
Tale presunzione trova conferma nella riforma tributaria, la quale impone al contribuente l'onere di fornire prova contraria.
La controversia ha ad oggetto l'avviso di accertamento istruito a carico di una s.r.l. nei confronti della quale l'Agenzia delle Entrate aveva rilevato maggiori ricavi non contabilizzati per oltre 500mila euro. Trattandosi di società a ristretta base sociale, il Fisco imputava pro quota ai soci gli utili non contabilizzati.
Svolgimento del processo
1. A seguito della conclusione del procedimento di accertamento istruito a carico della X s.r.l., l'amministrazione finanziaria rilevava maggiori ricavi non contabilizzati per oltre 500.000 Euro relativamente all'anno di imposta 2012, che, trattandosi di società a ristretta base sociale, imputava pro quota anche al sig. CV socio della stessa con partecipazione del 25,5%.
2. Ne è seguito l'avviso di accertamento n. X che veniva ritualmente impugnato dal contribuente avanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che all'esito del giudizio di primo grado respingeva le pretese del ricorrente.
3. Vìene ora in rilievo la Sentenza n.1878/2023, pronunziata dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio - Sezione 1 in data 25.10.2022, pubblicata in data 31.03.2023, di conferma della decisione della CTP di Roma n. 1551/2020.
4. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di due mezzi.
5. Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.
6. Ia contribuente ha richiesto la decisione dopo il deposito di una proposta di definizione accelerata del giudizio.
7. E' stata, quindi, fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 18 settembre 2024.
Motivi della decisione
1. I motivi di ricorso si compendiano come segue:
1° motivo: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 167 e 345 c.p.c., degli artt.23, 57 e 58 D.Lgs. n.546/92, in relazione all'art.360, comma 1, n.4 ), c.p.c., per avere la Corte di
Giustizia Tributaria di II grado del Lazio, ritenuto che l'Agenzia delle Entrate attrice sostanziale-appellata-odierna resistente, avesse ritualmente proposto e provato la definitività dell'accertamento di maggiori introiti extracontabili da parte della società, che era stata contestata dal convenuto sostanziale-appellante-odierno ricorrente; 2° motivo: Violazione e/o falsa applicazione degli artt.2727 e 2697 e.e., degli artt.112 e 115 c.p.c., dell'art. 39 c.1 lett. d) D.P.R. n.600/1973 - Violazione del divieto della doppia presunzione per mancanza di prova in ordine alla definitività dell'accertamento nei confronti della società.
2. Si ricorda che la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che costituisca ius receptum il principio secondo cui, in presenza di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati operi la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. Si è infatti affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria; tale presunzione - fondata sul disposto dell'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - induce inversione dell'onere della prova a carico del contribuente (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; vedi anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25468 del 18/12/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 386 del 13/01/2016).
Inoltre, è stato precisato che, in tema di imposte sui redditi, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l'accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali ammissibile la presunzione in ragione della sua quota di (cfr. Cass. n. 4485/2016) e che è di distribuzione ai soci di utili extracontabili ove sussista, a carico della società medesima, un valido accertamento di utili non contabilizzati, anche nel caso in cui la sentenza, pronunziata nei confronti della società, non sia ancora passata in giudicato (cfr. Cass. n.5581/2015), stante l'autonomia dei giudizi, sia pure in rapporto di pregiudizialità.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha rilevato che il ricorrente non ha dimostrato che gli utili non siano a lui pervenuti perché accantonati o reinvestiti.
Né si pone il problema della violazione del divieto di doppia presunzione, che non esiste nel sistema processuale, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un'ulteriore presunzione idonea - in quanto a sua volta adeguata - a fondare l'accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. n. 20748/2019).
3. Il Collegio condivide tali argomentazioni. Può inoltre aggiungersi quanto segue.
Quanto al primo motivo. Il giudice di prime cure ha accertato espressamente che la rilevazione dei maggiori utili extracontabili relativi all'annualità 2012 deve intendersi definitiva, in quanto non impugnata dalla società. Analoga conclusione ha adottato il giudice d'appello. A fronte di questo doppio conforme accertamento fattuale, il contribuente si è limitato a contestare genericamente - ed in via ipotetica - che il ribaltamento pro quota sui soci necessita di un accertamento definitivo in capo alla società dei maggiori utili, fondando tale conclusione sulla pretesa operatività di un principio di non contestazione da parte dell'agenzia fiscale.
Tale conclusione non e pero condivisibile. In primo luogo, persino dagli stralci di atti dei precedenti gradi di giudizio riportati nel ricorso, si evince che l'ufficio ha sempre contestato l'affermazione del contribuente resa in giudizio. In secondo luogo, perché l'operatività del principio di non contestazione presuppone, a propria volta, una deduzione specifica della controparte processuale. Il contribuente non ha mai allegato, da quanto risulta dagli atti consultabili, che l'accertamento nei confronti della società non era definitivo in quanto impugnato con un ricorso specifico, né tanto meno ha prodotto gli atti di un ipotetico giudizio attivato dalla società nei confronti dell'accertamento extracontabile in contestazione, ma ha sollevato in astratto ed in via del tutto generica una mera valutazione giuridica tesa a mettere in discussione l'operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci.
Si ricorda che si è correttamente osservato, tuttavia, che il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall'esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l'onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi (Cass. civ., Sez. VI - 3, ord., 09/05/2018, n. 11032; conforme anche Cass. n. 22055 del 2017). In precedenza si è pure notato che l'onere di contribuire alla fissazione del "thema decidendum" opera identicamente rispetto all'una o all'altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (come affermato da Cass. n. 21075 del 2016). In terzo luogo, il principio di non contestazione sconta, anche a prescindere dal carattere assorbente di quanto appena rilevato, degli evidenti limiti applicativi connaturati alla natura del giudizio ed alla tendenziale indisponibilità del tributo. Si è infatti affermato che nel processo tributario, nell'ipotesi di ricorso contro l'avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell'Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l'atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l'oggetto del giudizio" (Cass. Sez. 5, ord. n. 19806 del 23/07/2019).
Il primo motivo di ricorso, sotto detto profilo, appare pertanto generico ed infondato, non contenendo alcuna deduzione specifica rivolta ad infirmare la valutazione di merito in ordine alla definitività dell'accertamento nei confronti della società di cui l'odierno ricorrente ammette di essere stato, all'epoca, socio con una partecipazione del 25.5% ed a fronte di una compagine societaria di appena 3 soci, certamente configurante la fattispecie della ristretta base societaria.
Una volta sgomberato il campo da tale questione, la parte residuale del primo motivo di ricorso può essere analizzata congiuntamente al secondo, tendendo complessivamente a contestare il meccanismo presuntivo applicato dagli uffici finanziari.
Tuttavia, la giurisprudenza del tutto prevalente da tempo ha riconosciuto il valore indiziante della c.d. "ristretta base sociale". Per tutte, cfr. Sez. 5, sent. n. 25468 del 18/12/2015 (Rv. 638161 - 01), secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società a ristretta base familiare, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d'imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti.
Ancora, Sez. 5, sent. n. 27778 del 22/11/2017 (Rv. 64628 – 01) ha affermato che nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà
per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili". Sostanzialmente conformi anche Sez. 5, ord. n. 32959 del 20/12/2018 (Rv. 652116 - 01); Sez. 6 5, ord. n. 1947 del 24/01/2019 (Rv. 652391 - 01); Sez. 5, ord. n. 16913 del 11/08/2020 (Rv. 658657 - 01); da ultimo, Sez. 5, ord. n. 4861 del 23/02/2024 (Rv. 670408 - 01).
Nessuna argomentazione specifica viene proposta al fine di superare tale fermo orientamento di legittimità, risultando perciò applicabile anche il disposto dell'art. 360bis n. 1 cpc, che sanziona con l'inammissibilità quel ricorso che riguardi (un) "provvedimento impugnato (che) ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per" mutare indirizzo.
Va solo aggiunto, per completezza, che in materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall'art. 6 della I. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova "comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale", non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l'onere della prova contraria (Sez. 5, ord. n. 2746 del 30/01/2024).
Si è ulteriormente osservato che, in tema di distribuzione degli utili extracontabili ai soci di società a ristretta base partecipativa, le regole sul riparto dell'onere probatorio non risultano mutare a seguito dell'introduzione del citato comma 5 bis, che non preclude il ricorso alle presunzioni semplici ex art.2727 e ss. Cc. (Cass. N. 18764/2024).
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Poiché il giudizio viene definito in conformità alla proposta, va inoltre disposta la condanna della parte istante a norma dell'art. 96, comma 3 e 4 c.p.c. Infatti, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l'art. 380 bis comma 3 c.p.c. contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e quarto comma dell'art. 96 c.p.c., codificando altresì un'ipotesi normativa di abuso del processo che la conformità della decisione definitiva a quella inizialmente proposta e rifiutata lascia presumere (così Cass. S.U. 13.10.2023, n. 28540).
Pertanto, la parte ricorrente va condannata, nei confronti della controparte, al pagamento della somma equitativamente determinata di Euro 1.200, oltre al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 500 in favore della Cassa delle ammende.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso per quanto in motivazione;
condanna parte ricorrente ed in favore della controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400, oltre a spese prenotate a debito;
condanna altresì parte ricorrente al pagamento della somma di Euro 1.200 in favore della controricorrente e dell'ulteriore somma di Euro 500 a favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.