
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Ancona confermava la decisione del Tribunale di Fermo, che aveva respinto la domanda proposta dalla sig.ra A.A. nei confronti dei figli-eredi del sig. E.E., volta ad accertare l'esistenza dell'impresa familiare relativa all'azienda agricola "Il Poggio del Belvedere di E.E." nel periodo dal 2004 al 28.11.2012, data del decesso del sig. E.E., nonché ad ottenere condanna dei coeredi del E.E. alla liquidazione della quota a lei spettante quale partecipe all'impresa.
La ricorrente aveva dedotto di aver convissuto con il sig. E.E. - già sposato con altra donna - sin dall'anno 2000 dopo aver intrapreso con lui, nel 1988, una relazione sentimentale.
La convivenza stabile, iniziata in località (Omissis), era poi proseguita a M ove la coppia si era trasferita nel 2008, avendo il E.E. acquistato un fondo rustico al quale erano via via susseguite altre acquisizioni e la costruzione di una cantina per la produzione del vino oltre che avviata un'attività di ricezione turistica.
La A.A. aveva, quindi, dedotto di aver prestato attività lavorativa in modo continuo nell'azienda del E.E. denominata "Il Poggio del Belvedere di E.E.", e ciò dal 2004 (anno di iscrizione del registro delle imprese) fino al 2012 (anno di decesso del E.E.).
Il Tribunale aveva respinto la domanda rilevando che il riconoscimento della quota di partecipazione all'impresa familiare exart. 230-biscod. civ. presuppone la sussistenza di un rapporto di coniugio o di parentela o affinità a termini dell'art. 230-biscod. civ. e ritenendo non applicabile detta disciplina alla convivenza.
2. Egualmente la Corte territoriale, per quanto qui rileva, riteneva che l'art. 230-biscod. civ. non trovasse applicazione nei confronti del "convivente di fatto", non potendo quest'ultimo essere considerato "familiare" ai sensi del comma 3 dell'art. 230-biscod. civ.
Evidenziava che, in ogni caso, emergevano plurime circostanze ostative alla ipotizzata partecipazione all'impresa familiare: - l'essere il sig. E.E. rimasto fino alla morte formalmente legato in matrimonio con F.F.; - l'essere stato stipulato, sia pure per un periodo più limitato rispetto a quello dedotto dalla ricorrente (dal 2004 al 2012), un contratto di lavoro subordinato tra la sig. A.A. e l'azienda, condizione escludente l'applicazione dell'art. 230-biscod. civ., che espressamente prevede una residualità della disciplina dell'impresa familiare (comma 1: "Salvo che non sia configurabile un diverso rapporto..."); - l'essere risultata la sig.ra A.A. regolarmente assunta presso la Regione Lombardia.
Aggiungeva che non poteva trovare applicazione l'art. 230-tercod. civ., essendo il rapporto di convivenza cessato nel 2012, ossia prima dell'entrata in vigore dellalegge n. 76/2016che ha esteso ai conviventi la disciplina dell'impresa familiare.
3. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4. B.B., D.D. e C.C. hanno resistito con controricorso.
5. Il Collegio della Sezione Lavoro di questa Corte ha, quindi, emesso l'ordinanza interlocutoria n. 2121/2023, depositata in data 24 gennaio 2023, con cui ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
L'ordinanza, dopo aver ricordato l'orientamento di legittimità secondo il quale presupposto per l'applicabilità della disciplina in materia di impresa familiare è l'esistenza di una famiglia legittima con la conseguenza che l'art. 230-biscod. civ. non è applicabile nel caso di mera convivenza, ovvero alla famiglia cosiddetta "di fatto", trattandosi di norma eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica (cosìCass., 29 novembre 2004, n. 22405), ha ritenuto che lo stesso fosse meritevole di una revisione alla luce sia degli interventi legislativi e/o per via giurisprudenziale realizzanti una "apertura" nei confronti della convivenza more uxorio.
Ha così richiamato la recente introduzione dell'art. 230-tercod. civ., ad opera dell'art. 1, comma 46, dellalegge 20 maggio 2016, n. 76(c.d. legge Cirinnà), che ha previsto per il convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, salvo che tra i conviventi non esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
Ha, inoltre, richiamato le pronunce della Corte costituzionale che hanno attribuito rilevanza alla convivenza more uxorio nelle ipotesi in cui venga in considerazione la lesione di diritti fondamentali come il diritto sociale all'abitazione (sentenza n. 559 del 1986 e n. 404 del 1988) ovvero il diritto alla salute (sentenza n. 213 del 2016) nonché quelle che, nel settore penale, hanno affermato che può beneficiare della scriminante di cui all'art. 384, comma 1, cod. pen. anche il convivente more uxorio (sentenze n. 416 e n. 8 del 1996; ordinanza n. 121 del 2004; sentenza n. 140 del 2009).
Considerata, poi, l'impossibilità di applicare retroattivamente la disciplina del 2016 e dato atto dell'evoluzione che si è avuta nella società con sempre maggiore diffusione della convivenza more uxorio (di cui hanno tenuto conto sia il legislatore con la riforma del 2016 sia la Corte costituzionale) ha sottolineato che una esclusione del convivente che per lungo tempo abbia lavorato nell'impresa familiare dalla tutela di cui all'art. 230-biscod. civ. si porrebbe in contrasto non solo con gliartt. 2e3Cost. ma soprattutto con la giurisprudenza della Corte EDU e con il diritto UE.
Ha richiamatoCass. Pen., Sez. Un., 17 marzo 2021, n. 10381che, in difformità rispetto ai precedenti di legittimità nel senso della insuscettibilità di una interpretazione estensiva o analogica, ha affermato che l'art. 384, comma primo, cod. pen., in quanto causa di esclusione della colpevolezza, è applicabile analogicamente anche a chi abbia commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente "more uxorio" da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore.
Ha evidenziato che in detta pronuncia il Giudice di legittimità ha precisato come la vita dei conviventi di fatto rientri nella concezione di "vita familiare" ormai da tempo elaborata dalla Corte EDU in sede di interpretazione dell'art. 8, par. 1, CEDU.
Ha sottolineato che la Corte EDU, pur avendo ricondotto la tutela dei vincoli affettivi discendenti dalla convivenza di fatto, ha tuttavia considerato legittima la limitazione di tale diritto (ad esempio, in ragione dell'esigenza di tutelare gli interessi connessi all'amministrazione della giustizia penale) riconoscendo altresì la possibilità di bilanciamenti differenziati per le coppie sposate e le convivenze di mero fatto, secondo la discrezionale valutazione del legislatore.
Ha ritenuto perciò indispensabile un intervento nomofilattico al fine di chiarire "se l'art. 230-bis, comma terzo, cod. civ. possa essere evolutivamente interpretato (in considerazione del mutamento dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso) in chiave di esegesi orientata sia agliartt. 2,3,4e35Cost. sia all'art. 8CEDU come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l'applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità", questione "di massima di particolare importanza", da sottoporre alle Sezioni Unite.
6. Il Primo Presidente, in ragione della particolare importanza della questione di massima, ha assegnato la controversia a queste Sezioni unite.
7. Fissata l'udienza di pubblica discussione e discussa la causa all'udienza del 24.10.2023, con l'acquisizione delle conclusioni anche scritte del procuratore Generale (che ha chiesto rigettarsi il ricorso) questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 1900/2024, ha sospeso il giudizio e rinviato gli atti alla Corte costituzionale.
Ha premesso che nel caso in esame, sul presupposto della inapplicabilità ratione temporis al caso di specie dell'art. 230-tercod. civ. e della impossibilità di un'applicazione estensiva dell'art. 230-biscod. civ. (nel senso di estendere al convivente di fatto la medesima tutela prevista per il familiare), era stato del tutto pretermesso (verosimilmente proprio in ragione del condizionamento derivante dalla ratio decidendi costituita dall'impossibilità di qualificare la A.A. come familiare ai sensi dell'art. 230-biscod. civ.) ogni accertamento in concreto circa l'effettività e la continuatività dell'apporto lavorativo della predetta nell'impresa familiare, apporto che si assume determinativo dell'accrescimento della produttività dell'impresa.
Ha valutato la non incidenza, ai fini della rilevanza, degli ulteriori elementi indicati dalla Corte territoriale (a) l'esistenza di un formale rapporto di coniugio del titolare dell'impresa; b) l'aver avuto, la ricorrente, un rapporto di lavoro subordinato, ancorché per un periodo limitato; c) l'avere in corso, la ricorrente, un rapporto di lavoro con la Regione Lombardia), dovendosi ricordare che l'art. 230-bis al comma 3 qualifica la partecipazione del convivente familiare quale "collaborazione" all'attività economica.
Ha quindi posto, ritenendola non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 230-biscod. civ. nella parte in cui non include nel novero dei familiari anche il convivente di fatto per violazione degliartt. 2,3,4,35e36Cost., nonché dell'art. 9dellaCarta dei diritti fondamentali dell'U.E., ed ancora, per il tramite dell'art. 117, comma 1 Cost., degliartt. 8e12CEDU. Ha, altresì, evidenziato che le prospettate censure di incostituzionalità si riverberavano, in termini di illegittimità derivata, anche sull'art. 230-tercod. civ. che non ha riconosciuto al convivente di fatto la stessa tutela del coniuge/familiare ma una tutela differenziata ed inferiore (il che non rendeva percorribile, data l'insuperabilità della lettera dell'art. 230-biscod. civ. e gli evidenziati rischi di distonia del sistema, la strada di una interpretazione della disposizione qui in esame conforme alla Costituzione ed alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea).
8. LaCorte costituzionale, con sentenza n. 148 del 2 luglio 2024, depositata in data 25 luglio 2024, pubblicata in G.U. 31 luglio 2024 n. 31 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevedeva come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto, ciò per la violazione del diritto fondamentale al lavoro (artt. 4e35Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), in un contesto di formazione sociale, quale è la famiglia di fatto (art. 2Cost.), nonché per violazione dell'art. 3Cost.; ha dichiarato, altresì, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27dellalegge 11.3.1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 230-tercodice civile.
9. È stato presentato ricorso in riassunzione da A.A. successivamente illustrato da memoria.
10. È stata fissata l'adunanza camerale con rituale invio dell'avviso alle parti costituite.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
Sostiene che il rapporto di lavoro con la Regione Lombardia (iniziato nel 1989 e proseguito con contratto di lavoro al 100% fino al 31.12.2020, e poi, a partire dal 01.01.2012, con contratto part-time verticale al 50%) non abbia influito sulla sua partecipazione all'azienda, profusa sia nell'intrattenimento di rapporti esterni con i vari enti (Comune, Provincia, Regione, Asur ecc.), clienti, fornitori, professionisti e nell'organizzazione di eventi promozionali e nella creazione e sviluppo dell'azienda sotto il profilo della costituzione della rete commerciale, sia nella diretta attività nei campi (nei periodi di raccolta delle uve e delle olive) insieme con i braccianti che in precedenza aveva assunto e selezionato.
Assume, inoltre, che il rapporto di lavoro subordinato intrapreso per brevi periodi con l'azienda agricola del E.E. sia stato simulato ai soli fini assicurativi e, pertanto, lo stesso dovrebbe essere letto nella prospettiva delle condizioni familiari in cui si è svolto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 230-biscod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Deduce che la Corte territoriale ha statuito erroneamente laddove non ha considerato le mutate sensibilità sociali in materia di convivenza, oltre che le aperture della giurisprudenza di legittimità e della giurisprudenza costituzionale verso il convivente more uxorio; in tal senso, secondo la ricorrente, la disciplina dell'impresa familiare dovrebbe trovare applicazione anche in mancanza di una norma rivolta espressamente al convivente, in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 230-biscod. civ.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degliartt. 230-bise230-tercod. civ. e dell'art. 11delle Preleggi.
Sostiene che, in ambito civile, il principio di irretroattività non è presidiato da una norma costituzionale e, pertanto, può essere derogato purché ciò risponda a criterio di ragionevolezza e di maggior giustizia.
4. Alla luce dellasentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 2024il ricorso, in tutti i motivi in cui è articolato, deve essere accolto.
Le censure ruotano su una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 230-biscod. civ., anche in relazione all'art. 230-tercod. civ., e pongono in rilievo la circostanza che la Corte territoriale, sul presupposto della inapplicabilità ratione temporis al caso di specie dell'art. 230-tercod. civ. e della impossibilità di un'applicazione estensiva dell'art. 230-biscod. civ. (nel senso di estendere al convivente di fatto la medesima tutela prevista per il familiare), ha del tutto pretermesso (verosimilmente proprio in ragione del condizionamento derivante dalla ratio decidendi costituita dall'impossibilità di qualificare la A.A. come familiare ai sensi dell'art. 230-biscod. civ.) ogni accertamento in concreto circa l'effettività e la continuatività dell'apporto lavorativo della predetta nell'impresa familiare, apporto che si assume determinativo dell'accrescimento della produttività dell'impresa.
È evidente che l'intera ratio decidendi va rivista alla luce del pronunciamento della Corte costituzionale.
5. Da tanto consegue che il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla dinanzi alla Corte d'Appello di Ancona che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame tenendo conto della pronuncia del Giudice delle leggi interpretativa additiva dell'art. 230-bisterzo comma cod. civ. ed in via conseguenziale demolitoria dell'art. 230-tercod. civ.
6. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese, alla Corte d'Appello di Ancona, in diversa composizione.