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21 novembre 2024
Appalti pubblici: la certificazione di parità di genere non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento

Tale certificazione attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell'azienda e, pertanto, non è assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizioni di terzi che poi la potrebbero impiegare nell'esecuzione di un lavoro o di un servizio.

di La Redazione

La controversia ha ad oggetto la questione della certificazione di parità di genere come criterio premiale negli appalti pubblici di servizi, affrontando in particolare la possibilità di avvalersi di tale certificazione tramite un contratto di avvalimento.

Nello specifico, un'impresa presentava domanda di annullamento dell'aggiudicazione di un appalto relativo alla gestione di un centro diurno per persone con disabilità, lamentando l'errata assegnazione, al RTI aggiudicatario, del punteggio relativo alla certificazione della parità di genere perché posseduta solo dalla mandataria e non anche dalla mandante.

La ricorrente lamenta che l'avvalimento meramente premiale nel caso di specie non sia ammesso perché:

  • escluso espressamente dalla lex specialis della gara, la quale precisa espressamente che «In caso di RTI, consorzi, GEIE e reti d'impresa la certificazione deve essere presentata da tutti»;
  • l'art. 108, c. 7, D.Lgs. n. 36/2023 mira a valorizzare una condizione soggettiva del concorrente relativa alla specifica organizzazione e politica di impresa, che come tale non può essere messa a disposizione di terzi;
  • l'avvenuta adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere può unicamente essere provata dal possesso della certificazione stessa, la quale, proprio perché riguardante una qualifica soggettiva ed anche etica dell'impresa concorrente alla gara, non può essere oggetto di “prestito” in avvalimento ad altra impresa;
  • l'avvalersi della stessa identica certificazione da parte di due imprese diverse costituirebbe un'indebita duplicazione del requisito, non ammessa a norma dell'art. 104, c. 12, D.Lgs. n. 36/2023, il quale recita che «Nei soli casi in cui l'avvalimento sia finalizzato a migliorare l'offerta, non è consentito che partecipino alla medesima gara l'impresa ausiliaria e quella che si avvale delle risorse da essa messe a disposizione»;
  • il contratto d'avvalimento concluso nel caso di specie, non sarebbe comunque idoneo a trasferire il requisito in capo all'impresa ausiliata.

In via preliminare il RTI controinteressato eccepisce l'inammissibilità del motivo per mancata impugnazione degli atti di gara, i quali ammettono in via generale l'avvalimento anche per migliorare l'offerta.

Chiamato a pronunciarsi sulla questione, il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano premette anzitutto che «in conformità all'evoluzione normativa sovranazionale e nazionale, di cui è espressione la disciplina oggi contenuta nell'art. 104 d.lgs. n. 36/2023, abbia previsto l'ammissibilità, oltre all'avvalimento “qualificante”, ossia quello relativo ai requisiti di partecipazione, anche la piena ammissibilità dell'avvalimento premiale relativo all'offerta, ossia di quello inutile ai fini della qualificazione e partecipazione alla gara dell'operatore economico, in quanto esclusivamente finalizzato a migliorare l'offerta».

L'istituto dell'avvalimento è stato innovato dall'art. 104 D.Lgs. n. 36/2024, con (parziale) soppressione del divieto di contestuale partecipazionealla procedura delle imprese ausiliarie e dell'operatore che benefici dell'avvalimento.

Tale divieto, osserva il Tribunale, «precedentemente previsto in via generale dall'ormai abrogato art. 89, comma 7, d.lgs. n. 50/2016, a seguito dei rilievi mossi dalla Commissione europea nella procedura d'infrazione n. 2018/2273, la quale ha ritenuto che un simile divieto incondizionato limiterebbe il diritto delle imprese a partecipare agli appalti pubblici, nel nuovo art. 104 d.lgs. n. 36/2023 è stato mantenuto unicamente per l'ipotesi di avvalimento premiale».

Ciò detto, il Tribunale passa all'analisi della normativa di riferimento da cui si desume che «la certificazione di parità di genere attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell'azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizioni di terzi che poi la potrebbero impiegare nell'esecuzione di un lavoro o di un servizio».

Per questi motivi, il Tribunale accoglie il ricorso con sentenza n. 257 del 4 novembre 2024.

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