di partecipazione del 30% ed alla T. una quota del 10% a fronte dell’apporto che queste ultime avevano già conferito per l’acquisizione dell’azienda, apporto da ricondurre all’esercizio dell’attività che, da quel momento, sarebbe stata esercitata in forma sociale.
Evidenziava, tuttavia, che il punto 2 della scrittura del 10 aprile 2015 prevedeva che la suddivisione nelle quote di partecipazione agli utili ed alle perdite avrebbe avuto efficacia iniziale una volta estinti i debiti nei confronti dei due principali creditori (P. H. s.r.l. e Banca V. s.c.p.a., quest’ultima creditrice per €. 500.000).
Giudicava che l’interpretazione di questa clausola, alla luce delle pattuizioni precedenti, non potesse essere che quella per cui, sino all’estinzione dei debiti indicati, la partecipazione di F. e T. alle obbligazioni sociali non era illimitata, ma doveva essere circoscritta a quanto stabilito nella scrittura; le nuove socie, pertanto, avrebbero risposto delle obbligazioni sociali nei limiti dell’impegno assunto con il riconoscimento di debito e soltanto a seguito dell’estinzione dei debiti nei confronti di P. e Banca V. sarebbero divenute illimitatamente responsabili, assumendo sino a quel momento una condizione giuridica assimilabile a quella dei soci accomandanti.
Ne traeva la conseguenza che la T. non poteva essere dichiarata fallita in estensione al fallimento della D., perché, pacificamente, i debiti nei confronti di P. e Banca V. non erano mai stati estinti e la reclamante non poteva essere considerata socia illimitatamente responsabile per i debiti sociali.
3. Il Fallimento di A. D. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 18 dicembre 2023, prospettando un unico motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso S. T..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
4. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2291 e 2297 cod. civ. in relazione all’art. 147 l fall..
La corte d’appello – assume la procedura ricorrente – ha disapplicato, senza argomentare, sia l’art. 2297 (a mente del quale fino a quando la società non è iscritta nel registro imprese i rapporti tra la società ed i soci, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle norme relative alla società semplice), sia l’art. 2291 cod. civ. (secondo cui tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali ed il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi).
Se dunque fra le parti (soci o aderenti al patto sociale) vale quanto dai medesimi stabilito (limitazioni di responsabilità comprese), rispetto ai terzi vale invece la regola dell’illimitata responsabilità derivante dall’essere la società irregolare e ad oggetto commerciale: la pattuizione secondo cui T. e F. avrebbero iniziato a partecipare agli utili e a rispondere delle perdite solo dopo l’estinzione dei debiti di D. nei confronti di P. H.e di Banca V., non resa pubblica, non poteva pertanto essere opponibile né avere effetto, ai sensi dell’art. 2291 comma 2 cod. civ., nei confronti del Fallimento, che, quale terzo, agiva in rappresentanza dell’intero ceto creditorio.
In conseguenza, una volta emersa la società irregolare, la responsabilità delle socie doveva essere per legge illimitata; da tale responsabilità discendeva la fallibilità anche di F. e di T. ai sensi dell’art. 147 l. fall..
5. Il motivo è fondato.
5.1 Va premesso, innanzitutto, che la mancata deduzione di una violazione delle regole ermeneutiche previste dagli artt. 1362 e ss. cod. civ. rende ferma e incontestabile l’interpretazione della scrittura del 10 aprile 2015 offerta dalla corte d’appello, secondo cui il negozio costitutivo del rapporto sociale stabiliva che sino all’estinzione dei debiti verso P. e Banca V. la partecipazione di F. e di T. alle obbligazioni sociali non sarebbe stata illimitata, in quanto le nuove socie avrebbero risposto delle obbligazioni sociali nei limiti dell’impegno assunto con il contestuale e separato riconoscimento di debito; soltanto a seguito dell’estinzione di questo debito le due signore sarebbero divenute socie illimitatamente responsabili.
5.2 Una volta assodata l’esistenza di un contratto sociale sulla base delle risultanze del documento scritto prodotto, la corte d’appello doveva però confrontarsi col disposto dell’art. 2297 cod. civ, il quale prevede che “fino a quando la società non è iscritta nel registro imprese i rapporti tra la società ed i soci, ferma restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle norme relative alla società semplice” (comma 1). “Tuttavia si presume che ciascun socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale, anche in giudizio. I patti che attribuiscono la rappresentanza ad alcuno soltanto dei soci o che limitano i poteri di rappresentanza non sono opponibili ai terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza” (comma 2).
Il tenore della norma evidenzia chiaramente come la precipua caratteristica della società irregolare (a causa della sua mancata iscrizione nel registro delle imprese) sia l’impossibilità di una limitazione della responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, a prescindere dal fatto che gli stessi abbiano la gestione o la rappresentanza sociale.
5.3 Parte controricorrente sostiene - in ragione dell’accertamento compiuto dalla corte distrettuale del fatto che la condizione giuridica di F. e T., sino al momento in cui sarebbero stati estinti i debiti di P. e Banca V., sarebbe stata assimilabile a quella dei soci accomandanti – che la fattispecie in esame rimarrebbe regolata, piuttosto che dall’art. 2297, comma 1, cod. civ., dal disposto dell’art. 2317 cod. civ. in tema di società in accomandita irregolare.
La tesi non può essere condivisa.
L’art. 2317 cod. civ. stabilisce che “fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, ai rapporti fra la società e i terzi si applicano le disposizioni dell’articolo 2297” (comma 1). “Tuttavia per le obbligazioni sociali i soci accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota, salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali” (comma 2).
Ora, una volta ricordato che l’autonomia patrimoniale delle società di persone mira essenzialmente a tutelare i creditori della compagine, offrendo loro un patrimonio sul quale far valere i propri diritti (Cass. 118/1971), occorre osservare – come già hanno ritenuto in passato attenta dottrina e la giurisprudenza di merito – che la distinzione fra la categoria dei soci accomandatari, illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, e quella dei soci accomandanti, responsabili nei soli limiti della quota sociale, è mantenuta ferma dall’art. 2317, comma 2, cod. civ. anche nel caso di società in accomandita irregolare non sulla base del solo tenore degli accordi interni fra i soci, ma sul presupposto dell'estrinsecazione dell'accordo sociale, pur in presenza dell’inosservanza dell'onere formale dell'iscrizione nel registro delle imprese.
Dunque, perché operi la distinzione fra soci accomandatari e soci accomandanti è necessario che la società operi sotto una ragione sociale che ne enunci la natura di accomandita semplice, circostanza che non è stata affatto accertata nel caso di specie dalla corte distrettuale.
La ratio di una simile disposizione deve essere ravvisata nella circostanza che, quando la società opera pubblicizzando di fatto la propria natura di società in accomandita, i terzi che con essa vengono in contatto sanno di poter contare soltanto sulla responsabilità illimitata del socio accomandatario (cfr. Cass. 23211/2012, in motivazione), mentre una simile consapevolezza non può essere riconosciuta in capo a chi venga a trovarsi in contatto con una società irregolare che non indichi e rappresenti all’esterno il particolare tipo di società il cui atto costitutivo non è stato iscritto nel registro delle imprese.
5.4 Ne discende l’erroneità delle considerazioni svolte dalla Corte d’appello laddove ha ritenuto che S. T., sulla base del solo contenuto del contratto sociale, non potesse essere considerata socia illimitatamente responsabile per i debiti sociali e non potesse, di conseguenza, essere dichiarata fallita ai sensi dell’art. 147, comma 4, l. fall..
6. La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.