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La parte ricorrente, ovvero il PM presso il Tribunale di Padova, ricorreva avverso l'atto di nascita trascritto nei registri dello Stato Civile dello stesso Comune, richiamando e riportando normativa e giurisprudenza e chiedendo la rettifica dello stesso atto con la conseguente cancellazione del nome della madre non biologica e del suo cognome. |
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Il Tribunale ha ravvisato una configurabilità delle ragioni, in logica del rapporto interorganico tra Sindaco (quale ufficiale di Governo) e Ministero dell'Interno, rilevando comunque anche un interesse autonomo del Ministero dell'Interno relativamente alla vigilanza sugli uffici finalizzati all'uniformità dell'indirizzo. Il Collegio, poi, ha concluso affermando che dal momento che le contestazioni dello status di figlio sono azioni tipizzate, qualora si debba accertare il vero legame di filiazione, è necessario esperire un'azione di veridicità dell'atto di nascita poiché esso è formato dalle dichiarazioni dei genitori e dunque, un'azione di stato. È qui esclusa di conseguenza l'azione del PM, non legittimato perché anche se “nell'interesse del minore” , questo deve passare dal vaglio del Tribunale. |
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La decisione del Collegio di Padova ha tenuto in rilievo le garanzie del minore, sia sostanziali che processuali. Infatti, per poter contestare l'iscrizione dell'atto di nascita nei registri dello Stato Civile, il PM avrebbe dovuto esperire un'azione di stato e non un'azione di rettifica dello status di figlio. Azione di stato che, però, sarebbe dovuta passare dal vaglio del Tribunale che ne avrebbe accertato “l'interesse del minore”. Dal punto di vista sostanziale, la registrazione dell'evento nascita costituisce un diritto della persona riconosciuto dal nostro ordinamento e fino a quando non esiste l'atto di nascita ovvero non viene registrato, non esistono per la persona i diritti civili che la collegano con l'ordinamento giuridico, come il diritto al nome o il diritto all'identità personale. Anche la Corte di Cassazione ha chiarito in alcune sue pronunce che il bambino nato da genitori di sesso diverso ha gli stessi diritti del bambino nato in "condizioni diverse" ovvero da genitori dello stesso sesso. Ad esso deve essere attribuito lo status di figlio per il partener della madre che ha condiviso con il genitore genetico il disegno procreativo e che ha concorso a prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita, perché da ciò deriva l'identità del minore ed è nel suo miglior interesse. |
Tribunale di Padova, Volontaria Giurisdizione, decreto 1° febbraio 2024
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Padova, rappresentando che:
- presso il Comune di Padova era stato iscritto l'atto di nascita del minore sopra riportato;
- che l'atto contiene l'indicazione di due genitori dello stesso sesso femminile;
- ai sensi dell'art. 449 c.c. i registri di stato civile sono tenuti in conformità alle norme contenute nell'ordinamento di stato civile;
- in particolare l'art. 30 D.P.R. 398/2000 prevede che solo la madre biologica ha diritto di essere menzionata nell'atto di nascita, unitamente al padre di sesso diverso;
- la legge 40/2004 tra i requisiti soggettivi richiede la diversità di sesso tra i genitori; richiamata la Giurisprudenza di legittimità in materia e i compiti di vigilanza attribuiti al Procuratore della Repubblica sui registri di Stato Civile;
chiedeva la rettifica dell'atto di nascita redatto dal Comune di Padova, con cancellazione dell'indicazione del nominativo della madre non biologica e conseguente cancellazione del suo cognome.
Il Giudice Tutelare depositava il parere richiesto dal Tribunale concludendo nei seguenti termini: "... il procedimento di adozione in casi particolari rappresenta, allo stato attuale, con le evoluzioni giurisprudenziali sopra riportate, l'istituto presente nel nostro ordinamento per poter riconoscere al minore lo status di figlio del genitore di intenzione, ponendolo cosi al riparo da interpretazioni contrastanti della normativa relativa ad altri possibili strumenti e conseguentemente da future contestazioni sulla effettività del suo status.
Per questa ragione, si ritiene che sia conforme all'interesse dei minori promuovere l'azione ex art. 44 lett. D) L 184 del 1983 da parte dei genitori, a prescindere dall'esito del presente procedimento o degli eventuali gradi successivi".
Si costituiva con memoria il Comune di Padova, il quale premettendo che:
- le resistenti si erano presentate presso l'Ufficio di Stato Civile del Comune di Padova con l'attestato di nascita rilasciato dall'Azienda Ospedaliera e con una dichiarazione congiunta con la quale davano atto di avere fatto ricorso come coppia alla PMA con fecondazione eterologa all'estero, manifestando la volontà di essere indicate entrambe come genitori del bambino all'atto di nascita;
- l'Ufficiale dello Stato Civile riceveva le dichiarazioni di nascita ex art. 30 D.P.R. 396/2000 e della madre d'intenzione formando l'atto di nascita;
sosteneva pregiudizialmente la legittimazione dell'Avvocatura civica al patrocinio del Sindaco nel presente procedimento, in quanto pur esercitando poteri delegati dallo Stato ex lege in qualità di Ufficiale di Governo, il Sindaco rimane soggetto autonomo sia strutturalmente che istituzionalmente rispetto allo Stato. In particolare, il Sindaco può derogare al patrocinio dell'Avvocatura della Stato, previsto dall'art. 43 RD 1611/1933, nelle ipotesi, come quella in esame, di conflitto di interessi, potendo decidere di difendersi tramite il proprio ufficio legale.
Eccepiva in via preliminare l'inammissibilità del procedimento di rettificazione ai sensi dell'art 95 DPR 362/2000 in quanto la domanda del Pubblico Ministero, si sostanzierebbe non in una correzione di un errore commesso al momento della redazione dell'atto o di una mera violazione di legge, ma in una richiesta avente ad oggetto la rimozione definitiva rispetto ad una delle resistenti dello status di genitore del figlio, per la quale l'Ordinamento impone di avvalersi delle azioni di stato e segnatamente, alla luce dello specifico oggetto della contestazione, del rimedio di cui all'art. 263 c.c., secondo le forme del procedimento a cognizione piena e con le garanzie costituzionalmente previste. La dichiarazione di nascita consiste, sotto il profilo prettamente giuridico, in un accertamento di grado intermedio, avente i contenuti dell'art. 253 c.c. per cui quanto viene dichiarato nell'atto di nascita può essere superato solo da una sentenza resa in un giudizio sullo status e non certo dal procedimento ex art. 95 e ss. del D.P.R. 396/2000.
Nel merito, dopo avere richiamato l'evoluzione giurisprudenziale in materia e i diversi orientamenti, nell'ottica di tutela del preminente interesse del minore, evidenziava in primo luogo il divieto per l'Ufficiale di Stato civile di rifiutare di ricevere una dichiarazione di riconoscimento, salvo la sua contrarietà all'ordinamento o all'ordine pubblico, che non ricorre nell'ipotesi in esame di formazione di atto di nascita con menzione di due mamme. In secondo luogo, segnalava come l'accoglimento della domanda finirebbe per pregiudicare la situazione familiare già presente e per comprimere la sfera giuridica del minore attraverso la perdita di diritti verso la madre d'intenzione, diritti di cui è titolare sin dalla nascita e che ad oggi può esercitare. Risulterebbe pertanto necessaria una lettura costituzionalmente orientata della L 40/2004, in particolare dell'art. 8 che ha introdotto nel nostro Ordinamento la cosiddetta "genitorialità d'intenzione", anche per non creare disparità di trattamento con minori nati all'estero da coppie omoaffettive femminili, per i quali è consentita la trascrizione nei registri di Stato Civile italiani.
Conseguentemente, chiedeva in via principale il rigetto del ricorso, in quanto infondato in fatto e diritto, in via subordinata, qualora fosse accolta la domanda, il mantenimento del cognome del genitore di intenzione in quanto segno distintivo dell'identità personale.
Si costituiva il Ministero dell'Interno - Sindaco del Comune di Padova, nella sua qualità di Ufficiale di Governo con l'Avvocatura di Stato, affermando preliminarmente la propria ed esclusiva legittimazione passiva, essendo indiscusso che, nei territori di competenza, il Sindaco curi la tenuta dei registri dello stato civile in qualità di ufficiale del Governo.
Nel merito, aderiva alle richieste del Pubblico Ministero, rilevando che gli atti contestati risultano illegittimi essendo stati formati dall'ufficiale di stato civile in violazione del principio di vincolatività del contenuto degli atti medesimi, poiché realizzati iscrivendo dichiarazioni nei registri dello stato civile senza il rispetto delle formule normativamente al riguardo previste in modo tassativo e inderogabile (D.M. 5 aprile 2002 Ministero dell'Interno). Inoltre, nel nostro Ordinamento non è consentita la formazione di un atto di nascita che indichi due persone dello stesso sesso, e tale divieto non è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto la materia appartiene per la sua stessa natura alla discrezionalità del legislatore e non essendo possibile una diversa interpretazione.
Si costituivano le resistenti in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale, contestando in fatto e in diritto l'iniziativa del Pm, concludendo nei seguenti termini:
"Voglia /L’ll.mo Tribunale di Padova adìto, contrariis reiectis ed emesse tutte le opportune pronunzie, statuizioni e declaratorie del caso:
- disporre ex art. 363-bis c.p.c. rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione in ordine alla questione di rito relativa alla ammissibilità dell'azione ex art. 95 del D.P.R. 396/2000 al fine della cancellazione della intervenuta annotazione della madre c.d. 'intenzionale' nell'atto di nascita di un minore formatosi in Italia;
- in ogni caso, dichiarare l'inammissibilità del procedimento di rettificazione ai sensi degli artt. 95 e segg. D.P.R. n. 396/2000;
- in ogni caso, rigettare il ricorso della Procura presso il Tribunale di Padova, se del caso previa ordinanza ex art. 23, l. 87/1953, con La quale si sollevi la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della L. 40/2004, degli artt. 250 e 254 c.c. e degli artt. 29, co. II, 30 e 43 del D.P.R. 396/2000 in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117 primo comma della Carta costituzionale quest'ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge del 27 maggio 1991 n. 176, all'art. 6 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli (Consiglio d'Europa 25 gennaio 1996), resa esecutiva in Italia dalla legge 20 marzo 2003 n. 77, all'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (proclamata a Nizza il 07.12.2000 e riproclamata a Strasburgo il 12.12.2007) e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti de 'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 14 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge del 4 agosto 1955 n. 848, laddove non consentono al nato nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove sia accertato l'interesse del minore al riconoscimento della relazione giuridica cui la madre partoriente si opponga, o, comunque, laddove impongono la cancellazione di atti di riconoscimento compiuti dalla madre intenzionale e che, per durata di efficacia, abbiano generato una consolidata identità in ordine allo stato di figlio.
Con vittoria di spese e compensi. "
All'udienza fissata per comparizione delle parti del 14.11.23, il PM si riportava alla memoria che esibiva in udienza e chiedeva un termine per la relativa produzione. Sosteneva la correttezza del rito scelto e sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5, 12 della I. 40/2004; nel merito insisteva per l'accoglimento del ricorso.
Il Procuratore per il Ministero si riportava integralmente alla propria memoria e si opponeva alla questione di legittimità costituzionale in quanto infondata, rilevando che la Corte costituzionale si è già pronunciata con la Sentenza n. 32/2021. Il Comune di Padova, ribadendo la legittimazione dell'Avvocatura civica, si riportava alle conclusioni della propria memoria, in subordine aderiva all'eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Procura.
Le parti resistenti si riportavano agli atti e insistevano nelle conclusioni già rese in atti. Quanto all'eccezione di legittimità costituzionale sollevata dal PM, aderivano.
Con decreto del 14.11.23 il Tribunale autorizzava il P.M. alla chiesta produzione e rinviava il procedimento all'udienza del 19.12.23 da tenersi in modalità cartolare ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c.. All'udienza del 19.12.23 le parti si riportavano alle rispettive conclusioni.
1. Della legittimazione passiva del Ministero dell'Interno e del Sindaco del Comune di Padova
In primo luogo, si rileva che il Sindaco di Padova e il Ministero dell'Interno, pur non avendo formulato alcuna domanda preliminare in punto legitimatio ad causam (si veda anche il verbale dell'udienza di comparizione delle parti, ove l'Avvocatura civica si è limitata a ribadire la propria legittimazione, mentre l'Avvocatura dello Stato si è riportata alla propria memoria "rilevando che si tratta di mere difese e che non vengono formulate domande"), hanno ampiamente argomentato, nella parte motiva dei rispettivi atti di costituzione, sulla legittimazione di ciascuno di essi a resistere nell'odierno giudizio; il Sindaco di Padova ha rivendicato, in particolare, la legittimazione dell'Avvocatura civica al patrocinio difensivo dell'ufficiale di stato civile.
Invero, entrambi i soggetti rivestono la qualità di parte nell'odierno procedimento, sulla base delle ragioni che seguono, occorrendo tenere distinto il profilo della legitimatio ad causam, da quello relativo alla rappresentanza e assistenza in giudizio di ciascuno di essi.
L'art. 95, comma l, D.P.R. 396/2000 prevede che il relativo giudizio possa essere introdotto tanto da chi intenda "promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato", quanto da chi voglia "opporsi a un rifiuto de 'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento", al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficiale di stato civile presso il quale è stato registrato l'atto o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento; analogo procedimento può essere promosso dal Pubblico Ministero, ai sensi del comma 2 della norma citata, come è avvenuto nel caso di specie.
Con riferimento all'ipotesi dell'opposizione al rifiuto dell'ufficiale di stato civile di eseguire una trascrizione, la giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, ha affermato che nei procedimenti ex art. 95 D.P.R. 396/2000"la legittimazione passiva spetta al Sindaco, in qualità di ufficiale di stato civile destinatario della richiesta di trascrizione, ed eventualmente al Ministero dell'interno, legittimato a spiegare intervento in causa e a impugnare l'eventuale decisione, in virtù della competenza ad esso attribuita in materia di tenuta dei registri dello stato civile"; la posizione di legittimo contraddittore in capo all'ufficiale di stato civile è stata riconosciuta, tra l'altro, tenendo conto della sua qualità di organo il cui rifiuto di trascrivere l'atto richiesto ha dato origine alla controversia, nonché di "destinatario del provvedimento richiesto dall'istante" (cfr. Cass. S.U. n. 12193/2019; Cass. Civ. Sez. In. 39768/2021).
A fondamento della concorrente legittimazione del Ministero dell'Interno, si osserva infatti che il Sindaco, accanto alla sua funzione tipica di responsabile dell'amministrazione comunale (a1t. 50 TUEL), esercita anche quelle funzioni statali che esigono un rapporto di prossimità con i cittadini, più efficacemente esercitabili dall'organo di vertice dell'ente locale a loro più vicino; in particolare, per quanto qui interessa, egli cura la tenuta dei registri dello stato civile in qualità di ufficiale di Governo, come prescritto dall'art. 54 comma 3 D.Lgs. n. 267/2000 ("il sindaco, quale ufficiale di Governo, sovrintende, ... alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione") nonché dall'art. 1 comma 2 del DPR 396/2000 ("il sindaco, quale ufficiale di Governo, o chi lo sostituisce a norma di legge, è ufficiale di stato civile").
Il Sindaco esercita le funzioni di ufficiale di governo in quanto delegato ex lege ed organo periferico dell'amministrazione centrale, sicché la titolarità di tali funzioni resta in capo all'amministrazione centrale stessa ed in particolare, al Ministero dell'Interno; tra il Sindaco e il Ministero sussiste, infatti, "una relazione interorganica di subordinazione che assoggetta il primo ai poteri di direttiva e vigilanza del secondo, per l'uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale" (cfr. Consiglio di Stato, n. 5047/2016), come si desume anche dai poteri di vigilanza sulla tenuta degli atti di stato civile (art. 9, comma 2, D.P.R. 396/2000) e di sostituzione, in caso di inerzia del Sindaco, in capo al Prefetto (art. 54, comma 11, D.Lgs. 267/2000).
In virtù del rapporto interorganico sopra descritto, gli atti compiuti dal Sindaco quale ufficiale di Governo devono imputarsi all'Amministrazione statale, come affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite sopra citata, secondo cui "ne 'esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile, il Sindaco agisce ... ai sensi del/ 'art. 1 del d.P.R. n. 396 del 2000, in qualità di ufficiale di governo, e quindi non già come organo di vertice e legale rappresentante dell'Amministrazione comunale, bensì come organo periferico della Amministrazione statale, dalla quale dipende ed alla quale sono pertanto imputabili gli avv. da lui compiuti nella predetta veste, nonché la responsabilità per i danni dagli stessi cagionati".
Di conseguenza, è stata ravvisata la configurabilità di un interesse autonomo, concreto ed attuale, in capo al Ministero dell'Interno nel procedimento ex art. 95 D.P.R. 396/2000, tenendo conto sia della diretta imputazione allo stesso degli atti materialmente compiuti dal Sindaco quale ufficiale di governo, sia dei poteri allo stesso attribuiti dalla legge di impartire istruzioni agli ufficiali di stato civile e di vigilanza sui relativi uffici, finalizzati ad assicurare l'uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale.
Non si ravvisano ragioni per escludere l'applicazione dei principi sopra esposti anche all'ipotesi, pure prevista dall'art. 95 D.P.R. 396/2000, in cui sia promossa la rettificazione di un atto di stato civile da parte del Pubblico Ministero.
Anche in questo caso, infatti, la legittimazione del Sindaco risiede nella circostanza che egli è autore materiale dell'atto di cui è causa, nonché destinatario dell'ordine di rettificazione richiesto con il ricorso introduttivo.
Vengono in gioco, poi, i medesimi principi già esposti a fondamento della concorrente legittimazione del Ministero dell'Interno, che risiedono nella relazione interorganica con il Sindaco quando esercita le funzioni di ufficiale di Governo e nella conseguente imputabilità degli atti da questi compiuti all'amministrazione centrale, alla luce dei suoi poteri direttivi e di vigilanza sugli uffici di stato civile. Alla luce di quanto sopra esposto, va dichiarata la legitimatio ad causam del Sindaco del Comune di Padova e del Ministero dell'Interno.
Venendo al diverso profilo della rappresentanza tecnica e dell'assistenza in giudizio di ciascuno dei due soggetti, si osserva quanto segue.
Si ritiene che il Sindaco sia stato correttamente notificato, in maniera autonoma, presso il Comune di Padova e che, altrettanto correttamente, lo stesso sia rappresentato in giudizio dall'Avvocatura Civica anziché dall'Avvocatura dello Stato, che rappresenta per legge il Ministero dell'Interno (in forza del patrocinio obbligatorio per le amministrazioni centrali di cui all'art. I R.D. 1611/1933: "La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato").
A tal riguardo, si richiamano i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la notificazione eseguita al Sindaco presso la sede del Comune, in luogo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, deve considerarsi rituale in quanto il Sindaco, nonostante rappresenti un organo di vertice di un ente territoriale locale ed eserciti funzioni di ufficiale di governo, non è soggetto all'applicabilità delle norme relative al R.D. 1611/1933 - rappresentanza in giudizio dello stato - e successive modifiche, che conferiscono all'Avvocatura dello Stato, secondo l'art. 11 R.D. cit., il potere di rappresentare in giudizio le amministrazioni statali e quelle ulteriori indicate puntualmente da disposizioni di legge (cfr. artt. 43 e 44 R.D. cit.), tra le quali non è contemplata la figura del Sindaco ufficiale di governo (cfr. Tar Emilia Romagna Bologna Sez. Il, n. 2512 del 25.11.2003, ove un avvocato del libero foro assisteva in giudizio il Sindaco; nello stesso senso Tar. Lazio Roma sez. III, n. 2470 del 1.3.2021 n. 2470).
In ogni caso, anche a voler richiamare il contrario orientamento, che ritiene invece il Sindaco autorizzato ad avvalersi del patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello Stato (cfr. Cass. civ. ord. n. 3660/2020), deve comunque tenersi in debita considerazione la circostanza che, nel caso di specie, le posizioni del Sindaco e del Ministero dell'Interno appaiono del tutto antitetiche, considerate le conclusioni di ciascuna parte nell'odierno giudizio: il primo, infatti, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, chiedendone il rigetto nel merito; il secondo ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni del PM, manifestando chiaramente la propria contrarietà all'operato del Sindaco, che "in base all’ordinamento giuridico vigente... non poteva validamente formare un atto di nascita in cui vengono dichiarati genitori due persone dello stesso sesso" (cfr. pag. 6 comparsa di costituzione del Ministero del]'Interno).
Data la sussistenza di un attuale conflitto di interessi tra i due soggetti, sarebbe stata inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, il quale non avrebbe potuto "svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze confliggenti investendo siffatta violazione il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti" (cfr. Cass. Civ. ord. n. 7363/2018).
2. Della eccezione di inammissibilità del rito con riferimento alla natura del procedimento di formazione dell'atto di riconoscimento.
Preliminarmente si rileva che non appaiono sussistere i presupposti di legge di cui all'art. 363-bis, co. 1, n. 1) c.p.c..
Appare, quindi, opportuno passare all'esame dell'ulteriore questione preliminare eccepita dalle resistenti relativa all'inammissibilità del procedimento instaurato ai sensi dell'art. 95 D.p.r. 396/00 poiché la materia oggetto del giudizio atterrebbe ad una questione di stato e, pertanto, sarebbe esaminabile solo in un giudizio a cognizione piena, l'unico previsto dalla disciplina processuale per trattare tali tipi di azioni, con tutte le garanzie ivi previste.
Non ignora il Collegio che sul punto ci sono dei precedenti giurisprudenziali recenti fra i quali meritano menzione una pronuncia di legittimità (Corte di Cassazione n. 7413 del 07.03.22) e due pronunce di merito (Corte d'Appello di Firenze del 06.02.23 e Tribunale di Milano del 04.05.23).
Secondo un primo orientamento espresso nella pronuncia sopra indicata della Suprema Corte, la questione sarebbe infondata in quanto, attesa la natura dichiarativa e non costitutiva dell'atto di trascrizione di cui si discute (relativo alla dichiarazione di riconoscimento della mamma intenzionale fatta davanti all'USC), l'oggetto della controversia non atterrebbe ad una questione di stato. La Corte, in particolare, ha rilevato che "il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato originariamente dal R.D. n. 1238 del 1929 (ordinamento dello stato civile) e oggi dal D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e ss. è ammissibile soltanto nelle ipotesi in cui esso sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale risulta dall'atto dello stato civile, per un vizio, comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso; e giammai allorquando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà, dedotta una controversia di "stato", dovendo tale questione essere risolta in un giudizio, contenzioso, nelle forme del rito ordinario di cognizione, con la partecipazione di tutti i soggetti interessati a contraddire alla domanda, a fronte della natura non contenziosa del procedimento di rettificazione (cfr. Cass. nn. 12746/1998, 2776 del 1996, 10519 del 1990, 7530 del 1986, 1204 del 1984) "specificando ulteriormente che, secondo costante orientamento di legittimità, la rettificazione degli atti di stato civile non può ritenersi limitata alla sola correzione degli errori materiali che siano commessi nella formazione degli stessi ma deve essere riferita in senso ampio alla tenuta dei registri dello stato civile nel loro complesso e può ricomprendere la cancellazione di un atto compilato o trascritto per errore, la formazione di un atto omesso, ed anche la cancellazione di un atto irregolarmente iscritto o trascritto . Ha, quindi, concluso rilevando che, nel caso trattato (analogo a quello in esame), attesa l'erronea annotazione sull'atto operata dall'Ufficiale di stato civile, la stessa "può essere eliminata con l'azione di rettificazione, in quanto si assume che l'atto dello stato civile, che indichi anche la madre intenzionale, è difforme dalla situazione quale è secondo la previsione delle norme vigenti, essendo, anche in questo caso, affetto da un vizio che ne ha alterato il procedimento di formazione." (cfr. Cass. Civ. n. 7413 del 07.03.22).
Un diverso orientamento, al quale questo Collegio intende uniformarsi, è stato invece assunto dalla giurisprudenza di merito sopra indicata, anche successiva alla pronuncia della Suprema Corte sopra citata.
In particolare merita menzione la pronuncia del Tribunale di Milano ove, previa un'attenta ricostruzione fattuale dell'intero processo di formazione dell'atto in questione, pienamente condivisa da questo Collegio, si è giunti alla soluzione opposta. Nello specifico, è stato rilevato che, come già espresso dalla Corte d'Appello di Firenze sopra citata in un caso analogo, nella fattispecie viene in rilievo la dichiarazione di riconoscimento del figlio tipicamente prevista dall'articolo 254 c.c. seguita dalla pedissequa annotazione in calce all'atto di nascita del minore (avente funzione di pubblicità meramente dichiarativa) e pertanto un complesso di atti (rectius un atto complesso) insuscettibile di contestazione mediante lo strumento della richiesta di rettificazione, venendo in rilievo alla luce dello specifico oggetto della contestazione il rimedio previsto dall'articolo 263 c.c. integrante il modello di tutela teoricamente diretto alla rimozione dello status di filiazione secondo le forme e con la pienezza di cognizione propria del procedimento contenzioso nella valutazione degli interessi sopra enunciati come individuati dalla Corte Costituzionale e con la specifica garanzia della nomina di un curatore speciale del minore onde tutelare il relativo interesse nell'ambito della procedura. ". Precisamente il Tribunale meneghino ha evidenziato che sussiste una differenza tra la formazione dell'atto, ovvero la ricezione della dichiarazione di riconoscimento de parte dell'USC, che comporta l'immediata costituzione dello status (titolarità sostanziale) e la sua documentazione rappresentata invece dall'iscrizione o annotazione (e per altri aspetti dalla trascrizione) nei registri dello stato civile (titolarità formale) specificando che l'oggetto del procedimento (analogo a quello in esame) atteneva inevitabilmente anche alla natura ed agli effetti dell'atto (dichiarazione) di riconoscimento di figlio, ovvero ad una questione di stato con conseguente possibilità di esperire solo il rimedio tipico per la sua contestazione in via giudiziale (azione di stato mediante l'istaurazione di un giudizio a cognizione piena). Secondo la ricostruzione fornita in detta pronuncia, quindi, "Nel nostro ordinamento lo status di figlio è regolato in base al sistema degli accertamenti che agisce su tre differenti livelli:
1) la nascita, come semplice atto;
2) la dichiarazione tempestiva di tale fatto, effettuata da un soggetto legittimato ai sensi dell'art. 30 D.P.R. n. 369/2000;
3) l'acquisizione dello status giuridico di ''figlio/figlia di".'' con precisazione che "nel caso di figlio nato al di fuori del matrimonio, l'atto di autoresponsabilità è rappresentato dalla dichiarazione di nascita (congiunta o meno che sia) resa all'Ufficiale dello Stato Civile, da cui consegue la costituzione con efficacia erga omnes dello status e l'acquisto della relativa titolarità secondo gli atti di stato civile". L'atto di accertamento, sia esso di autoresponsabilità (dichiarazione) o giudiziale, ha effetti dichiarativi della discendenza biologica o dell'affettività, ma costitutivi di quella legale, divenendo il "nato" giuridicamente ''figlio". Tale dichiarazione è "un accertamento di grado intermedio" rispetto ad esempio all'accertamento giudiziale (a seguito di un'azione di stato, dichiarativa o demolitiva che sia) che viene definito "accertamento di grado superiore" (o massimo). Cosa comporti tale "accertamento" emerge chiaramente dal contenuto degli artt. 238 e 253 c.c. rispettivamente per la filiazione matrimoniale e fuori dal matrimonio, secondo cui quanto risulta dall'atto di nascita (e/o dal possesso di stato) può essere superato soltanto da un titolo di grado maggiore, rappresentato da una sentenza resa in un giudizio di stato." con la conseguenza che "il riconoscimento del minore, effettuato successivamente alla sua nascita, con la dichiarazione resa all'Ufficiale allo Stato Civile ai sensi de/l'art.254 c.c., ha determinato quell'accertamento di grado intermedio da cui è sorto il rapporto di filiazione del bambino. Lo status di figlio è infatti provato dal suo atto di nascita ove il riconoscimento è trascritto e non potrà essere superato se non da un accertamento di grado superiore, ossia con una tipica azione di stato." (cfr. Tribunale di Milano del 04.05.23). E' stato, peraltro correttamente evidenziato che nel caso di specie non si è verificato un errore materiale nel procedimento di trascrizione (emendabile, appunto, mediante il procedimento di rettificazione ex art. 95 D.p.r. 396/00) ma, piuttosto, una violazione di legge. Tuttavia, attesa l'immediatezza della produzione di effetti derivanti dalla dichiarazione compiuta avanti all'USC e ricevuta da quest'ultimo (confermata anche da pronunce di legittimità cfr. Cass. Civ. n. 13000 del 15.05.19 par. 6.2 e 6.2.1) irrilevante, ai fini che qui interessano, appare l'assunto vizio dell'atto posto che l'USC ne avrebbe dovuto rifiutare la ricezione ma laddove, come nel caso di specie, lo stesso "abbia ritenuto di poter ricevere la dichiarazione della parte interessata, non ritenendola in contrasto con il nostro ordinamento e abbia consentito la trascrizione nell'atto, i suoi effetti non potranno non prodursi e l'eliminazione della validità/efficacia della dichiarazione resa non potrà avvenire se non con gli strumenti ordinari ossia con le previste azioni di stato." (cfr. Tribunale di Milano del 04.05.23). ln sostanza ciò che rileva è unicamente l'avvenuta ricezione dell'atto anche se svolta in violazione di legge, salva l'eventuale valutazione di profili responsabilità a carico dell'Ufficiale di Stato Civile che non sono di competenza di questo Tribunale.
Del resto la ricostruzione offerta dalla pronuncia sopra analizzata appare preferibile per le seguenti ragioni.
Come sopra rappresentato, deve condividersi l'unicità del procedimento di ricezione e contestuale trascrizione della dichiarazione di filiazione all'USC in quanto atto complesso. Inoltre, come sostenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità, la dichiarazione di filiazione resa all'USC ha immediata efficacia "altre dichiarazioni, pure rese dinanzi al medesimo ufficiale, sono, di per se stesse, produttive di effetti giuridici riguardo allo status della persona cui si riferiscono: si pensi, ad esempio, alle dichiarazioni di riconoscimento di filiazione nata fuori del matrimonio (già filiazione naturale) o a quelle che si esprimono in relazione alla cittadinanza italiana." (cfr. Cass. Civ. n. 13000 del 15.05.19 sopra citata). Di conseguenza, un eventuale vizio di quest'ultima, anche per violazione di legge, seppur sussistente, dovrebbe essere fatto valere mediante il tipico strumento di stato previsto dal nostro ordinamento secondo la tipologia processuale di procedimento a detta azione riferibile (nello specifico mediante impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c.).
Tale ricostruzione appare avallata anche dalla dottrina che tradizionalmente distingue le cause che giustificano il rifiuto dell'USC alla ricezione delle dichiarazioni di riconoscimento di figlio sulla base della distinzione tra ipotesi di inammissibilità ed illiceità dello stesso. La prima categoria (inammissibilità) deriva da un contrasto tra il riconoscimento ed un precedente status già acquisito, mentre l'illegittimità del riconoscimento si avrebbe nelle ipotesi in cui tale dichiarazione non sarebbe corrispondente con il rapporto di filiazione per difetto di veridicità nonché quando il figlio è irriconoscibile ex art. 251, co. 2 c.c. e, pertanto, si tratterebbe di un riconoscimento viziato perché non conforme alle norme di legge. Tale distinzione assume rilevanza dal punto di vista delle conseguenze nelle ipotesi in cui l'USC comunque lo abbia ricevuto: nel primo caso (riconoscimento inammissibile) l'eliminazione dell'atto dai Registri di Stato Civile può avvenire attraverso il procedimento di rettificazione, nel secondo caso (riconoscimento illegittimo) è necessaria l'impugnazione dell'atto con l'azione di stato ex art. 263 c.c.
Conformemente si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. n. 105 del 16.01.1964) in un caso ove la dichiarazione, poi trascritta, presentava vizi comunque ascrivibili (come quello in esame) alla "non corrispondenza tra la situazione di fatto reale, quale avrebbe dovuto essere, secondo la previsione di legge, e quella risultante dall'atto dello stato civile (nella specie, la nascita del figlio da due madri, la madre biologica e quella intenzionale, per effetto del successivo riconoscimento da parte di quest'ultima)"(cfr. Cass. Civ. n.7413 del 07/03/2022 sopra citata ovvero un vizio di violazione di legge). In particolare, la pronuncia sopra indicata (emessa durante la vigenza del previgente regolamento di Stato civile di cui al R.D. n. 1238 del 9 luglio 1939 ma paragonabile a quello attuale in tema di rettificazione degli atti) trattava di una ipotesi di riconoscimento di figlio adulterino da parte di un genitore che aveva prole legittima nata in costanza di un matrimonio sciolto a causa della morte del coniuge reso avanti il parroco che celebrava il nuovo matrimonio con la madre poi trascritto dall'USC nei Registri di Stato Civile. In tale caso addirittura la dichiarazione di riconoscimento era stata ricevuta da un soggetto non legittimato (il parroco) ed in assenza del Decreto di ammissione del Capo dello Stato, atto necessario secondo la normativa all'epoca vigente, per tali tipi di riconoscimento; la Procura ricorrente, rilevando che, essendosi comunque formato l'atto poi trascritto, né l'incompetenza del parroco, né l'assenza del Decreto del Capo dello Stato quale presupposto di legge per la ricezione del riconoscimento, importavano inesistenza dell'atto, ha eccepito la sussistenza di vizi che ne determinavano l'invalidità sotto il profilo della nullità o dell'inefficacia. La Suprema Corte ha ritenuto che i vizi prospettati non potevano essere esaminati mediante il procedimento di rettificazione ma, bensì, attraverso I' istaurazione di un ordinario processo di cognizione (cfr. Cass. Civ. n. I05 del 16.01.1964 sopra citata).
Va rilevato, inoltre, come ulteriore aspetto, che, come sopra già indicato, seppur non ci sono dubbi circa la diversa natura dell'atto di ricezione della dichiarazione da parte dell'USC, comportante ex se l'immediata produzione di effetti giuridici, rispetto all'efficacia dichiarativa e di pubblicità legale della trascrizione della stessa nei Registri di Stato Civile (come sostenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità sopra citata (cfr. Cass. Civ. n.7413 del 07/03/2022), nella prassi, nelle ipotesi analoghe a quella in esame, dette operazioni avvengono contestualmente con immediata trasfusione della dichiarazione orale resa nell'atto di trascrizione da parte dell'USC. Quest'ultima (la trascrizione) assume per legge rilevanza di prova legale della prima (dichiarazione di filiazione) e, quindi, dell'acquisito status (seppur potenzialmente viziato) pertanto, appare trattarsi di fattispecie complessa.
3. Della non assimilabilità del caso in esame a un errore correggibile con la procedura di rettificazione di cui all'art. 95 DPR 396/2000.
Precisati i contorni del sistema degli accertamenti nella formazione dello status filiationis (e precisato che nel caso in esame vi è una fattispecie complessa coinvolgente la dichiarazione di riconoscimento del figlio di cui all'art. 254 c.c. da parte della madre intenzionale e l'atto dell'ufficiale di stato civile che lo documenta) occorre analizzare le norme sull'ordinamento di stato civile di cui al DPR 396/2000 ("Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile") soffermandosi in particolare sulla distinzione tra il procedimento di rettificazione di cui all'art. 95 del medesimo DPR e le azioni di status disciplinate dal codice civile per accertare se il procedimento oggi azionato sia strumento confacente al caso di specie.
Il ricorso di cui all'art. 95 DPR 396/2000 per la rettificazione degli atti di stato civile è una delle procedure disciplinate al titolo XI del DPR cit. volte a garantire la corretta tenuta dei registri dello stato civile:
L'art. 12 DPR 396/2000, in tema di "Modalità di redazione degli atti" stabilisce al co. 1 che "gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità stabilite con decreto del Ministro degli interni" e che (art. 12 co. 6) "gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente e che successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazione". A fronte di tale disciplina (posta a garanzia della certezza nella tenuta degli atti del registro) il medesimo DPR prevede che, in presenza di "errori" che emergano nella regolare tenuta dei registri, l'atto di stato civile possa essere modificato esclusivamente attraverso i procedimenti speciali di cui ai successivi artt. 95 e segg. ovvero un procedimento di tipo amministrativo compiuto direttamente dall'ufficiale di stato civile mediante annotazione a margine e relativo ai soli "errori materiali ili scrittura" (di cui all'art. 98 DPR cit.) e un più complesso procedimento giurisdizionale di rettificazione (attivabile tramite ricorso di cui all'art. 95 secondo cui "chi intende promuovere La rettificazione d; un atto dello Stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento»).
Tale previsione normativa è stata nel corso del tempo oggetto di una interpretazione estensiva che ha alla fine portato a qualificarla, in termini generali e astratti, come rimedio a una divergenza tra la realtà e quanto erroneamente riportato negli atti dello stato civile (ex multis Cass. 4878 del 2004; Cass. 21094 del 2009; da ultimo Cass. 13000/2019).
Tuttavia, tale finalità, e la conseguente attivazione del procedimento di rettificazione, ha trovato (e trova) un limite invalicabile nella sussistenza di una controversia che investa non solo il documento attestante il fatto, ma (anche) il fatto che sta a monte dell'atto che lo deve documentare, vale a dire trattandosi di atti dello stato civile, lo status che vi si ricollega.
In tal caso non sarà sufficiente il ricorso di cui all' art. 95 DPR 396/2000, ma occorrerà fare ricorso alle diverse e ben più articolate azioni di status (si veda sul punto Cass. sez. 1, 951/1993: "l'essenza della rettificazione consiste nell'eliminazione della difformità fra la realtà effettiva e quella riprodotta nell'atto, mentre nella specie si vorrebbe riprodurre nell'atto una realtà che è oggetto di contestazione e che, fino a che dura e non è definita tale contestazione, non può essere contenuta in un atto dello Stato civile tramite la semplice rettificazione di esso"; Cass. 2776 del 1996 secondo cui il procedimento di rettificazione" è ammissibile soltanto nelle ipotesi in cui sia diretto eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale risulta dall'atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso e giammai allorquando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà, dedotta una controversia di stato"; Cass. n. 21094 del 2009 secondo cui il procedimento di rettificazione " è diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale invece risulta dall'atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso, in quanto la funzione degli atti dello Stato civile è proprio quella di attestare la veridicità dei fatti menzionati nei relativi registri, ai sensi dell'articolo 451 c.c., che costituisce norma di ordine pubblico, e ... detto procedimento non è invece promuovibile allorquando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà prospettata una questione "di stato").
Di rilievo per il caso che qui interessa la pronuncia della Corte di cassazione n. l 05 del 1964 laddove, in tema di applicazione alla domanda diretta all'eliminazione dell'annotazione del riconoscimento di figlio naturale risultante dall'atto di nascita in ragione di dedotta invalidità o inefficacia del riconoscimento stesso in quanto la rettificazione può importare modificazione allo status dell'interessato, la Corte ha stabilito che: "Il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile è ammesso solo nei casi in cui debba disporsi l'integrazione di un atto incompleto, o la correzione di errori materiali, o l'eliminazione di eventuali omissioni nelle quali si sia incorso nella redazione dell'atto o, quando debba provvedersi alla ricostruzione dei registri distrutti o smarriti (art.452 cod.civ., I65 segg. ord. stato civile), al di fuori di tali casi, quando debba procedersi ad accertamenti costitutivi influenti sullo stato delle persone, il giudizio deve svolgersi nelle forme del processo ordinario di cognizione, con la partecipazione dei soggetti che hanno interesse a contraddire alla domanda".
I principi esposti, elaborati inizialmente con riferimento al r.d.1238/39, sono stati confermati e ritenuti pacificamente applicabili al DPR 396/2000 (Cass. 13000/2019).
Del resto, tale delimitazione dell'ambito di operatività dell'art. 95 DRP 396 cit. risulta coerente con la lettera della norma (che individua quale oggetto del procedimento esclusivamente l'"atto dello stato civile") e con la sua collocazione sistematica (all'interno del regolamento che disciplina proprio ed esclusivamente la tenuta degli atti dello Stato civile).
Conseguentemente può ritenersi che il rimedio ex art. 95 DPR cit. possa essere utilizzato nelle ipotesi in cui oggetto di contestazione sia l'atto del registro senza che lo stato che esso documenta sia controverso; diversamente, ogniqualvolta vi sia controversia sul fatto che sta a monte dell'atto che lo deve documentare (nel caso di specie, trattandosi di atti dello stato civile, sullo status della persona) deve farsi ricorso alle diverse e tipizzate azioni di status di cui al codice civile, e ciò anche nelle ipotesi in cui si contesti l'illegittimità di uno status o si controverta financo sulla stessa esistenza dello stesso (cfr. Cass. 951 del 1993 ove si afferma che "l'essenza della rettificazione consiste nella eliminazione della difformità tra la realtà effettiva e quella riprodotta nell'atto" e tuttavia ove si voglia "riprodurre nell'atto una realtà oggetto di contestazione" non si può fare ricorso a tale procedimento; da ultimo Cass. 13000/2019 secondo cui il procedimento di rettificazione "non investe in sé il fatto contemplato nell'atto di stato civile"). In altri termini nella azione di rettificazione occorre escludere che lo stato che si vuol documentare sia oggetto di controversia.
Ancora, mentre per il procedimento di rettificazione l'oggetto formale immediato del giudizio è l'atto, nel giudizio di stato la (eventuale) rettifica dell'atto di stato civile sarà la conseguenza del giudizio svolto sul fatto posto a suo fondamento.
Valga, quale conferma indiretta di quanto sin qui esposto, la diversa soluzione adottata nel caso di cancellazione della avvenuta trascrizione da parte dell'ufficiale dello stato civile di un atto di nascita formato all'estero con due madri (Cass. 23319/2021). In quel caso vi era infatti un atto di nascita formatosi all'estero secondo la /ex loci (art. 15 co. 2 DPR) e si controverteva esclusivamente sulla possibilità per quell'atto di produrre effetti anche in Italia ed è stata applicata la procedura di rettificazione poiché la cancellazione dell'atto non avrebbe comportato la perdita dello status, i cui effetti sarebbero rimasti inalterati.
Diversamente, nella ipotesi in cui l'Ufficiale dello Stato civile ha proceduto alla trascrizione del relativo atto in una ipotesi di gestazione per altri la contestazione è stata fatta con l'azione di cui all'art. 263 c.c. e non con il procedimento di rettificazione ex art. 95 DPR 396 (nel procedimento conclusosi con la sentenza 272/2017 della Corte costituzionale)
La delimitazione dei confini esistenti tra procedimento di rettificazione e azione di status del resto non è sterile, laddove si ponga mente alla diversa struttura dei due procedimenti e dei provvedimenti conclusivi.
Diversità che attengono alla legittimazione attiva (più ampia in relazione alla rettificazione, la possibilità di richiedere la quale spetta anche al PM e a chiunque vi abbia interesse), alla competenza per territorio (essendo per l'azione di stato da determinare in relazione al domicilio o alla residenza del convenuto, per quanto riguarda invece la rettificazione in relazione al luogo dove si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta), all'atto introduttivo (citazione per l'azione di stato, ricorso per la rettificazione), alla tutela offerta alle parti coinvolte (quanto a termini di proponibilità e nomina di un curatore), al tipo di giudizio (contenzioso per l'azione di status, camerale per la rettificazione), all'atto conclusivo e alla sua attitudine al passaggio in giudicato (l'uno con sentenza e l'altro con decreto).
Nel caso sottoposto al vaglio di questo Collegio, pur non ignorando il Collegio l'esistenza di pronunce contrastanti sul punto, si ritiene per quanto già esposto sopra in punto di valenza intermedia della dichiarazione resa avanti all'Ufficiale di Stato civile che non si verta in una ipotesi di mera contestazione circa la correttezza della annotazione sull'atto di nascita ovvero di errore nella sua formazione, ma nella diversa ipotesi di controversia sullo status ovverosia di controversia che investe il fatto posto alla base di tale atto.
E infatti nel caso concreto l'Ufficiale di stato civile ha ritenuto di poter ricevere la dichiarazione ex art. 254 c.c. della madre intenzionale e di procedere alla sua annotazione, non ritenendola contrastante con la vigente normativa. In tal modo ha provveduto alla formazione. di un atto che ha consentito sinora alle parti resistenti di esercitare tutti i poteri/doveri costituenti proprio, nel loro complesso considerato, lo status di cui si controverte (Cass. 13000/2019 "altre dichiarazioni, pure rese dinanzi al medesimo ufficiale, sono, di per se stesse, produttive di effetti giuridici riguardo allo status della persona cui si riferiscono: si pensi ad esempio alle dichiarazioni di riconoscimento di filiazione nata fuori dal matrimonio (già filiazione naturale) o a quelle che si esprimono in relazione alla cittadinanza italiana")
Che l'oggetto del contendere sia questione di status trova sostegno, peraltro, proprio nella lettura delle argomentazioni svolte in sede di memoria integrativa dalla ricorrente Procura.
In tale sede, infatti, la parte ricorrente, illustrando in maniera più approfondita il ricorso svolto, ha concluso chiedendo che il Tribunale sollevi la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 12 della l. 40/2004 in relazione agli artt. 3 e 30 co. 3 della Costituzione.
Non può non evidenziarsi che la questione, già sottoposta al vaglio della Corte costituzionale proprio dal Tribunale di Padova, era all'epoca stata sollevata proprio nell'ambito di una azione di status (in quel caso radicata ex art. 250 c.c.) con ciò evidenziandosi chiaramente quale fosse l'oggetto del contendere.
4. Della inammissibilità della pregiudiziale di stato pronunciata incidenter tantum
Ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso riguarda la preclusione, nell'ordinamento vigente, della possibilità di un accertamento incidentale su una questione pregiudiziale di stato delle persone. A tal riguardo, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ha affermato che "deve escludersi la possibilità di un accertamento incidentale su una questione pregiudiziale di stato delle persone, con effetto limitato alla controversia principale di diversa natura, specie se vertente tra persone non legittimate al/'azione di stato", ostandovi nel quadro normativo attuale l'art. 3 c.p.p. e l'art. 8 D.Lgs 2 luglio 2010 n. 104 (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 3934 del 12.3.2012).
La questione di stato rientra infatti tra quelle pregiudiziali che, per legge, non possono decidersi se non con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c. (cfr. Cass. n. 2220 del 4.4.1980; Cass. S.U. n. 1615 del 12.5.1969), atteso il loro carattere di assolutezza e la loro efficacia erga omnes (cfr. Cass. Civ. n. 5537/2001; Tribunale di Venezia, ordinanza 31.7.2006).
Secondo le pronunce sopra citate, la preclusione ad una decisione incidentale su questione di status sussiste a fortiori ove la causa principale verta tra persone non legittimate all'azione di stato.
Nel caso di specie, è evidente che non sarebbe possibile una pronuncia sul merito della rettificazione dell'atto di nascita senza avere, a monte, svolto un accertamento sulla sussistenza o meno del rapporto di filiazione.
In altri termini, il percorso logico motivazionale, necessario a decidere il merito della domanda di rettificazione dell'atto di nascita, dovrebbe inevitabilmente affrontare la questione inerente la validità, o meno, del riconoscimento del figlio davanti all'ufficiale di stato civile.
Tale accertamento, da un lato, presupporrebbe una cognizione di ben diversa pregnanza, rispetto a quella propria del rito camerale ex art. 95 D.P.R. 396/2000, atteso il necessario bilanciamento tra il favor veritatis e l'interesse alla certezza degli status e alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne (cfr. Cass. Civ. n. 26767 del 22.12.2016; n. 27140 del 6.10.202 l; n. 2831 I del 10.10.2023, conformi ai principi espressi da Corte Cost. n. 272/2017); dall'altro lato, rappresenta indubbiamente una pregiudiziale di stato, sulla quale non è possibile provvedere in via incidentale, senza efficacia di giudicato e con effetto limitato alla controversia principale, sulla base dei principi sopra esposti.
Non a caso, la Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile è ammissibile soltanto nelle ipotesi in cui sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale risulta dall'atto dello stato civile, per un vizio, comunque e da chiunque originato, nel procedimento di formazione dell'atto stesso, mentre "è ... inammissibile allorquando a fondamento della domanda di rettificazione venga, in realtà, dedotta una controversia di 'stato'" (cfr. Cass. Civ. n. 12746/1998; n. 2776/1996).
Si aggiunge, poi, la considerazione che il procedimento in oggetto è stato promosso dal Pubblico Ministero, soggetto che non ha legittimazione attiva a promuovere l'impugnazione del riconoscimento di figlio, potendo solo formulare istanza al giudice per la nomina di un curatore speciale a favore del minore infraquattordicenne, che eventualmente procederà nell'interesse del minore stesso (cfr. artt. 263 e 264 c.c.); a tal riguardo, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità esclude la possibilità di individuare nel carattere imperativo della disciplina applicabile il fondamento di un interesse tale da legittimare l'esercizio dell'azione da parte del Pubblico Ministero, affermando che l'iniziativa spetta ai soli soggetti privati che abbiano un interesse individuale qualificato (concreto, attuale e legittimo) sul piano del diritto sostanziale, di carattere patrimoniale o morale, all'essere o al non essere dello status, del rapporto o dell'atto dedotto in giudizio, concludendo quindi che, in mancanza di una deroga esplicita, trova applicazione la regola generale dell'art. 70, primo comma, n. 3 c.p.c. (principi richiamati da Cass. S.U. n. 12193/2019; cfr. Cass. Civ. Sez. In. 4201 del 18.10.1989: "nelle controversie in tema di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale trova applicazione, in mancanza di una deroga esplicita, la regola generale prevista dall'art. 70, n. 3, c.p.c., secondo la quale nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone il P.M deve (soltanto) intervenire sotto pena di nullità e non può, quindi, (anche) esercitare l'Azione e proporre impugnazione. Ne' l'espressione "chiunque vi abbia interesse", usata dall'art. 263 cod.civ. per indicare i soggetti legittimati ad impugnare il riconoscimento, può ritenersi comprensiva del P.m., essendo essa riferibile ai soli soggetti privati che abbiano un interesse individuale qualificato (concreto, attuale e legittimo) sul piano del diritto sostanziale, di carattere patrimoniale o morale, allo essere o al non essere dello status, del rapporto, dell'atto dedotto in giudizio").
5. Della possibilità di riqualificare l'azione del Pubblico Ministero come azione di stato
Il Collegio intende qui approfondire un ultimo e residuale aspetto: ovvero se il ricorso della Procura Patavina ex art 95 del DPR n 396 del 2000 possa o debba essere riqualificato quale azione di stato, volta all'accertamento dell'insussistenza del rapporto di filiazione biologica tra la genitrice "d'intenzione" e il nato a seguito di PMA; procedimento, il primo, per quanto più volte sopra osservato, soggetto al rito camerale, mentre il secondo, da svolgersi nelle forme del rito ordinario di cognizione.
Per come, infatti, osservato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis: Cass., Sez. I, 21/12/1998, n. 12746; 27/03/ I996, n. 2776; 26/01/1993, n. 951), la scelta del rito camerale ex D.P.R. n. 396 cit., non potrebbe per ciò solo condurre ad una pronuncia di inammissibilità della diversa domanda demolitoria dello status, per mera questione di rito (in quanto l'azione non è stata introdotta nelle forme del rito ordinario) giacché il ricorso della Procura è stato promosso nei confronti di tutti i soggetti legittimati, avendovi preso parte, oltre al Ministero dell'lnterno ed al Comune di Padova, in qualità di Amministrazioni cui - a diverso titolo - è riconducibile l'attività dell'ufficiale di stato civile patavino, il genitore d'intenzione ed il genitore biologico (anche in rappresentanza del minore), nonché il Pubblico Ministero, nel caso di specie in qualità di promotore dell'azione e non di mero interveniente ex art. 70 c.p.c. (e, quindi, di litisconsorte necessario nelle cause riguardanti lo stato delle persone); tutti detti soggetti, infatti, nel presente giudizio hanno avuto modo di argomentare le proprie ragioni e controdedurre a quelle avversare, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio che si è svolto in modo assimilabile a quello previsto nel rito ordinario di cognizione.
Appare quindi doveroso verificare se l'iniziativa del PM possa essere riqualificata in azione di stato e, nel caso affermativo, in quale azione, nonché verificare se sussistano i presupposti per l'accoglimento dell'azione così riqualificata.
A riguardo, nel nostro ordinamento giuridico le contestazioni dello status filiationis debbono
svolgersi secondo azioni tipizzate (ovvero: azione di disconoscimento di paternità ex art 244 cc, azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio ex artt 248 e 249 c.c., azioni di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, per violenza, per incapacità ex artt 263, 265 e 267 c.c.) che costituiscono un numerus clausus; qualora, infatti, sia stato formato un atto di nascita, per accertare la mancata rispondenza al vero di quel legame di filiazione come attestato dall'atto di nascita, è necessario esperire la corrispondente azione per la rimozione dello status, proprio perché un atto di nascita quando è fondato sulla base di dichiarazioni dei genitori difformi dal vero necessita per essere rimosso del ricorso alle azioni di stato.
Nel caso in esame, l'unica azione (tra quelle previste) astrattamente idonea a contestare la sussistenza del legame di filiazione tra la madre d'intenzione (che ha riconosciuto il figlio nelle forme di cui all'art. 254 c.c.) ed il figlio nato da P.M.A. è l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art 263 c.c. (cfr. Corte costituzionale n. 272/2017 che, investita della questione di costituzionalità dell'art. 263 c.c. nella parte in cui "non prevede che l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente all'interesse del minore", non ha contestato il ricorso all'azione de qua qualora oggetto del giudizio sia la contestazione della veridicità del legame di filiazione creatosi all'esito di percorso di maternità surrogata eseguito all'estero).
L'azione ex art 263 c.c. può essere esperita: "dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto, da chiunque vi abbia interesse". L'azione, inoltre, mentre è imprescrittibile per il figlio, è soggetta a stringenti termini decadenziali per tutti gli altri legittimati attivi diversi dall'interessato (vedi art 263, commi 2, 3 e 4 c.c.). La ratio sottesa all'introduzione di tali termini decadenziali è all'evidenza quella di riconoscere prevalenza all'esigenza di non prolungare indefinitamente la durata dell'incertezza dello stato di figlio, rispetto all'interesse pubblico alla verità del rapporto di filiazione. Invero, nel bilanciamento tra l'interesse pubblico alla verità della filiazione e l'interesse del figlio alla conservazione dello stato, entrambi astrattamente meritevoli di tutela, prevale dunque in concreto quello del figlio alla certezza dello stato nel caso in cui ad esperire l'azione di impugnazione siano soggetti terzi (ovvero i genitori o gli altri legittimati diversi dall'interessato). D'altronde anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale (vedi anche sentenza n. 272/2017) ha a più riprese ribadito che il favor veritatis (ovvero il favore che il nostro ordinamento riconosce per la conformità dello status alla verità biologica della procreazione) non è un valore di rilevanza costituzionale assoluta, ma deve necessariamente essere bilanciato, con valutazione da operare caso per caso, con diritti di pari rilevanza, ovvero con il diritto del figlio alla stabilità della relazione, pur se costituita in mancanza di legame genetico con i genitori. Ciò in quanto la stabilità del rapporto garantisce tutela ad un interesse fondamentale e prevalente del figlio, ravvisabile nella necessità di mantenere la propria identità personale che si è costruita sia in quanto figlio di quei genitori che se ne sono presi cura morale e materiale (anche se non legati da vincoli biologici) sia nel riconoscimento da parte della collettività come soggetto inserito in quella specifica famiglia (intesa come formazione sociale ove il figlio svolge la sua personalità tutelata ex art 2 Cost).
Venendo quindi ad analizzare se il Pm sia legittimato ad esperire l'azione ex art 263 c.c., ovvero se rientri nella nozione di: "chiunque vi abbia interesse", la giurisprudenza della Suprema Corte ne ha esclusa la legittimazione ad agire sin dalla sentenza n. 420l/1989 della Cassazione secondo cui "nelle controversie in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio (e di contestazione della legittimità), trova applicazione, in mancanza di deroga esplicita, la regola generale prevista dall'art 70, n 3 c.p.c., secondo la quale, nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, il PM deve (soltanto) intervenire sotto pena di nullità e non può, quindi, (anche) esercitare l'azione e proporre impugnazione. Né l'espressione "chiunque vi abbia interesse", usata dall'art 263 cc per indicare i soggetti legittimati ad impugnare il riconoscimento, può ritenersi comprensiva del PM, come ampiamente motivato nel paragrafo che precede.
Nel caso di specie, pertanto, anche a voler ritenere superabile la problematica del rito attivato (camerale anziché a cognizione ordinaria) e anche volendo riqualificare l'azione del PM quale azione di stato (nella specie ex art 263 c.c., cui conseguirebbe, se accolta, la rettifica dell'atto di nascita del minore tramite la cancellazione della madre intenzionale), va rilevata la carenza di legittimazione attiva del PM. A questo, infatti, ex art 264 c.c. è assegnata una funzione di mero impulso all'azione (e non di solo intervento ai sensi dell'art. 70 c.p.c.) "nell'interesse del minore" infra-quattordicenne, interesse la cui valutazione deve passare attraverso il vaglio da parte del Tribunale che, solo ove ritenga l'azione effettivamente nell'interesse del minore, nomina un curatore speciale, cui unicamente spetta il potere di promuovere l'azione.
6. Conclusioni e spese di lite
Stante la dichiarazione di inammissibilità del ricorso del Pubblico Ministero per le ragioni sopra esposte, tutte le restanti questioni, ivi compresa l'eccezione di legittimità costituzionale, devono ritenersi assorbite.
Alla luce della natura della causa e della complessità e novità delle questioni trattate, le spese di lite
vanno compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione collegiale, dichiara inammissibile il ricorso. Spese di lite interamente compensate