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26 aprile 2023
Privacy
Il trattamento dei dati effettuato dall’Ordine degli Avvocati sotto la lente del Garante
Affinché uno specifico trattamento di dati personali possa essere lecitamente effettuato da parte di un soggetto pubblico, lo stesso deve essere necessario per l'adempimento di un obbligo legale da parte del titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri e deve trovare il proprio fondamento in una disposizione che abbia le caratteristiche di cui all'art. 2-ter del Codice della privacy. Questo quanto sancito dall'Autorità Garante dei Dati Personali con il Provvedimento n. 121 dello scorso 13 aprile.
di Compliance & Privacy Specialist Marco Miglietta
Il caso

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Con reclamo presentato dinanzi all'Autorità Garante della Protezione dei Dati Personali, un avvocato rappresentava la presunta violazione della disciplina sulla protezione dei dati personali in relazione alla procedura di registrazione al portale web di accesso al gratuito patrocinio di un Ordine degli Avvocati. Nello specifico, il reclamante lamentava che per poter presentare “istanza di ammissione al gratuito patrocinio” per i propri clienti, fosse necessario utilizzare il portale “come unica via per poter procedere all'inoltro della domanda” e che “la procedura di attivazione del profilo – oltre a vari dati – chiedeva espressamente la casella PEC del professionista e la password di accesso alla casella di posta elettronica certificata.

Il diritto

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All'esito dell'attività istruttoria e alla luce di quanto emerso dagli atti e dalle dichiarazioni rese dall'Ordine degli Avvocati in qualità di titolare del trattamento nonché dall'accertamento compiuto sulla base degli elementi acquisiti e dalle successive valutazioni, l'Autorità Garante ha stabilito che l'Ordine ha effettuato il trattamento delle credenziali di autenticazione delle caselle PEC degli avvocati in assenza di un'idonea base giuridica. Dalla documentazione emergeva infatti che l'Ordine ha reso disponibile un portale attraverso il quale gli avvocati erano tenuti a inserire e gestire le istanze di gratuito patrocinio. In particolare, il modulo di registrazione presente all'indirizzo web di accesso al portale - oltre alle informazioni relative ai dati di registrazione (nome, cognome, codice fiscale, foro di appartenenza, indirizzo dello studio legale), ai parametri di accesso (codice fiscale e password) e alle dichiarazioni circa l'iscrizione all'“elenco degli avvocati per il Patrocinio a spese dello stato” - richiedeva l'inserimento dei c.d. “Parametri PEC” (“indirizzo PEC”, “gestore PEC”, “utente PEC” e “password PEC”). Al riguardo, l'Ordine dichiarava che le ragioni che avrebbero reso necessaria l'adozione del portale sarebbero legate all'esigenza di “lavorare le istanze e portarle a delibera in tempi molto ridotti per agevolare l'istante che ha diritto al Gratuito Patrocinio […] ciò anche in considerazione del fatto che la maggior parte delle istanze ha a proprio fondamento ragioni di disagio sociale ed economico, […] che meritano di essere vagliate nel minor tempo possibile” e che la base giuridica del trattamento sarebbe costituita dal D.P.R. n. 115/2002. Veniva inoltre rappresentato che “il trattamento dei dati raccolti durante la registrazione [… veniva] effettuato […] sia per espresso consenso sia per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico” e che le password di accesso alle caselle PEC degli avvocati, “richieste in fase di registrazione con lo scopo di verificare se i parametri inseriti permettono l'invio nel momento della presentazione dell'istanza”, ancorché non venissero “in nessun modo salvate nei server”, venivano “cifrat[e] con algoritmo AES256 e memorizzat[e] all'interno di un cookie tecnico nel browser dell'utente”. Successivamente, l'Ordine evidenziava che le predette modalità di trattamento delle credenziali di autenticazione delle caselle PEC degli avvocati non sono utilizzate “da anni perché, visti i vari aggiornamenti dei browser in merito alla sicurezza che alcune volte non rendevano armonico quanto sopra, si è optato per richiedere la password della pec ad ogni invio” precisando che, all'atto della registrazione al portale, “la password della pec è richiesta solo per verificare la correttezza dei dati inseriti (tramite invio di una pec di test)”. 

In relazione alle succitate rappresentazioni dell'Ordine degli Avvocati, il Garante ha preliminarmente ribadito che un trattamento di dati personali consiste in una “qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione” (art. 4, punto 2), del GDPR). 

Sulla base dei succitati elementi, l'Autorità Garante ha ritenuto che le operazioni descritte danno luogo a un trattamento di dati personali da parte dell'Ordine, soggetto all'applicazione del quadro normativo in materia di protezione dei dati personali. Nel caso in esame infatti – prosegue il Garante - risulta dalle dichiarazioni che l'Ordine, ancorché non abbia conservato nessuna credenziale di autenticazione delle caselle PEC degli avvocati (nome utente e password) sui sistemi informatici gestiti da una società terza per conto dell'Ordine ha effettuato trattamenti dei predetti dati personali, sia all'atto delle registrazione di un utente al portale in questione (momento in cui la password, in chiaro, veniva raccolta, cifrata e memorizzata all'interno di un asserito “cookie tecnico”), sia all'atto della presentazione di un'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (momento in cui la password, memorizzata in forma cifrata all'interno del predetto “cookie tecnico”, veniva raccolta, decifrata e utilizzata dal portale per l'invio, per conto dell'avvocato, del messaggio PEC contenente l'istanza). 

Ciò premesso, l'Autorità ha evidenziato che, affinché uno specifico trattamento di dati personali possa essere lecitamente effettuato da parte di un soggetto pubblico, lo stesso deve essere necessario per l'adempimento di un obbligo legale da parte del titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri e deve trovare il proprio fondamento in una disposizione che abbia le caratteristiche di cui all'art. 2-ter del Codice Privacy. 

Non può inoltre essere ritenuto rilevante, sottolinea il Garante, ai fini della valutazione della complessiva condotta del titolare del trattamento, quanto rappresentato dall'Ordine in merito al fatto che “la registrazione viene effettuata dal titolare del trattamento sia per espresso consenso sia per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico”. Ciò in quanto il consenso non costituisce, di regola, un valido presupposto di liceità per il trattamento dei dati personali in ambito pubblico in ragione dello squilibrio della posizione degli interessati rispetto al titolare del trattamento. Il Garante ha inoltre osservato che, in base alla documentazione acquisita agli atti, non risulta che per registrarsi al portale in esame, venisse richiesta la prestazione di un consenso al trattamento dei richiamati dati personali. In ogni caso – prosegue l'Autorità - il consenso invocato dall'Ordine non avrebbe potuto ritenersi, nell'ambito del trattamento in esame, una “manifestazione di volontà libera” (art. 4, punto 11), del GDPR) considerato che gli avvocati erano portati a considerare obbligatorio l'utilizzo del citato portale, in base a quanto riportato sull'avviso pubblicato sul sito web dell'Ordine, secondo il quale “il deposito di tutte le istanze [di patrocinio a spese dello Stato] potrà avvenire solo tramite l'utilizzo dell'apposita piattaforma telematica”. Né il trattamento delle credenziali di autenticazione delle caselle PEC (nome utente e password) utilizzate dagli avvocati può ritenersi autorizzato in quanto non risulta “necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento” (art. 6, par. 1, lett. e), del GDPR), potendo tale finalità essere perseguita con mezzi meno invasivi, che non mettano a rischio i diritti e le libertà degli interessati (prevedendo, ad esempio, che sia l'avvocato stesso a provvedere autonomamente al suddetto invio nel rispetto della richiamata disciplina di settore). 

Il Garante ha inoltre ritenuto che il trattamento delle credenziali di autenticazione delle caselle PEC, effettuato con le predette modalità (con o senza archiviazione delle credenziali stesse nell'asserito “cookie tecnico”), si pone in contrasto con il principio di “integrità e riservatezza”, di cui all'art. 5, par. 1, lett. f), del GDPR in quanto il trattamento, così come configurato, non garantisce un'adeguata sicurezza dei dati personali e comporta gravi e ingiustificati rischi per i diritti e le libertà degli interessati derivanti da potenziali accessi non autorizzati alla casella PEC in uso all'avvocato, che contiene dati personali, anche appartenenti alle categorie particolari o relativi a condanne penali e reati, riferibili non solo all'avvocato stesso ma anche ai suoi assistiti o ad altri soggetti (avvocati, magistrati, ecc.). Inoltre, prosegue l'Autorità Garante, in considerazione dell'abitudine di molti utenti a riutilizzare la stessa password, o comunque una password molto simile, per l'accesso a una pluralità di servizi online, un'eventuale violazione delle predette credenziali di autenticazione potrebbe determinare effetti negativi anche in relazione a trattamenti effettuati in contesti diversi da quello in esame. 

Il Garante ha inoltre sottolineato che, sulla base della documentazione acquisita agli atti e delle dichiarazioni rese dal titolare del trattamento, risulta che l'Ordine non ha fornito agli interessati, all'atto della registrazione al portale, le informazioni relative al trattamento dei dati personali ivi effettuato. In un primo momento in quanto, nonostante il modulo di registrazione rinvenibile alla citata pagina web richiedesse la presa “visione dell'informativa privacy”, su tale pagina non risultava presente alcun link all'informativa, mentre, attualmente, è presente un link alla “privacy policy” riguardante le attività online effettuate nell'ambito del sito della società terza gestore del sito, che indica come titolare del trattamento la predetta società e non fornisce, quindi, informazioni relative allo specifico trattamento effettuato nell'ambito del Portale oggetto del reclamo.

La lente dell'autore

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L'Autorità Garante della Protezione del Dati Personali, con il Provvedimento n. 121 del 13 aprile u.s., ha pertanto dichiarato illecita la condotta tenuta dall'Ordine degli Avvocati ed ha ingiunto a quest'ultimo ai sensi dell'art. 166, comma 8, del Codice della privacy, il pagamento di euro 20.000 euro. L'Ordine dovrà inoltre comunicare al Garante, fornendo un riscontro adeguatamente documentato, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, le iniziative intraprese per assicurare la conformità del trattamento dei dati al Regolamento.

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