
Trattandosi di un'obbligazione di durata, l'Ente previdenziale non può apporre limiti di tempo al godimento della prestazione salvo l'accertamento di sopravvenute modificazioni dei requisiti richiesti per la concessione.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto legittimo il provvedimento di ripetizione adottato da Poste Italiane s.p.a. nei confronti del dipendente C.A. a titolo di recupero delle somme indebitamente erogate, per il periodo luglio 2009-dicembre 2015, a titolo di permessi retribuiti ex art. 33 della legge n. 104 del 1992, condannando il lavoratore al pagamento di euro 18.952,41 nei confronti della società nonché la società al pagamento, in favore dell’INPS, delle somme indebitamente conguagliate per il predetto titolo e per il relativo periodo.
2. La corte di appello ha, in sintesi, rilevato che il lavoratore non aveva fornito la prova della sussistenza del diritto alla fruizione dei permessi, avendo trascurato di richiedere all’ente previdenziale l’autorizzazione a fruirne (avendo solamente ottenuto una autorizzazione provvisoria, con decorrenza dalla data di presentazione, 23.1.2009, sino al 30.6.2009): invero, ha sottolineato la Corte territoriale, trattandosi di beneficio previdenziale era onere del lavoratore presentare apposita domanda all’INPS, unico soggetto legittimato a concederlo, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione, da qualificarsi quale requisito costitutivo del diritto; ha aggiunto che la società, avendo provveduto, in qualità di adiectus solutionis causa, ad anticipare in busta paga la retribuzione relativa ai giorni di godimento dei permessi per poi conguagliare le somme con l’INPS mediante i contributi aziendali dovuti, è tenuta al versamento, in favore dell’ente previdenziale, delle somme indebitamente conguagliate.
3. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso affidato a tre motivi. La società e l’ente previdenziale hanno resistito con rispettivi controricorsi. Il ricorrente e la società hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c.” avendo, la Corte territoriale, violato l’art. 25, comma 6- bis, del d.l. n. 90 del 2014 (convertito dalla legge n. 114 del 2014) che prevede che “nelle more dell’effettuazione delle eventuali visite di revisione e del relativo iter di verifica, i minorati civili e le persone con handicap in possesso di verbale in cui sia prevista rivedibilità, conservano tutti i diritti acquisiti in materia di benefici di qualsiasi natura”.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., motivazione apparente, priva di supporto giuridico, illogica e contraddittoria; nullità della sentenza” con particolare riguardo agli artt. 113 e 132, secondo comma, c.p.c., 3, comma 3, e 33 della legge n. 104 del 1991, avendo, la Corte territoriale, fornito una motivazione apparente, non essendo mai venuta meno l’esistenza del diritto a fruire dei permessi (posto che la moglie del lavoratore è sempre stata dichiarata portatrice di handicap ai sensi della legge n. 104 del 1992) e spettando, semmai, al datore di lavoro o all’INPS l’onere del controllo dei requisiti di legge, requisiti di cui il lavoratore era in possesso (rapporto di lavoro subordinato, situazione di disabilità grave del congiunto riconosciuta dall’apposita Commissione medica costituita presso l’INPS, assenza di ricovero a tempo pieno), non essendo – poi - l’autorizzazione dell’INPS elemento costitutivo del diritto.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, secondo comma, c.c. e omesso esame di un fatto decisivo, avendo, la Corte territoriale, trascurato l’aggravamento del danno procurato dalla negligenza del datore di lavoro che aveva omesso di controllare la sussistenza dei presupposti di legge per la fruizione dei permessi.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. L’art. 25, comma 6-bis del d.l. n. 90 del 2014 (convertito dalla legge n. 114 del 2014), rubricato “Semplificazione per i soggetti con invalidità”, recita: «6-bis. Nelle more dell'effettuazione delle eventuali visite di revisione e del relativo iter di verifica, i minorati civili e le persone con handicap in tutti i diritti acquisiti in materia di benefici, prestazioni e agevolazioni di qualsiasi natura. La convocazione a visita, nei casi di verbali per i quali sia prevista la rivedibilità, è di competenza dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)».
Preliminarmente, va rilevato che la disposizione invocata è stata introdotta in sede di conversione del decreto legge n. 90 del 2014 dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ed è entrata in vigore il 18 agosto 2014, concernendo, quindi, semmai, ratione temporis, un periodo residuale dell’arco temporale complessivo di cui si discute.
In ogni caso, come emerge chiaramente dal tenore testuale della previsione legislativa, l’oggetto della novella riguarda la vigenza degli attestati di invalidità rilasciati dall’INPS nei quali sia prevista una “rivedibilità” dell’evoluzione della patologia: nel caso di specie, la Corte territoriale ha precisato che “non si verte nella valutazione della sussistenza dei presupposti sanitari per la perdurante condizione di portatore di handicap in condizione di gravità, attinente, peraltro, non alla posizione del lavoratore ma del congiunto meritevole di cura e assistenza, ma nella valutazione delle condizioni per accedere al beneficio retributivo pur in assenza della prestazione lavorativa per i giorni e le ore che il lavoratore dedica al congiunto.”. Trattasi, pertanto, di principio di diritto che non presenta profili di decisività riguardo al (diverso) caso di specie.
5. Il secondo motivo di ricorso è fondato nei sensi qui di seguito chiariti, in specie nella parte in cui deduce l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992, sottoponendo un problema interpretativo della stessa.
5.1 L’art. 33 della legge n. 104 del 1992 riconosce alle persone portatrici di disabilità e ai prestatori di assistenza la possibilità di prestare attività lavorativa subordinata per un orario ridotto dietro erogazione, in sostituzione della retribuzione perduta, di un’indennità corrisposta dall’ente previdenziale, con accredito della contribuzione figurativa. Il datore di lavoro, in caso di riconoscimento del diritto da parte dell’ente previdenziale, anticipa al lavoratore fruitore un’indennità pari all’intero ammontare della retribuzione, recuperando l’importo dall’ente assicuratore mediante il meccanismo del conguaglio normalmente utilizzato in caso di erogazione di prestazioni previdenziali in costanza di rapporto di lavoro subordinato (come ad esempio per le indennità di malattia e maternità ex art. 1 del d.l. n. 663 del 1979, convertito dalla legge n. 33 del 1980).
5.2. Questa Corte ha già affermato che, in tema di prestazioni previdenziali ed assistenziali, non è necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall'Inps o l'uso di formule sacramentali al fine di integrare il requisito della necessaria presentazione della domanda amministrativa, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinché la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente (Cass. n. 14412 del 2019). È stato, inoltre, precisato che la domanda amministrativa diretta a ottenere un determinato beneficio è atto con efficacia sostanziale, poiché è dalla data della sua presentazione che decorre la prestazione, domanda che dà impulso al procedimento amministrativo e racchiude la volontà del soggetto di ottenere il beneficio medesimo (Cass. n. 14561 del 2022); la domanda amministrativa costituisce atto recettizio, in quanto determina nell'ente previdenziale l'obbligo cui giunge a conoscenza dell'ente destinatario (Cass. n. 41571 del del 2021).
5.3. La necessità della previa proposizione della domanda amministrativa, quale condizione di accesso ad un determinato beneficio previdenziale o assistenziale, costituisce principio generale dell'ordinamento, che - oltre ad essere di norma positivamente stabilito dalla legge - risulta in termini generali enunciato dall'art. 443 c.p.c., il quale, nel prevedere che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui all'art. 442 c.p.c. non è procedibile se non quando siano esauriti (o si debbano considerare esauriti) i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa, viene ormai costantemente interpretato da questa Corte di legittimità nel senso che la previa presentazione della domanda amministrativa è condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria, con ciò dovendosi intendere che, a differenza del ricorso introduttivo del procedimento contenzioso amministrativo di cui all'art. 443 c.p.c., la presentazione della domanda condiziona lo stesso sorgere del diritto del privato da tutelare eventualmente davanti all'autorità giudiziaria, diritto che non può ritenersi sorto (unitamente allo speculare obbligo dell'ente previdenziale di provvedervi) anteriormente al perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva che nella presentazione della domanda all'ente previdenziale trova appunto il proprio incipit (cfr. in tal senso Cass. n. 732 del 2007 e, più recentemente, Cass. n. 5318 del 2016, Cass. n. 41571 del 2021).
5.4. La domanda amministrativa appartiene all'ampio genus degli atti ricettizi, ossia di quegli atti per la cui efficacia (v. art. 1334 c.c.), in termini tanto di diritto all’erogazione del beneficio vengano portati a conoscenza del destinatario.
5.5. Il diritto alla fruizione dei permessi retribuiti sorge a seguito di presentazione della domanda amministrativa e a fronte della verifica, da parte dell’ente assicuratore, della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge; una volta accertato il diritto, la prestazione si intende riconosciuta sino a quando sopravvengano modificazioni tali da far venire meno i requisiti costitutivi del diritto. Invero, l’art. 33 della legge n. 104 del 1992 non prevede la potestà dell’ente previdenziale di apporre un termine alla titolarità del diritto (come, ad esempio, previsto dall’art. 1, comma 7 della legge n. 222 del 1984 per l’assegno ordinario di invalidità, espressamente caratterizzato dalla temporaneità della prestazione, misurata sul triennio), ma consente – all’INPS o al datore di lavoro - di verificare in via ordinaria la persistenza delle condizioni per il godimento del diritto e prescrive la decadenza dal diritto qualora fatti sopravvenuti facciano venir meno le condizioni richieste per la legittima fruizione (art. 33, comma 7-bis).
5.6. Ebbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato che il lavoratore ha presentato domanda amministrativa relativa alla fruizione dei benefici previsti, per l’assistenza a persona con handicap grave, dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992, con ciò facendo sorgere l’obbligo dell’ente previdenziale di provvedere alla delibazione dell’istanza. La Corte territoriale ha, poi, accertato che l’INPS ha riconosciuto il diritto per un periodo determinato, avvertendo - contestualmente - l’interessato che in caso di accertamento definitivo che avesse dimostrato la carenza dei requisiti richiesti dalla legge per fruire del diritto avrebbe proceduto al recupero dell’indennità. Ebbene, in base ai principi di diritto innanzi esposti, una volta sorto il diritto al beneficio previdenziale (essendo stata verificata la ricorrenza delle condizioni per poterne fruire con decorrenza dalla domanda amministrativa presentata il 23.1.2009), l’ente previdenziale non aveva il potere di circoscrivere, ex ante, nel tempo la prestazione previdenziale in quanto l’interessato era ormai titolare del diritto. Da esso sarebbe decaduto solo se fatti sopravvenuti avessero modificato le condizioni per l’accesso alla fruizione dei permessi. La Corte territoriale non si è, pertanto, conformata ai principi di diritto innanzi esposti, che individuano nella domanda amministrativa il requisito costitutivo del diritto previdenziale preteso con contestuale obbligo dell’ente previdenziale di definire la procedura amministrativa e insorgenza del diritto a fronte della verifica della sussistenza delle condizioni previste dalla legge, senza possibilità di apporre limiti di tempo al godimento della prestazione salvo l’accertamento di sopravvenute modificazioni dei requisiti richiesti per la concessione. Corollario processuale del principio innanzi affermato è la individuazione, a carico dell’INPS o del datore di lavoro, dell’onere di provare la sopravvenuta carenza dei requisiti per fruire del beneficio in discorso (una volta che il relativo diritto sia stato riconosciuto al lavoratore dall’ente previdenziale).
6. Il terzo motivo di ricorso è assorbito.
7. Va, pertanto, espresso il seguente principio di diritto: il diritto ai permessi mensili retribuiti previsti dall’art. 33 della legge n. 104 del 1992 sorge a seguito di domanda amministrativa e, in presenza delle condizioni richieste dalla legge, si configura come obbligazione di durata che permane sino all’accertamento di eventuale sopravvenuta modifica delle predette condizioni.
8. In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto, inammissibile il primo, assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Napoli, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.