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Nel corso di un processo penale minorile, la difesa del minore mancava la redazione del programma rieducativo nei termini (sessanta giorni dalla notifica della richiesta del pubblico ministero minorile) ritenuti perentori dall'art. 27-bis del DPR n. 448/1988 (inserito dall'art. 8, comma 1, lett. b), D.L. 15 settembre 2023, n. 123); il giudice per le indagini preliminari del tribunale dei minorenni, letto l'art. 27 bis cit. in comparazione con gli omologhi istituti deflattivi del processo penale ordinario (v. messa alla prova ex artt. 168-bis e ss. c.p.), ipotizza che l'istituto ex art. 27 bis cit., come formalmente strutturato, leda gli artt. 3 – principio di uguaglianza – e 31 della Costituzione – tutela del minore - in quanto caratterizzato da rigidità incompatibili con il carattere personalistico del processo penale, specie se minorile. Di seguito, verificata della norma la non manifesta infondatezza di un giudizio di incostituzionalità, trasmette gli atti alla corte costituzionale. |
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In specie, nel corso delle indagini preliminari, se il pubblico ministero minorile richiede lo svolgimento per il minore di un programma rieducativo per la non particolare gravità del reato (l'istituto è applicabile per i soli reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore a cinque anni), l'articolazione delle fasi e delle procedure ex art. 27-bis cit. sarebbe eccessivamente automatizzata: il programma dovrebbe essere depositato dal difensore nei sessanta giorni dalla richiesta (nulla la legge prevede in caso di superamento dei termini), a decidere sarebbe il solo giudice monocratico (non coadiuvabile da una componente onoraria che, di regola, propone ulteriori osservazioni multidisciplinari psico-pedagogiche sulla congruità del programma rieducativo, specie nei contesti ambientali critici), sarebbe prevista l'audizione dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia i quali, come accade invece per l'ufficio esecuzione penale esterna (UEPE) nella messa alla prova per adulti, non costituiscono attori necessari della procedura; di seguito, il giudice monocratico deciderebbe sull'istanza ex art. 27-bis cit. e ne vigilerebbe l'esecuzione privo delle adeguate lenti istruttorie e nell'ambito di una procedura caratterizzata da un alto tasso di formalismo e da tempi troppo ristretti. L'istituto, in breve, parrebbe tarato sulla proporzionalità fra programma e reato anziché sulla qualità del prospetto rieducativo a favore del minore; anche forzando il dato letterale per tentare una interpretazione costituzionalmente orientata, sarebbe impossibile applicare il distinto istituto della messa alla prova per minori (ex art. 28 del DPR n. 448/1988, che sospende il processo) al percorso di rieducazione del minore ex art. 27 bis cit. (proponibile durante le indagini preliminari) per l'assenza di un espresso richiamo e per la presenza di una cesoia temporale bloccante (i sessanta giorni per la proposizione del programma rieducativo) impassibile di proroga. Non sono sufficienti ad alimentare la flessibilità dell'istituto né il potere informativo generale, comunque eventuale, in capo a giudice e pubblico ministero minorile ex art. 9 del DPR n. 448/1988 né la possibilità di invocare un intervento più determinante dei servizi minorili i quali, nell'idea dell'istituto ingegnata dal legislatore (la L. n. 159/2023 ha introdotto l'art. 27-bis cit. «senza nuovi e maggiori oneri per la spesa pubblica») non potrebbero divenire caricati di nuovi e gravosi incombenti, come quelli in occasione della redazione e della vigilanza di un programma rieducativo da svolgere nel corso delle indagini preliminari; il termine di sessanta giorni cit. per la proposizione del programma, se contiene una finalità deflattiva dei procedimenti minorili, non riesce ad assimilare le profonde esigenze rieducative da attivare nei confronti di minori socialmente difficili. |
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In breve, o celerità e speditezza del procedimento minorile o adeguata istruzione del programma rieducativo formato ex art. 27-bis cit.: per il giudice remittente le due opzioni sono in parte incompatibili e la norma appena introdotta, in parte troppo stringata e in parte caratterizzata da un automatismo troppo severo (il giudice delle indagini preliminari o accetta o rigetta il programma) rischia difetti di costituzionalità ai sensi dell'art. 3 e dell'art. 31 della Costituzione il quale, come noto, prescrive la prevalenza del primario interesse alla formazione del minore su altri interessi ritenuti cedevoli (ad esempio, alla tenuta delle finanze pubbliche, v. sopra); trasmessi gli atti alla corte costituzionale occorrerà verificare se i giudici, in caso di accoglimento, potranno proporre della norma una interpretazione additiva, nei limiti del sindacato costituzionale, ovvero sancire l'incostituzionalità della norma, di fatto sollecitando il legislatore a una nuova formulazione dell'istituto sulla falsariga della già presente messa alla prova minorile ex art. 28 DPR cit. o della messa alla prova per adulti, caratterizzate da una maggiore elasticità da adeguare al caso concreto. |
GIP del Tribunale per i minorenni di Trento, ordinanza 6 marzo 2024
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il procedimento penale a carico del minore origine da una lite in famiglia occorsa tra padre e figlio in data 15.10.2023. Nello specifico, da quanto si può apprendere dall'annotazione di PO redatta dai Carabinieri della Sezione mobile della Compagnia di Trento, il minore avrebbe minaccia o il padre con un coltello preso dalla cucina, perché, a suo dire, aveva paura che il padre gli facesse del male poiché avevano avuto un'accesa discussione in precedenza. veniva sottoposto a indagini preliminari per il reato previsto e punito dagli artt. 612 e 339 c.p. perché minacciava il padre un danno ingiusto, usando un coltello da cucina.
Esperito in data 30.10.2023 l'interrogatorio del minore, che confermava quanto riportato all'interno dell'annotazione della Polizia giudiziaria in merito alla lite occorsa con il padre, il Pubblico ministero minorile (da ora PMM) notificava, con provvedimento di data 27.11.2023, la proposta di definizione anticipata del procedimento ai sensi dell'art. 27 bis, comma I, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni). Tale proposta veniva regolarmente notificata al minore, all'esercente la responsabilità genitoriale e al difensore per la redazione del programma rieducativo da depositarsi presso la Procura minorile entro 60 giorni dalla notifica.
In data 15.01.2024 il difensore dell'indagato, segnalando la delicatezza della situazione familiare del minore e la necessità di un intervento maggiormente strutturato e in collaborazione tra servizi sociali, scuola e famiglia, chiedeva che la Procura minorile invitasse i servizi sociali a effettuare un'indagine sociale sul minore e sulla famiglia di quest'ultimo. Per queste ragioni richiedeva formalmente una proroga del termine previsto dall'art. 27 bis del d.P.R. n. 448 del 1988 (da ora art. 27 bis) al fine di poter predisporre un programma rieducativo sulla base dell'esito dell'indagine sociale.
Il PMM, dando atto che era già stata avviata un'indagine da parte del Servizio sociale del Comune di Trento, rigettava l'istanza di proroga del difensore, in quanto la norma di cui all'art. 27 bis non prevede la possibilità di prorogare il termine per il deposito del programma rieducativo.
In data 22.01.2024 la difesa del minore - prendendo atto del rigetto della richiesta – depositava una proposta di progetto rieducativo, individuata unitamente al Servizio sociale territoriale, che prevedeva lo svolgimento dì un'attività di volontariato all'interno di un centro di aggregazione territoriale.
Nella medesima data il PMM disponeva la trasmissione del programma al Giudice per le indagini preliminari per la fissazione dell'udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 27 bis.
Con Ordinanza 12.02.2024 veniva fissata udienza camerale per la data odierna al fine di deliberare sull'ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione (art. 27 bis, comma II);
all'odierna udienza erano presenti l'imputato, assistito dal difensore, gli esercenti la responsabilità genitoriale dell'imputato e il PMM;
Rilevato che - per deliberare sull'ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione - il Giudice scrivente è chiamato dalla norma a valutare la congruità del percorso di• reinserimento e rieducazione, per eventualmente emettere l'ordinanza di ammissione, stabilire la durata del percorso e sospende e il processo per il tempo corrispondente (art. 27 bis comma III);
rilevato che, nel caso di specie, non è possibile giudicare se le ore di volontariato previste dal programma rieducativo, in assenza di informazioni specifiche sulle caratteristiche personali del minore e in relazione ai parametri di riferimento normalmente in rilievo, quali l'ambiente familiare, la rete amicale, la condizione di salute, la frequenza scolastica o l'impegno lavorativo, siano congrue a perseguire una funzione educativa, intesa come concreta opportunità di crescita, maturazione e responsabilizzazione del giovane;
rilevato che la stessa difesa del minore aveva richiesto al PMM una proroga del termine per il deposito del programma proprio per consentire di ottenere maggiori informazioni sul minore e per redigere un programma capace di rispondere alle specifiche esigenzè personalì e familiari del minore, proroga che, come si è detto, non è stata concessa dal PMM in quanto non prevista dalla Legge;
rilevato dunque che mancano gli elementi conoscitivi indispensabili per valutare se il contenuto del programma rieducativo sia congruo rispetto ai fini educativi cui costituzionalmente deve tendere il processo penale minorile;
rilevata altresì la composizione monocratica dell'organo chiamato a pronunciarsi e quindi l'assenza della componente onoraria e del suo apporto per la valutazione in termini personalistici ed educativi del minore;
rilevato che a tali condizioni l'unica valutazione in concreto possibile afferisce alla proporzionalità tra il contenuto del programma rieducativo proposto e i fatti per cui si procede con riferimento alla tipologia è alla gravità del reato contestato;
rilevato che tuttavia una simile valutazione implicherebbe. una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile;
rilevato altresì che l'art. 27 bis non regola l'ipotesi di un giudizio da parte del Giudice per le indagini preliminari di incongruità della proposta e che delle possibili soluzioni interpretative, nel silenzio della norma, nessuna pare essere idonea a soddisfare le esigenze tipiche del processo minorile;
considerato che le criticità in rilievo non attengono solo al caso oggi sottoposto all'attenzione dello scrivente, ma risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall'istituto delineato dall'art. 27 bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento.
A fronte di tutto ciò lo scrivente Giudice ritiene di sospendere il processo e sottoporre al Giudice delle Leggi il rito deflattivo di cui oggi si richiede l'applicazione, in quanto ritiene non infondato il dubbio di legittimità costituzionale in relazione alla disciplina contenuta all'art. 27 bis, dimettendo le seguenti ragioni.
Non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art 27 bis del d.P.R. n. 448 del 1988 con riferimento agli artt. 3 e 31, Il comma, Costituzione.
La disciplina dettata dall'art. 27 bis del d.P.R. n. 448 del 1988 (da ora art. 27 bis) solleva significativi dubbi di costituzionalità nella misura in cui preve.de per il minore sottoposto a procedimento penale una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che di tipo educativo, in contrasto con quanto richiesto dall'art. 31 comma II Costituzione, così come sistematicamente interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui qualsiasi trattamento punitivo nei confronti di un minore è ammesso solo e solo se è sorretto, ani ato e orientato da fini educativi.
Il procedimento alternativo introdotto all'art. 27 bis, che vorrebbe nell'intenzione del Legislatore costituire «una messa alla prova "semplificata"» (Dossier n. 155, Legislatura 19°, Scheda di lettura presentata al Senato della Repubblica), è primariamente proteso all'attuazione dei principi di razionalizzazione della risorsa giudiziaria e di celere definizione del procedimento penale, fornendo al minore la possibilità di addivenire a una rapida fuoriuscita dal procedimento penale, incardinato per l'accertamento di reati di lieve offensività.
Nello specifico, la pro edurain esame si caratterizza e si distingue per la significativa riduzione dei tempi e delle forme processuali, in ragione del reato per cui si procede. Infatti, il primo comma prevede che «durante le indagini preliminari, il pubblico ministero, quando procede per reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, se i fatti non rivestono. particolare gravità, può notificare al mino.re e all'esercente la responsabilità genitoriale la proposta di definizione anticipata del procedimento».
La previsione di un duplice filtro, quello edittale e quello relativo alla gravità in concreto dei fatti, circoscrive l'applicazione dell'istituto in esame solo per quei reati connotati da un lieve grado di offensività.
Proprio quest'ultimo presupposto applicativo accomuna l'istituto in esame con un altro istituto del diritto penale minorile e cioè quello della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988. La sentenza di noli luogo a procedere per irrilevanza del fatto, tuttavia, richiede che, sulla base delle informazioni assunte, il reato si presenti come Un accadimento occasionale nel percorso di crescita del giovane. L'occasionalità della condotta si desume dalla concreta presenza nella vita del minore di quegli elementi protettivi socio-ambientali tali per cui è possibile ritenere che il reato non rappresenti una manifestazione indicativa di bisogni non corrisposti del minore, quanto piuttosto un episodio isolato all'interno di un regolare percorso di crescita, avulso da un tangibile rischio di devianza.
L'art. 27 bis, invece, trova applicazione per tutta quella casistica in cui l'agito deviante, per quanto di lieve entità, non può dirsi occasionale, e quindi necessita di un intervento giudiziario e osta all'immediata fuoriuscita dal processo penale, tramite la sentenza di non luogo a procedere ex art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988.
In una prospettiva tassonomica l'istituto ex art. 27 bis si colloca tra la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e la messa alla prova "tradizionale", suggerendo una natura composita tra i due istituti. A fronte di reati n n contraddistinti da un particolare allarme sociale ma che comunque richiedono una risposta trattamentale giudiziaria il Legislatore ha delineato un rito deflattivo che prevede un coinvolgimento attivo del minore, all'interno di una procedura significativamente destrutturata nelle forme.
La semplificazione della procedura, aspetto saliente dell'istituto, può essere sintetizzata nei seguenti tratti distintivi: l'esercizio informale dell'azione penale, l'accertamento del fatto in forma sommaria, una significativa restrizione dei tempi, il mancato coinvolgimento della persona offesa, la natura negoziale del programma rieducativo, la devoluzione della procedura alla cognizione del Giudice monocratico per le indagipi preliminari, l'intervento ridotto dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.
A fronte di una palmare comparazione normativa, la semplificazione della procedura risulta essere così accentuata da determinare una netta differenziazione dell'istituto in esame non solo rispetto alla messa alla prova prevista per i minorenni dall'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, ma anche rispetto alla messa alla prova in fase di indagini introdotta per gli adulti di cui agli artt. 464 bis e segg. cod. proc. pen.
Il sillogismo sotteso alla scelta di prevedere una procedura estremamente semplificata pare essere il seguente: a fronte di un reato non particolarmente offensivo né però occasionale è possibile addivenire, in tempi ristretti, a una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato all'esito del corretto svolgimento di determinate attività, individuate dallo stesso minore, a sfondo socio lavorativo.
Ed è proprio in questo sillogismo che si radica l'irragionevolezza della norma, poiché prevede, a fronte di un reato non occasionale o ipoteticamente tale, una procedura che, per le ragioni che si diranno, non permette un adeguato approfondimento informativo e conseguentemente un'effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi. Ancor più, risulta essere irragionevole se comparata con l'omologo istituto previsfo per gli adulti durante le indagini preliminari, per il quale il Legislatore ha delineato un'articolata e puntuale disciplina volta a un'effettiva presa in carico del soggetto, posto che il minore, stante la sua personalità in via di sviluppo, necessita di un'attenzione maggiorata e non minorata rispetto a quella riservata a un soggetto adulto.
Il sillogismo sopra descritto risulta sicuramente valido in una prospettiva preventiva e retributiva ma erroneo e fallace in una prospettiva capace di porre al centro il minore e di cogliere le cause esogene ed endogene dell'atto deviante. Infatti, l'entità dell'offesa del reato non può ritenersi proporzionale né indice dei bisogni educativi del minore, la cui ponderazione necessita di un accertamento istruttorio, attraverso l'acquisizione di informazioni eterogenee rispetto a quelle ricercate dall'attività di indagine penale.
In altre parole, dietro alla commissione di un reato, non particolarmente grave né punito dalla Legge severamente, possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall'attività di indagine penale propriamente intesa. Al minore, infatti, non vengono normalmente contestati comportamenti mossi da venali intenti di arricchimento illecito, quali ad esempio i delitti di peculato, di truffa contro lo Stato, di corruzione, o di evasione fiscale, ma condotte sintomatiche di una difficoltà socio- relazionale e di un malessere interiore, quali ad esempio i delitti di rapina, di piccolo spaccio, di furto, di rissa, di violenza contro le cose o le persone. È allora evidente che i bisogni sottèsi a simili fatti di devianza richiedono un approfondimento ed esprimono una situazione di disagio rispetto alla quale è costituzionalmente pretesa, tanto· dall'art. 3 quanto dall'art. 31, l'adozione di quelle scelte di politica criminale proiettate sia alla presa in carico del disagio che alla promozione del soggetto deviante, tramite misure che corrispondano ai principi di personalizzazione, differenziazione e sussidiarietà.
Il fatto reato, in questa prospettiva, diventa quindi l'occasione per intercettare il disagio giovanile e assumere quelle misure, seppur non prive anche di una componente afflittivo- retributiva, volte da un lato al contrasto della devianza e dall'altro alla cura dei bisogni educativi del minore.
Allora, il procedimento penale minorile diviene lo strumento per offrire al minore un'occasione per emanciparsi dalle cause che hanno indotto l'atto deviante e solo così risultano pienamente attuati, in tutta la loro forza semantica, i precipitati costituzionali secondo cui la Repubblica protegge la gioventù ed è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Ciò posto si osserva come l'eccessiva accentuazione dei principi di celerità e razionalizzazione
- con la scelta legislativa di collocare l'istituto in esame all'interno della fase delle indagini preliminari - abbia comportato la compromissione di quegli strumenti, propri di un sapere scientifico pedagogico, necessari ad assicurare quell'approccio personalistico indispensabile per garantire al trattamento giurisdizionale minorile la sua finalità educativa.
Non è un caso se tutte le ipotesi normative rivolte a introdurre nel rito minorile forme di definizione anticipata del procedimento sono sempre rimaste su un piano teorico, non riuscendo a superare i dubbi in ordine alla loro compatibilità a Costituzione. Così è avvenuto, ad esempio, con riferimento alla possibilità di introdurre nel rito minorile l'applicazione della pena su richiesta delle parti (sentenza Corte cost. n. 272 del 2000) oppure con riferimento alla possibilità di estendere la messa alla prova per adulti nel corso delle indagini preliminare anche nei confronti di soggetti minorenni (sentenza Corte cast. n. 139 del 2020).
L'intervento personalistico a valenza educativa, e quindi non a punizione ma a protezione del giovane, così come richiesto dall'art. 31, II comma, Costituzione, opera mediante due fondamentali strumenti: la conoscenza del minore e il carattere multidisciplinare dell'Organo giudicante, capace di cogliere anche quegli aspetti extragiuridici propri di un sapere pedagogico- educativo.
L'assenza tanto degli elementi conoscitivi sul minore quanto della componente onoraria all'interno dell'Organo giudicante, se determina l'impossibilità di assicurare la portata educativa della risposta trattamentale introdotta all'art. 27 bis, allo stesso tempo - larvatamente - ne riesuma la funzione retributiva
La valenza sostanzialmente retributiva dell'istituto, al di là della terminologia impiegata dal Legislatore, si evince da una lettura sistematica della norma. Infatti, se si analizza l'intera procedura scomponendola in tre distinte fasi, risulta come gli strumenti indispensabili per perseguire un fine educativo siano per ciascuna fase fortemente ridotti o del tutto assenti.
Si procederà quindi ad analizzare l'intero iter dell'istituto scomponendolo secondo la seguente tripartizione: la fase prodromica, cioè la redazione della proposta del programma rieducativo, la fase intermedia, cioè l'ammissione da parte del Giudice al programma proposto, la fase conclusiva, cioè la valutazione all'esito del periodo di osservazione.
Con riferimento alla prima fase, la redazione del progetto, si osserva che l'assenza di un approfondimento sulla situazione del minore preclude la possibilità di redigere un programma personalizzato, rispettoso delle specifiche esigenze pedagogico- rieducative del minore.
La conoscenza del minore risulta essere un presupposto fondamentale p r redigere un progetto a valenza educativa e permettere la definizione di un programma capace di tenere in considerazione sia gli aspetti di forza del minore, che devono essere valorizzati, sia quelli di fragilità, su cui improntare il programma, anche nella prospettiva di contrasto alla recidiva, posto che gli aspetti di fragilità spesso risultano intimamente avvinti al fatto per cui si procede penalmente.
Dalla lettura della disciplina prevista dalla norma in esame invece risulta plausibile ritenere che il contenuto del-progetto educativo venga in concreto stilato sulla base della tipologia e della gravità del reato contestato e non gi sulla base delle specifiche esigenze di recupero del minore, posto che il reato contestato è l'unico dato certo sul minore.
Date queste premesse si deduce che il contenuto del programma educativo sarà calibrato, per durata e tipo di attività, in ragione della tipologia e della gravità del reato per cui si procede, secondo valutazioni strettamente proporzionalistiche, tipiche di una concezione retributiva della risposta ordinamentale.
Se la carenza informativa è riconducibile al fatto che per la stesura del programma rieducativo non è richiesto un preventivo accertamento sulla situazione personale del minore, si osserva inoltre che la raccolta di informazioni sarebbe peraltro di difficile esecuzione in ragione dei ristretti tempi dettati dal Legislatore, posto che tra la data della notifica della proposta da parte del PMM e la presentazione del progetto a cura del minore o del suo difensore è previsto un termine di 60 giorni, senza possibilità di proroga.
La redazione del programma, inoltre, risente delle modalità di coinvolgimento dei servizi minorili dell1amministrazione della giustizia previste dall'art. 27 bis, nella misura in cui la partecipazione dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, al di là se essa debba intendersi obbligatoria o facoltativa, posta l'ambivalenza della norma sul punto, risulta in ogni caso essere secondaria e strumentale, volta non già a elaborare il programma, previa conoscenza del minore, ma limitata alla mera individuazione di quelle attività che dovranno essere poste a completamento del programma rieducativo quali i «lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza» (art. 27 bis, comma I).
Né appare applicabile la procedura delineata dalla Legge in ordine alla stesura del progetto di messa alla prova di cui all'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988, laddove l'attribuzione ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia del compito di predisporre il progetto, secondo quanto previsto dall'art. 27 de-c eio iegisÌativo 28 luglio 989-n.-272 (norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448) e cioè previo approfondimento della situazione personale e familiare del minore, è a garanzia della funzione educativa dell'istituto. Nondimeno nella MAP in fase di indagini prevista per gli adulti è previsto che il progetto sia elaborato dall'Ufficio esecuzione penale esterna (artt. 464 bis e ter I c.p.p.).
L'attribuzione della redazione del programma ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, nondimeno, si pone come un importante baluardo in difesa del principio di eguaglianza sostanziale, posto che assicura la parità di trattamento, la non imputabilità alla difesa del mancato rispetto del termine di 60 giorni per il deposito del programma e il diritto a ciascun giovane dì accedere all'Istituto. L'individuazione delle attività da inserire nel programma da presentare all'Autorità giudiziaria, infatti, non appare essere un'operazione di pronta soluzione e può rilevarsi specialmente difficoltosa per i minori che vivono in contesti familiari e in situazioni sociali periferiche e marginali.
È pur vero che il Legislatore prevede la possibilità per la difesa di collaborare con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, ma è altrettanto vero che è la difesa a dover presentare il progetto nel termine di 60 giorni dalla notifica e quindi eventuali ritardi saranno processualmente a essa imputabili. In caso di mancato rispetto del termine si osserva in primo luogo che la difesa non potrà avvantaggiarsi della procedura deflattiva e in secondo luogo sarà esposta all'incertezza normativa, posto che tale ipotesi non è regolata dalla disposizione. Ci si può chiedere se vi possano essere delle ripercussioni processualmente sfavorevoli per il minore, come ad esempio la possibilità per il PMM di esercitare l'azione penale nelle forme del rito immediato, ipotesi non escludibile a merite del quinto comma dell'art. 27 bis in forza del quale «nel caso in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento e rieducazione o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall'articolo 453 del codice di procedura penale».
L'assenza di una disciplina analoga a quella prevista per la MAP, sia ex art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988 sia ex art. 464 bis c.p.p., che delinei una procedura ad hoc per la stesura del progetto, e la ristrettezza dei tempi, inducono a ritenere che le attività contenute nel progetto saranno individuate secondo meccaniche seriali a discapito dei reconditi bisogni educativi del minore. Né il solo fatto che il progetto venga redatto dal minore o dal suo difensore può intendersi per ciò solo una garanzia sufficiente a che le attività proposte siano congrue rispetto agli specifici bisogni educativi del minore. Invero, il contenuto del programma rieducativo sarà determinato, per durata e tipo di attività, in ragione della tipologia e della gravità del reato per cui si procede, secondo valutazioni strettamente proporzionalistiche, tipiche di una concezione retributiva della risposta ordinamentale.
Con riferimento invece alla seconda e alla terza fase, rispettivamente l'ammissione e la valutazione conclusiva del progetto, si rileva che entrambe sono demandate al Giudice monocratico per le indagini preliminari e non al Giudice collegiale, formato ai sensi dell'art. 50 bis, comma II, del r. d. n. 12 del 1941, che prevede all'interno del Collegio la presenza, accanto al Giudice togato, di un uomo e una donna esperti in ambito psico-pedagogico.
Tale scelta processuale riduce significativamente la possibilità di procedere mediante un giudizio a base personalistica, laddove priva l'Organo giudicante dell'apporto interdisciplinare garantito dalla presenza della componente onoraria e della dialettica che si instaura tra essa il Giudice togato. La novella legislativa, da questo punto di vista, non pare tenere in debita considerazione la giurisprudenza costituzionale e di legittimità formatasi sull'importanza della presenza della componente onoraria all'interno dell'Organo giudicante nel processo penale minorile. Si osserva inoltre che, in assenza di specifiche informazioni sulla situazione del minore, la valutazione, dapprima sulla congruità del progetto - ai fini dell'ammissione di cui all'art. 27 bis comma III- e successivamente sull'esito del progetto - ai fini della declaratoria di estinzione del reato di cui all'art. 27 bis ult. comma-:- potrà avvenire solo attraverso dati strettamente oggettivi quali il reato per cui si procede, in ordine alla fase dell'ammissione, e l'espletamento degli impegni presi, in ordine alla fase della valutazione conclusiva.
In merito a ciò si rileva come entrambe le fasi risentano nuovamente della mancata previsione volta a garantire un pieno coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.
Va rammentato a tal proposito che la Legge prevede espressamente che nella MAP, sia ex art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988 che ex art. 464 bis e segg. c.p.p., vi sia una presa in carico del soggetto da parte dei servizi dell'Amministrazione della giustizia. In particolare, è previsto che il minore, ammesso alla prova, venga "affidato" dal Giudice ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia (art. 28 comma II d.P.R. n. 448 del 1988) e che l'adulto, ammesso alla prova, debba essere preso in carico dell'ufficio esecuzione penale esterna (art. 464 quinquies comma II c.p.p.).
Rimanendo nell'ambito minorile, l'affidamento ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, oltre a corrispondere alle dovute esigenze di supporto psicologico in favore del minore, garantisce uh costante monitoraggio sull'andamento del progetto e permette: in primo luogo di mantenere sempre informato il Giudice (art. 27, comma III, d. lgs. n. 272 del 1989); in secondo luogo di assumere tutti quegli accorgimenti in corso d'opera protesi ad adattare la progettualità avviata in relazione agli specifici e cangianti bisogni educativi del minore (art. 27, comma III, d. lgs. n. 272 del 1989); in terzo luogo di fornire una dettagliata relazione al termine del percorso in cui si dà atto dell'esito del progetto con riferimento all'evoluzione personale del minore (art. 27, comma III, d. lgs. n. 272 del 1989).
Questo complesso sistema previsto per la messa alla prova tradizionale non pare possa essere mutuato all'intero della procedura in esame, sia per un rilievo pratico, ttesi i tempi ristretti entro cui de e essere svolta la procedura, sia per un rilievo normativo, posto che non vi è un espresso richiamo all'art. 27 del d. lgs. n. 272 del 1989 che, ai sensi del primo comma, trova applicazione quando «il giudice provvede a norma dell'articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448».
In ordine, invece, alla terza e ultima fase, quella decisoria, è richiesto al Giudice di valutare l'esito del percorso «tenuto conto del comportamento del/ 'imputato e dell'esito positivo del percorso rieducativo» (art. 27 bis, ult. comma). Anche rispetto a tale momento valutativo non è specificato sulla base di quali elementi informativi debba essere svolto il giudizio, posto che non è previsto l'intervento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia al termine del percorso, diversamente da quanto accade al termine della MAP ex art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988, dove è previsto l'inoltro di una relazione conclusiva ai sensi dell'art. 27, comma V, del d. lgs. n. 272 del 1989, e al termine della MAP per adulti in fase di indagine, dove è previsto che il Giudice, al fine di valutare l'esito del progetto, «acquisisce la relazione conclusiva dell'ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l'imputato» (art. 464 septies c.p.p.).
L'assenza di una relazione, redatta a cura da un soggetto pubblico e altamente specializzato, qual è l'Ufficio dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, impedisce di tenere in debba considerazione l'incidenza che l'espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione.
In assenza, ancora una volta, di adeguati elementi informativi, l'emissione o meno della sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato dipenderà dall'adempimento o meno da parte dell'imputato degli impegni presi a prescindere della valenza educativa che possono aver assunto nel suo percorso di crescita.
A fronte di queste considerazioni si procederà a verificare se è possibile un'interpretazione conforme a Costituzione della disposizione in esame, intefia cioè ad assicurare che il "programma rieducativo" possa essere realmente tale per il minore e che la sua valenza educativa possa essere oggetto di valutazione da parte del Giudice, tanto in fase di vaglio sull'ammissione al programma quanto in fase di verbalizzazione del suo svolgimento.
L'attività ermeneutica in rilievo deve quindi colmare le lacune informative sia sotto il profilo della situazione personale del minore sia sotto il profilo dell'andamento del progetto in relazione al percorso di crescita del minore.
Con riferimento al primo profilo, la carenza di intonazioni sul minore potrebbe essere colmata medi te lo strumento previsto all'art. 9 d.P.R. n. 448 del 1988, in forza del quale è riconosciuto al Pubblico ministero e al Giudice il potere di acquisire d'ufficio «elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto».
Con riferimento invece al secondo profilo, l'unico strumento utile sarebbe un magg10r coinvolgimento dei servizi socio-sanitari all'interno. della procedura in esame. Ciò potrebbe essere attuato ricorrendo allo strumento previsto dall'art. 6 d.P.R. n. 448 del 1988 in forza del quale «in ogni sfatò e grado del procedimento l'autorità giudiziaria si avvale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi di assistenza sociali e sanitari istituiti dagli enti locali e dal Servizio sanitario nazionale». Si potrebbe ipotizzare che il Giudice si possa avvalere dei servizi pubblici per attribuire loro tutti quei compiti assegnati ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia nell'ambito della messa alla prova ex art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988.
Entrambe queste ipotesi, tuttavia, non risultano giuridicamente e razionalmente percorribili, e si mostrano antitetiche rispetto alle specifiche finalità perseguite dal legislatore con le misure introdotte con il decreto legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 159.
Infatti, per quanto concerne l'integrazione informativa, si osserva che tale attività determinerebbe una significativa dilazione temporale che si contrapporrebbe alle esigenze di celerità e deflazione perseguite con l'istituto di cui all'art. 27 bis.
Inoltre, venuta meno la possibilità di addivenire a una definizione del procedimento in tempi rapidi, la sottrazione della componente onoraria dall'organo giudicante, ammesso che tale privazione possa ritenersi costituzionalmente plausibile, risulterebbe tanto più irragionevole, in quanto, pur in assenza di alcun beneficio in termini di durata del procedimento, sacrificherebbe quell'approccio multidisciplinare e diversificato nel genere idoneo a corrispondere in modo altamente qualificato e completo a tutte le esigenze in rilievo.
Analoghe considerazioni possono essere svolte rispetto alla possibilità di rafforzare l'intervento dei servizi, poiché tale attività implicherebbe ugualmente una dilazione temporale.
Si osserva inoltre come un maggior impiego dei servizi pubblici risulti distonico rispetto alla stessa struttura dell'istituto in esame e ai fini perseguiti dal Legislatore volti a contenere i costi erariali e di alleggerire il carico di lavoro dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.
Risulta, infatti, evidente che il pieno coinvolgimento da parte dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia priverebbe il programma rieducativo della natura negoziale che lo caratterizza e neutralizzerebbe l'intero impianto processuale volto al contenimento dei tempi.
D'altro canto, si evidenzia che l'esigenza di alleggerire l'aggravio di lavoro dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, con conseguente tutela delle risorse pubbliche, trova espressa conferma nel fatto che lo stesso Legislatore che ha introdotto la procedura in esame ha apportato una modifica propriamente alla norma che regola la dipendenza funzionale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia rispetto al Giudice. Infatti l'inciso «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», al richiamato art. 6 d.P.R. n. 448 del 1988, è stato apportato dall'art. 6, comma 1, lett. O a), del decreto legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 159. Tale inciso mette in luce l'incertezza del Legislatore nel regolare l'intervento dei servizi minorili. dell'amministrazione della giustizia all'interno dell'istituto in esame, nella misura in cui dapprima prevede che il progetto debba essere redatto «sentiti i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia» e successivamente che il progetto debba essere redatto «in collaborazione anche con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia». La coordinazione logica tra le due diciture e la rifo ulazione dell'art. 6 d.P.R. n. 448 del 1988 determina che l'intervento in parola non sia obbligatorio, potendo la difesa limitarsi a un'interlocuzione con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia prima di presentare il progetto, e in secondo luogo come già accennato che l'intervento dei servizi sia limitato al reperimento delle attività e non già a una presa in carico del minore nelle forme dell'affidamento.
In sintesi, in ragione delle considerazioni esposte, non appare possibile una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a colmare le lacune informative sia sulla situazione personale del minore sia sull'incidenza del progetto educativo sul percorso di. Crescita del minore.
Rimane infine a disposizione del Giudice un'ultima soluzione applicativa, cioè quella di limitarsi a ritenere il progetto educativo non congruo, in quanto non è possibile determinare se sia in grado di soddisfare le esigenze educative del minore.
Tuttavia, si rileva che - diversamente da quanto accade nel caso in cui il progetto dovesse fallire per ragioni riconducibili all'imputato, puntualmente regolate dall'art. 27 bis ai commi IV, V e VI - il Legislatore non fornisce indicazioni né prevede conseguenze processuali nel caso in cui il Giudice dovesse ritenere, per una qualunque ragione, il progetto non congruo.
Ciò posto, si possono ipotizzare due possibili soluzioni, nessuna delle quali tuttavia pare essere percorribile.
Una prima soluzione è quella di disporre la r istituzione degli atti al PMM, così come avviene nei casi di mancato avvio, di interruzione o di esito negativo del progetto (art. 27 bis, V e VI commi). Invero tale ipotesi non appare attuabile in quanto determina una regressione del procedimento penale in assenza di un'espressa previsione normativa o di un vizio tale da inficiare la prosecuzione del procedimento. Infatti, si osserva che l'eventuale restituzione degli atti al PMM rappresenterebbe regressione del procedimento in senso tecnico, poiché, nel momento in cui il Giudice è chiamato a esprimersi sul progetto, vi è stato l'esercizio dell'azione penale da parte del PMM, stante l'impiego delle dizioni «processo» (art. 27 bis, III comma) e «imputato» (art 27 bis, III e V comma), univoche nel presupporre l'avvenuto esercizio dell'azione penale.
Al di là dei profili di legittimità processuale afferente all'esercizio dell'azione penale senza alcuna garanzia processuale tipicamente associata a tale atto, tra cui l'assenza degli avvisi informativi tanto all'indagato quanto alla persona offesa, si osserva che l'eventuale determinazione del Giudice nel senso di una remissione degli atti al PMM, oltre ad essere priva di un'espressa previsione normativa, si contrapporrebbe alla determinazione processuale assunta dalla difesa, che con la presentazione del progetto educativo ha univocamente palesato, con parziale sacrificio della presunzione di non colpevolezza, la volontà di addivenire a una rapida definizione del procedimento. Alla luce di queste considerazioni, richiamato il principio irretrattabilità dell'azione penale, codificato all'art. 50, comma III, c.p.p., si ritiene tale ipotesi non percorribile i,n quanto contra legem. Una secoij.da soluzione è -rappresentata dal potere per il Giudice di integrare il progetto educativo presentato dalla difesa. In tal caso riaffiorerebbero tutte le criticità sopra descritte circa la possibilità per il Giudice di ricorrere agli strumenti normativi volti a colmare il quadro conoscitivo. Inoltre, l'integrazione ufficiosa del progetto risulta incompatibile con la natura negoziale della proposta educativa, posto che la determinazione del suo contenuto è rimessa alla difesa e quindi ogni attività integrativa dettata dal Giudice rimarrebbe priva di titolo legittimante.
Infine, l'integrazione del progetto sarebbe comunque rimessa al Giudice monocraticò, privo del supporto scientifico apportato dalla componente onoraria. Quest'ultimo aspetto, ovvero la mancata attribuzione del giudizio a un Organo collegiale multidisciplinare e altamente formato, appare intero non superabile e preclude in modo definitivo la possibilità di assicurare i fini propri del processo minorile, che evidentemente travalicano una logica trattamentale meramente proporzionale e a valenza retributiva.
In definitiva, a giudizio dello scrivente, l'istituto introdotto all'art. 27 bis d.P.R. n. 448 del 1988 solleva dei dubbi non manifestamente infondati in relazione all'art. 3 e all'art. 31 comma II Costituzione, perché c'ela, di fronte a un reato asseritamente commesso da un min renne, una meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo, scandita dal principio di proporzionalità, anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell'Organo giudicante minorile.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini dianzi indicati, questione di legittimità costituzionale dell'art. 27 bis, del d.P.R. n. 448 del 1988, così come inserito dall'art. 8, comma 1, lettera b) del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, per la violazione degli articoli 3 e 31 della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale;
dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico ministero sede nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.