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25 luglio 2024
Estesa anche al convivente di fatto la disciplina sull’impresa familiare

Incostituzionale l'art. 230-bis c.c. laddove non include tra i familiari, oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo, anche il convivente di fatto e non qualifica come “impresa familiare” anche quella in cui egli collabora.

di La Redazione

Ai sensi dell'art. 1, comma 36, Legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), per “conviventi di fatto” si intendono

legislazione

«due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale».

Tuttavia, le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio restano, ma per la Corte costituzionale ciò non è ammesso quando siano in gioco i diritti fondamentali, perché questi vanno riconosciuti senza alcuna distinzione.
Ecco perché con la sentenza n. 148depositata oggi, la Consulta ha accolto le questioni sollevate dalle Sezioni Unite Civili in relazione alla disciplina dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c. nella parte in cui esclude dal novero dei “familiari” il convivente more uxorio.

Il profondo mutamento che ha interessato la società sotto questo profilo è stato infatti accompagnato da un'evoluzione normativa sia a livello nazionale, sia a livello giurisprudenziale, grazie al quale le famiglie composte da conviventi di fatto oggi godono di piena dignità.
Così deve essere su ogni versante e, in particolare, quando si tratti di diritti fondamentali, tra i quali vi è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, diritto che nell'ambito dell'impresa familiare richiede eguale tutela poiché anche il convivente di fatto, al pari del coniuge, rischia di essere inesorabilmente coinvolto nell'orbita del lavoro gratuito, se non adeguatamente tutelato.

A fronte dell'irragionevole inclusione del convivente di fatto tra i familiari di cui al comma 3 dell'art. 230-bis c.c., si colloca di conseguenza anche l'illegittimità costituzionale dell'art. 230-ter c.c. nella parte in cui comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di tutela in sede di attribuzione al convivente di fatto di una tutela ridotta che non include il riconoscimento del lavoro nella famiglia, il diritto al mantenimento e i diritti partecipativi nella gestione dell'impresa familiare.

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