
Una volta provato dall'accusa che un determinato bene appartenente all'impresa, poi fallita, sia entrato nella disponibilità dell'amministratore, se ne presume la distrazione se l'autore del fatto non provi di avervi dato legittima destinazione.
La Corte d'Appello confermava la responsabilità penale di Tizio, presidente del CdA di una cooperativa, per il reato di bancarotta distrattiva e di bancarotta fraudolente impropria nella fattispecie di falso in bilancio seguito da fallimento.
Nello specifico, l'imputato era stato condannato per la distrazione di oltre 250mila euro...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Palermo nei riguardi di C.G., perché, nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della cooperativa "U. soc. coop a r.l.", fallita 1'11 ottobre 2013, s'è reso responsabile di bancarotta distrattiva e di bancarotta fraudolenta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, r.d. 267/1942, nella fattispecie di falso in bilancio seguito da fallimento.
In particolare, l'imputato è stato condannato:
per la distrazione di € 251.055,00 mediante prelievi annotati nel libro giornale con causali ritenute generiche e non giustificate (quali "acconto mensilità", "ricarica carta prepagata", ecc.) e di € 546.500,00 mediante erogazioni considerate ingiustificate a favore di cooperative consociate "I. soc. coop." e "E. coop. Sociale s.r.l.";
per aver alterato i dati del bilancio 2011 - al fine di riportare il patrimonio netto della cooperativa in attivo - in particolare: 1. registrando proventi ingiustificati per complessivi € 526.505,94, di cui € 510.914,94 di sopravvenienze attive inesistenti (dipendenti dall'adeguamento dei compensi per prestazioni pregresse erogate al Policlinico G. negli anni precedenti) ed € 15.590,94 per prestazioni di servizi; 2. omettendo di convocare l'assemblea dei soci per deliberare la ricapitalizzazione della cooperativa.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato.
2.1. Col primo motivo ha evidenziato vizi motivazionali in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Sostiene che:
i prelievi erano legati all'attività di gestione della cooperativa, coprendo spese vive come carburante, vitto, cancelleria, parcheggi, ricariche telefoniche e compensi amministrativi, documentati con fatture, scontrini e riepiloghi contabili, prodotti dalla difesa nel corso del dibattimento;
le scritture contabili, a dimostrazione dell'assenza di dolo distrattivo, erano formalmente corrette e complete, come evidenziato dal curatore fallimentare;
in modo contraddittorio, la Corte d'appello, pur riconoscendo la detta completezza delle scritture contabili, tanto da assolvere il ricorrente dalla contestata bancarotta documentale, aveva poi ritenuto le annotazioni generiche ed insufficienti a dimostrare l'utilizzo delle somme distratte;
la Corte, ancora, aveva considerato tardiva e priva di adeguata spiegazione (ad esempio mediante consulenza di parte) la produzione di documenti giustificativi, senza tener conto, da un lato, che nel processo penale non v'è alcuna preclusione temporale per l'allegazione di prove nel dibattimento e che, dall'altro lato, i documenti erano stati riportati, seppur con causali sintetiche, in fogli riepilogativi di agevole consultazione; in tal modo il giudice d'appello avrebbe omesso di prendere atto come per € 93.415,00 gli esborsi fossero giustificati e come, dunque, i prelievi ingiustificati fossero di importo nettamente inferiore a quello contestato;
i trasferimenti a favore di altre cooperative rispondevano a ragioni mutualistiche tipiche del settore cooperativo, giustificate da rapporti di reciproco "dare/avere" tra enti consociati;
la somma inizialmente contestata come oggetto di finanziamento a favore di altre società (€ 546.500,00) era stata comunque, nel corso del procedimento, ridimensionata a € 143.500,00, atteso che una parte di quanto erogato era stato restituito alla fallita.
La sentenza impugnata, in definitiva, per parte ricorrente sarebbe affetta da carenza di motivazione e travisamento delle prove, riportandosi semplicemente alla sentenza di primo grado, senza considerare che spese e finanziamenti contestati non potevano essere qualificati come distrazioni fraudolente in quanto erano stati pienamente giustificati, documentati ed erano inerenti all'attività della cooperativa, in base ai detti dati, il cui esame era stato pretermesso.
La Corte d'appello avrebbe, per parte ricorrente, omesso l'analisi delle prove e degli elementi anzidetti, limitandosi a riportarsi alla sentenza di primo grado, così violando il principio di autonomia della motivazione nei giudizi di secondo grado.
2.2. Col secondo e terzo motivo, parte ricorrente lamenta vizi di motivazione e l'omessa valutazione delle doglianze prospettate con l'appello e delle prove documentali allegate dalla difesa al fine di contrastare l'accusa di bancarotta fraudolenta impropria di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, r.d. 267/1942, nella fattispecie di falso in bilancio seguito da fallimento.
In dettaglio, non si sarebbe considerato che:
la cooperativa "U." operava in regime di mono-committenza con l'Azienda Universitaria Ospedaliera di Palermo, tramite convenzioni annuali per la fornitura di servizi;
dal 2004, la cooperativa aveva accumulato perdite significative, attribuite a una grave sproporzione tra i costi sostenuti per il personale e i compensi versati dall'Azienda Universitaria Ospedaliera, che non erano stati adeguati alle variazioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base anche delle variazioni ISTAT;
il C., insediatosi nel 2007, per ottenere l'adeguamento dei compensi e riequilibrare la sostenibilità economica della cooperativa, nel febbraio-marzo 2008 aveva chiesto ed ottenuto la costituzione di un tavolo tecnico con l'Azienda Universitaria Ospedaliera di Palermo, all'esito del quale l'Assessorato Regionale al Lavoro aveva riconosciuto la legittimità delle richieste della cooperativa, affermando che i compensi dovessero essere aggiornati in base ai nuovi parametri contrattuali;
tuttavia, il commissariamento della detta Azienda nel 2009 aveva interrotto ogni trattativa per l'adeguamento dei compensi, anche se il C. aveva continuato ad adoperarsi nel senso detto, formulando una diffida nei confronti della medesima Azienda e, infine, nel dicembre 2011, in virtù di delibera del consiglio d'amministrazione della cooperativa, proponendo un ricorso al TAR a ciò finalizzato;
peraltro, la scelta di attendere fino al 2011 di adire le vie legali era stata determinata dalla speranza di risolvere il problema con il nuovo rappresentante dell'Azienda Universitaria Ospedaliera dopo il suo commissaria mento;
l'appostazione tra le sopravvenienze attive nel bilancio 2011 di importi solo oggetto di ricorso al TAR era riconducibile a una scelta errata della società di consulenza contabile, Riel Consult s.r.l., tanto più che nessun vantaggio da tale errore era derivato alla fallita, non più operativa (per assorbimento della forza lavoro nella pubblica amministrazione) e non essendo il dissesto (già conclamato nel 2004) stato aggravato dall'errata rappresentazione contabile;
il C. aveva comunque convocato l'assemblea dei soci nel 2011, la quale aveva deliberato la copertura delle perdite mediante rinuncia ai crediti e nuovi versamenti a favore della società, della cui omessa effettuazione egli non avrebbe potuto rispondere;
lo stesso ricorrente, infine, aveva poi ottenuto la stabilizzazione dei lavoratori della cooperativa nella Pubblica Amministrazione.
Secondo la difesa era evidente che la cooperativa fosse stata costretta a operare in un regime di grave sotto-compensazione economica, non imputabile al C., ma al comportamento dilatorio della menzionata committente, sicché le perdite derivavano dal detto mancato adeguamento dei compensi dovuti e non da scelte gestionali o distrazioni imputabili al C..
Sostiene, ancora, parte ricorrente, come la Corte d'appello non avesse indagato in ordine al dolo inteso ad aggravare la situazione economica della cooperativa: anche considerata la legittimità della rivendicazione dell'adeguamento, riconosciuta tale dall'Assessorato al Lavoro nel 2008.
La Corte avrebbe violato il principio secondo cui la bancarotta impropria richiede un nesso causale diretto tra il reato societario e il dissesto, nonché la prova del dolo complesso richiesto.
In definitiva, la sentenza d'appello sarebbe viziata per aver omesso di valutare il contesto, anche amministrativo, in cui si era svolta la vicenda e, in particolare, la responsabilità della società di consulenza contabile per l'errore in bilancio, la pratica inutilità di tale errore, l'attivismo del C. per ottenere l'adeguamento contrattuale e promuovere la ricapitalizzazione societaria, la totale assenza del dolo e, anzi, la sua buona fede, non essendovi prova della sua
consapevolezza di ingannare i creditori e aggravare il dissesto: essendosi, da ultimo, egli prodigato, sempre in modo ragionevole, per garantire la stabilizzazione dei lavoratori della cooperativa nella Pubblica Amministrazione.
2.3. Col quarto motivo di ricorso, si prospetta sia la violazione di legge che vIzI di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Si evidenzia che la difesa avesse chiesto il riconoscimento di tali attenuanti per essersi l'imputato adoperato al fine di far adeguare i compensi dovuti alla cooperativa e risanarla e si era, altresì, impegnato per la stabilizzazione dei soci lavoratori, risultato positivo conseguito, sebbene non per tutti (essendo rimasto non stabilizzato, tra gli altri, proprio l'imputato).
La Corte avrebbe rigettato la richiesta con una motivazione - per parte ricorrente - generica e carente, affermando che non vi fossero elementi favorevoli rilevanti, senza considerare le dette circostanze favorevoli, in contrasto coi principi di proporzionalità e personalizzazione della pena.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, inammissibile per alcuni profili, va nel complesso rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso (sui vizi motivazionali in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva) è inammissibile.
La motivazione della sentenza impugnata non è per nulla apparente, ben potendo aderire, laddove - come nella specie - le condivida, alle valutazioni del primo giudice. È noto, infatti, che, in tema di giudizio di appello, è comunque legittima la sentenza motivata per relationem alla sentenza di primo grado, se il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, Rv. 286406-02) e che, per converso, è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimità della sentenza d'appello solo perché motivata per relationem alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'appello pretermessi (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Rv. 277161-01).
Nella specie il ricorrente non si confronta in alcun modo con la sentenza di secondo grado e con la dovizia di argomenti a carico riassunti in essa e già contenuti in quella di primo grado.
Non considera, in particolare, la difesa come i giudici del merito abbiano ritenuto non solo prodotta al termine del dibattimento di primo grado, ben dopo le richieste di chiarimenti formulate anni prima dal curatore, la documentazione contabile asseritamente giustificativa dei prelievi (desumendo da tanto anche la sua sostanziale irrilevanza, posto che sarebbe stato interesse dell'imputato, ove possibile, chiarire sin da subito le ragioni dei prelievi), ma soprattutto come la stessa fosse del tutto inidonea a giustificare la "massiccia distrazione (251.055,00 euro)" operata (pagine 3-4 sentenza d'appello).
Ma soprattutto, le sentenze di merito hanno rilevato come le causali dei prelievi, prive di specifica alcuna (essendo registrate come "da rendicontare": così nel capo d'imputazione e, poi, nella sentenza di primo grado), non davano contezza del reale destino delle risorse apprese. Il dato è stato valorizzato viepiù in considerazione dell'esiguità di quanto spettante allo stesso imputato quale amministratore (avendo egli, come pacificamente sostenuto con l'atto d'appello ed il ricorso a questa Corte, diritto ad un compenso mensile di soli euro 250,00 e ad un rimborso delle spese vive effettuate nello svolgimento dei suoi compiti, quali, a titolo esemplificativo, spese di carburante, di vitto, di ricarica cellulare, di parcheggio auto, di cancelleria): sicché la mancata specifica degli esborsi sostenuti in concreto, a fronte dei quali erano stati effettuati i cospicui prelievi in discussione, rende le deduzioni difensive inidonee a scalfire quanto accertato in sede di merito. Insomma, nell'affermare che tali generiche deduzione di prelevamenti per spese sostenute e non altrimenti specificate ("da rendicontare") non fossero idonee a dimostrare la correttezza degli stessi e la loro natura non distrattiva, la
sentenza d'appello e quella conforme di primo grado non sono affatto illogiche.
Né sono contraddittorie rispetto all'assoluzione dall'accusa di bancarotta fraudolenta documentale: essendosi chiarito tale assoluzione fosse stata determinata dalla circostanza che, nonostante la detta genericità, la contabilità consegnata dall'imputato non aveva impedito la formale ricostruzione del patrimonio e degli affari societari (consentendo, in concreto, di sapere chi avesse operato i prelievi, seppur per ignota destinazione e in modo distrattivo, come detto).
Tanto è conforme al logico principio secondo cui, «una volta provato dall'accusa che un determinato bene appartenente all'impresa - poi - fallita sia entrato nella disponibilità dell'amministratore, se ne presume la distrazione se l'autore del fatto non provi di avervi dato legittima destinazione (Cass. 5 dicembre 2004, Sabino; Cass. 10 giugno 1998, Vichi)» (Sez. 5, Sentenza n. 14051 del 15/1/2008, non massimata, proprio in relazione alla distrazione di somme; in senso analogo, sulla distrazione di beni, si vedano Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, dep. 2022, Rv. 282643-01 e Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204-01).
Né tanto comporta, a ben vedere, alcuna inversione dell'onere della prova:
posto che, in tali casi, l'imputato risponde per quanto di positivo accertato (ovvero la disposizione, per ignota destinazione, di somme o beni che è acclarato egli abbia posto in essere).
In definitiva, in relazione a tale articolato complesso motivazionale, il ricorrente si limita a chiedere a questa Corte un'inammissibile rivalutazione nel merito.
3. I motivi inerenti al delitto di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario sono infondati.
La Corte d'appello ha chiarito, anche in tal caso condividendo le argomentazioni del giudice di primo grado, che le menzionate difese fossero "all'evidenza eccentriche rispetto al fatto in esame".
In particolare, il giudice d'appello ha evidenziato che, sebbene la società avesse accumulato perdite sin dal 2004 e il patrimonio netto aziendale avesse assunto valori negativi sin dal 2006, l'imputato non avesse intrapreso alcuna iniziativa diretta a rimediare al grave dissesto mediante ricapitalizzazione. Solo nel 2011, con colpevole ritardo, l'assemblea dei soci aveva deliberato il ripianamento delle perdite di esercizio, rinunciando gli stessi soci ai crediti vantati nei riguardi della società e disponendo un versamento integrativo per complessivi 693.725,39 euro: somma, tuttavia, mai versata in concreto proprio in virtù dell'appostazione a bilancio dei proventi inesistenti oggetto di imputazione, sulla base di un presunto diritto all'adeguamento dei compensi versati negli anni precedenti dall'Azienda ospedaliera committente. Tale operazione, insomma, aveva consentito "di mutare artificiosamente il risultato di esercizio e fornire una rappresentazione non veritiera della situazione aziendale, riportando il patrimonio netto ad un valore positivo mediante l'esposizione di un'utile fittizio pari a 346.000 euro" (pagina 6 sentenza d'appello).
Al riguardo, trascura l'imputato di considerare che proprio il mancato adempimento al disposto di cui alla delibera di ricapitalizzazione faceva persistere le condizioni per le quali egli, per il combinato disposto di cui agli artt. 2484, commi 1 e 3, e 2485, comma 1, cod. civ., avrebbe dovuto «senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2484» (così come testualmente previsto dal detto art. 2485 cod. civ.), ovvero procedere a determinare lo scioglimento della società, mediante l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui egli ne accertava la causa: non bastando, evidentemente, il mero adempimento di cui all'art. 2447 cod. civ., dallo stesso richiamato, ovvero la (peraltro tardiva) convocazione dell'assemblea dei soci per deliberare un aumento di capitale rimasto sulla carta. Correttamente i giudici di merito hanno desunto, da tale condotta, che l'imputato abbia, di fatto, consentito il determinarsi di ulteriori perdite, conseguenti al protrarsi della gestione in regime non liquidatorio. Né, peraltro, parte ricorrente si confronta con l'ulteriore affermazione del giudice d'appello (a pagina 6 sentenza d'appello), evidentemente rilevante ai fini del dolo, secondo cui il C. aveva perseverato nell'alterazione di dati contabili anche nell'esercizio successivo, lasciandovi inserito il teorico credito pur dopo la sentenza di rigetto del ricorso amministrativo volto a conseguire l'adeguamento postumo dei compensi erogati negli anni precedenti.
A fronte di tanto, il giudice ha correttamente ribadito l'irrilevanza degli argomenti difensivi anzidetti, ovvero del parere favorevole all'accoglimento delle rivendicazioni della società espresso dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro di Palermo in una nota del 17/03/2008, così come la proposizione del ricorso per ottenere l'adeguamento dei compensi, che, a prescindere dal suo successivo rigetto, in ogni caso anche ex ante rappresentava, al più, un'aspettativa e non un ricavo certo da poter inserire in contabilità e che, di fatto, occultava il rilevante passivo cumulatosi anche con la gestione C..
Ed ancora, correttamente la sentenza d'appello menziona la giurisprudenza di questa Corte che evidenzia che anche il mero aggravamento del dissesto determinato dalle false comunicazioni sociali, che occultando l'esistenza di perdite consentano la prosecuzione dell'attività di impresa senza interventi di ricapitalizzazione o, in alternativa, di messa in liquidazione, con accumulo di perdite ulteriori, è sufficiente ad integrare il dolo del reato di bancarotta impropria da reato societario, insito nella consapevolezza del prolungamento dell'esercizio dell'impresa in una situazione di persistente squilibrio economico (pagina 7 sentenza d'appello): laddove nella specie è pacifico che l'imputato fosse perfettamente a conoscenza (deducendola persino nelle sue difese) dell'insufficienza dei compensi erogati a fronte dei costi sostenuti.
Sul punto, è evidentemente insufficiente, a scalfire il ragionamento della Corte d'appello, il richiamo alla stabilizzazione di parte dei lavoratori nella stessa Azienda ospedaliera, che non comportava il venir meno della società, tanto più che, come rimarcato sin dall'atto d'appello (a pagina 8), la medesima non aveva interessato lo stesso imputato ed altri lavoratori.
In definitiva, la motivazione censurata è logica, priva di lacune e contraddizioni e conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte, secondo cui integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell'attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi. Tanto anche sotto il profilo soggettivo: atteso che far «apparire la situazione patrimoniale più prospera di quella reale al fine di consentire ai soci di mantenere la società operativa senza dover sostenere l'onere economico della sua ricapitalizzazione» configura quell'obiettivo che integra «il dolo specifico del conseguimento di un ingiusto profitto» (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Rv. 282537-01, quanto al dolo in motivazione; confronta, negli stessi termini: Sez. 5, n. 10160 del 13/02/2024, Rv. 286119-01 su un caso analogo - rivalutazione dei beni di cui all'art. 2423, comma 5, cod. civ., funzionale affinché non si manifesti la necessità di ricapitalizzare o di porre in liquidazione la fallita, così determinando l'ulteriore aggravamento del suo dissesto; ed ancora, sempre nello stesso senso: Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Rv. 260394-01; Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, Rv. 261759-01).
4. Le censure di cui al quarto motivo, circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l'entità della pena, sono inammissibili.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549- 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del
16/02/2017, Rv. 270986-01) e, in generale, sulla determinazione della pena, specie se inferiore alla media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
In particolare, poi, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è congruamente motivato con l'assenza di elementi di segno positivo (tanto che non rileva più, ex art. 62-bis, comma 3, cod. pen., l'incensuratezza dell'imputato: Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986-01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489-01).
La decisione censurata ha evidenziato, in senso opposto rispetto al chiesto riconoscimento, la pluralità delle condotte di bancarotta e la gravità dei fatti, correlati ad un danno patrimoniale di rilevante entità alla massa creditoria: tanto, a dire della sentenza d'appello (pagina 8), mostrava un dolo di particolare intensità e una non ridotta capacità delinquenziale.
Trattasi di motivazione priva di manifesta illogicità o altro vizio motivazionale, di cui parte ricorrente chiede, in modo inammissibile, la riforma sulla base di una difforme valutazione di merito.
5. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.