
Svolgimento del processo
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per avere tenuto la contabilità in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari nonché per aver cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società fallita con operazioni dolose, consistenti nella sistematica omissione del pagamento delle imposte e dei contributi dovuti ai lavoratori, dal 2004 al 2016.
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, l'imputato avrebbe
posto in essere tali condotte nella veste: di amministratore unico dal 12 gennaio 2007 al 16 aprile 2007 e, in seguito, dal 25 gennaio 2012 al 27 novembre 2013, di liquidatore da tale data al fallimento, nonché di amministratore di fatto per tutta la durata della società fallita.
2.Avverso la richiamata sentenza il Tizio propone ricorso per cassazione, affidandosi, mediante il difensore di fiducia, avv. omissis, a tre motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti strettamente necessari per la decisione.
2.1.Con il primo denuncia vizio di motivazione sia in ordine all'attribuzione della qualità di amministratore di fatto della società che in relazione all'affermazione della responsabilità inerente le operazioni dolose, anche in ordine alla datazione delle stesse.
A riguardo premette che le decisioni di merito hanno affermato la sua responsabilità penale sulla scorta dei seguenti argomenti: la maggior parte dei debiti era sorta dagli anni 2011 e 2012 in poi, periodi nei quali aveva ricoperto cariche societarie; era stato, comunque, per tutta la durata della società amministratore di fatto e socio della stessa al 90%; in ogni caso, aveva concorso nella condotta degli altri amministratori nell'ambito di una scelta strategica di non pagare imposte e contributi.
Assume, di qui, che la circostanza per la quale i debiti erano sorti soprattutto nelle annualità indicate era frutto di un travisamento probatorio, poiché l'omesso versamento delle imposte risaliva evidentemente a un periodo precedente all'anno 2012 quando era stata notificata la cartella di pagamento, che è atto del procedimento di riscossione coattiva.
Quanto alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto lamenta che, in assenza di indici concreti denotanti gli elementi sintomatici della stessa, questa è stata illegittimamente desunta da una sorta di concorso con gli altri amministratori e dall'essere socio della fallita.
2.2.Con il secondo motivo assume che la sentenza impugnata è incorsa in un vizio di motivazione nel confermare la decisione del Tribunale in punto di integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, stante la formulazione della prospettazione accusatoria in formula alternativa, senza che vi fosse, come assunto dalla Corte territoriale, un passaggio della decisione di primo grado dal quale poter assumere che si fosse di fronte ad un'irregolare tenuta delle scritture stesse.
Lamenta, inoltre, l'illogicità del passaggio della motivazione nel quale si è affermata "l'indifferenza" della circostanza che si trattasse di omessa tenuta o consegna parziale delle scritture, in virtù delle rilevanti conseguenze circa la connotazione del dolo nelle due ipotesi.
2.3.Il ricorrente denuncia, infine, violazione ed erronea applicazione dell'art. 442 cod. proc. pen. in punto di riduzione della pena in misura inferiore a un terzo, atteso che, in base al calcolo operato sin dal giudizio di primo grado, si sarebbe dovuti pervenire a una pena finale di due anni e quattro mesi e non già di due anni e otto mesi di reclusione.
Motivi della decisione
1.L'esame dei primi due motivi di ricorso sottende alcune premesse, essendo con gli stessi dedotto un vizio di motivazione.
1.2. A riguardo, infatti, trova applicazione il principio, espresso da lungo tempo dalle Sezioni Unite, per il quale l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
1.2. Va altresì considerato che quando, come nella fattispecie per cui è processo, la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, integrando una c.d. doppia conforme, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
2.Tanto premesso, il primo motivo non è fondato.
2.1.Occorre considerare che, sul piano oggettivo, le operazioni dolose di cui all'art 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono ad atti intrinsecamente pericolosi per la "salute" economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071; Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684).
In particolare, le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa (Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492). Invero, nel concetto di operazioni dolose non rientrano solo operazioni materiali che si concretano in un tacere, ma anche gli inadempimenti reiterati e sistematici in violazione dei doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo nell'esercizio della carica ricoperta risultano sussumibili nel concetto di "operazioni dolose", quando integrano un'attività di sistematica elusione dei doveri dell'organo gestorio, comportante il fallimento della società, anche se non concretantesi in una diminuzione algebrica dell'attivo patrimoniale, ma determinante, comunque, un depauperamento del patrimonio, non giustificabile in termini di interesse per l'impresa (Sez. 5, n. 43562 del 11/06/2019, Rv. 277125, in motivazione).
Ed è noto che tra le sistematiche omissioni che possono assurgere ad elemento costitutivo del delitto in esame rientrano anche quelle afferenti il mancato pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, Rv. 276996).
2.2.Sul piano soggettivo, come è stato parimenti più volte sottolineato nella giurisprudenza di legittimità, il delitto per cui è processo si sostanzia in un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, nella quale l'onere
probatorio dell'accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell'astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell'azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell'evento fallimentare. Dal che deriva che, ai fini della configurabilità del reato è necessaria la rappresentazione dell'azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto che svolge un ruolo gestorio nella società a fronte degli interessi dell'impresa (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315).
Dunque, l'elemento soggettivo richiesto non è la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, poiché è sufficiente la coscienza e volontà del comportamento integrante l'operazione, con la consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446).
E, infatti, il sistematico inadempimento dei debiti erariali e/o contributivi se, da un lato, arreca sicuri vantaggi all'impresa sotto forma di risparmio dei relativi costi, da un altro, aumenta ingiustificatamente l'esposizione nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali, così rendendo "prevedibile il conseguente dissesto della società" (Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046).
3.Ora, la decisione impugnata, da leggersi unitariamente, nel suo apparato argomentativo, con quella di primo grado, nel ritenere integrata la responsabilità penale del ricorrente per il delitto di causazione del fallimento mediante operazioni dolose, si è posta correttamente nel solco dei richiamati principi interpretativi.
Infatti, come è stato congruamente evidenziato in sede di merito, non è decisiva la circostanza che l'imputato sia stato, o meno, amministratore di fatto della società poiché egli, comunque - anche non volendo considerare il ruolo di amministratore formale svolto per alcuni mesi nell'anno 2007 - nel lungo periodo dal 2012 al 2017 ha rivestito ininterrottamente cariche formali di gestione della società fallita (ovvero, in un primo momento, di amministratore e, in seguito, di liquidatore).
Ed è allora sufficiente, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale per il delitto contestato, atteso che la fallita ha omesso il pagamento delle imposte e dei contributi per quasi tutta la durata della società, che egli abbia perpetrato la condotta di inadempimento in questione, senza rimediare, con il pagamento, che avrebbe del resto anche potuto essere rateizzato, delle imposte precedenti, alle omissioni dei precedenti amministratori.
In questa prospettiva deve leggersi, e si illumina, rendendo non illogica la relativa argomentazione della Corte territoriale, laddove valorizza il concorso con gli altri amministratori della società, nel senso che, comunque, nessuno di loro, compreso il Tizio, ha pagato le imposte, finendo per il condurre la società al dissesto.
Pertanto la sentenza impugnata sotto tali aspetti appare immune da censure, dovendosi peraltro ritenere integrato sul piano dell'elemento soggettivo il dolo generico delle operazioni dolose, consistite nel reiterato inadempimento degli obblighi tributari, e la prevedibilità del dissesto, conseguente all'accumulazione di un'esposizione di oltre settecentocinquantamila euro. In un caso come quello in esame, le ingenti passività accumulate, in un lungo arco temporale, rendono allora meramente accademica qualsiasi disputa sul criterio di prevedibilità - in astratto o in concreto - del fallimento, poiché la situazione economico-finanziaria determinata dal sistematico inadempimento tributario rendeva senz'altro prevedibile in concreto il dissesto della società, sulla base di un giudizio di prevedibilità e non evitabilità altrimenti dell'evento.
4.Il secondo motivo è, invece, fondato.
E' noto che in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - nell'ambito dell'art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un'ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (ex ceteris, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650).
Tanto premesso, nel caso in esame, dinanzi ad una prospettazione accusatoria generica perché in formula alternativa e alle puntuali doglianze dell'imputato nei confronti della sentenza di primo grado che aveva ritenuto sufficiente il dolo generico rispetto ad una condotta di ritenuta omessa tenuta delle scritture contabili, la decisione impugnata ha disatteso le relative censure, sovrapponendo erroneamente le due distinte fattispecie (ed incorrendo, così, in un'ulteriore e decisiva confusione). Si è invero evidenziato, per sottintendere che la condotta poteva essere sorretta sul piano soggettivo dal dolo generico, che la pronuncia di primo grado avrebbe condannato l'imputato per bancarotta documentale "nella forma della irregolare tenuta" in virtù della "parzialità della produzione". Parzialità della produzione che, tuttavia, a fronte, si ripete, anche delle modalità con le quali è stato formulato il capo di imputazione, avrebbe dovuto essere semmai essere considerata una condotta di parziale occultamento delle scritture, con conseguente necessità del dolo specifico.
5.Assorbito, pertanto, il terzo motivo afferente il trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di appello di Roma;
Rigetta nel resto il ricorso.