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27 dicembre 2021 N. 145 - Penale e processo
Confisca di prevenzione e attuazione degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019
La confisca di prevenzione, introdotta nell'ordinamento per fronteggiare la criminalità organizzata di stampo mafioso, è stata progressivamente estesa a soggetti connotati da pericolosità generica, considerati inclini al crimine dal quale traggono la propria fonte di sostentamento. La recente sentenza n. 24/2019 della Corte Costituzionale ha ridefinito i confini di tale forma di pericolosità, espungendo coloro che siano “abitualmente dediti a traffici delittuosi”, così determinando il venir meno di uno dei presupposti applicativi della misura ablatoria in esame. Si è posto, quindi, il tema dell'individuazione del rimedio processuale esperibile a tutela del soggetto inciso da una confisca fondata su tale categoria.
di Dott. ssa e consulente compliance aziendale - 231 Tiziana Satta Mazzone
Premessa
L'urgenza di modellare strumenti di contrasto al fenomeno mafioso ha indotto il Legislatore a istituire con L. n. 646/1982 (cd. Legge Rognoni-La Torre) la confisca di prevenzione. 
Nell'impianto originario, essa rivestiva carattere meramente accessorio, potendo essere applicata unicamente nei confronti di soggetti già destinatari di una misura di prevenzione personale. Solo in seguito, l'efficacia di tale strumento ha condotto, per un verso, ad un'applicazione disgiunta della misura in esame da quelle personali, per altro verso, ad un graduale ampliamento della sua portata applicativa nei confronti di soggetti indiziati di un numero sempre più crescente di gravi delitti (a pericolosità qualificata) o connotati da una cd. pericolosità generica.
La necessità di riordinare la materia ha determinato il varo del D.Lgs. n. 159/2011, cd. Codice antimafia, recante la disciplina organica delle misure di prevenzione, il cui art. 120, comma 1, lett. a) e b) ha abrogato interamente la L. n. 1423/1956 e la L. n. 575/1965 che in precedenza disciplinavano la materia.
Fisionomia e natura giuridica della confisca di prevenzione
La confisca di prevenzione è una misura adottata nei confronti di soggetti pericolosi, tendente a prevenire condotte costituenti reato mediante l'ablazione dei beni da essi illecitamente accumulati, la cui disponibilità agevolerebbe la commissione di ulteriori reati. A tale finalità preventiva si affianca un'esigenza ripristinatoria, volta a sottrarre dal circuito economico i patrimoni illecitamente accumulati, recidendo il rapporto tra il proposto e i beni entrati nella sua disponibilità per effetto di attività illecita.
Recentemente, la Corte Costituzionale con sentenza n. 24/2019, richiamando la sent. n. 4880/2015 delle Sezioni Unite della Suprema Corte secondo cui «il presupposto giustificativo della confisca di prevenzione [..] è la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecite», ha chiarito che:

giurisprudenza

«[..] l'ablazione di tali beni costituisce non già una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione, la quale determina [..] un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquisito la materiale disponibilità, risultando sin troppo ovvio che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all'indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell'ordinamento giuridico».  

Pertanto, ove ricorra una ragionevole presunzione, o in presenza di prove dirette, che il bene, di cui il proposto sia titolare o abbia la materiale disponibilità, sia stato acquistato attraverso una condotta illecita, la confisca del bene non punisce il soggetto per la propria condotta, bensì interrompe la relazione esistente tra il bene e il soggetto, trattandosi di rapporto costituitosi in modo non conforme all'ordinamento.
La stessa Corte EDU non ha mai riconosciuto natura penale alla misura, rilevando che essa non soggiace alle garanzie ex artt. 6 e 7 CEDU, bensì a quelle ex art. 1 Prot. addiz. CEDU.
Principi costituzionali e convenzionali
Pur se priva di natura sanzionatoria, la confisca di prevenzione incide significativamente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica tutelati dagli artt. 41 e 42 Cost. e dall'art. 1 Prot. Addiz. CEDU. Pertanto, la legittimità di tale misura presuppone:
  • il rispetto della riserva di legge: occorre una “base legale” che consenta ai destinatari di prevederne l'applicazione;
  • deve essere necessaria e proporzionale rispetto agli obiettivi perseguiti;
  • l'applicazione all'esito di un procedimento che garantisca il rispetto del canone del giusto processo ex artt. 111, commi 1, 2 e 6 Cost. e 6 CEDU, nonché la tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost. di colui nei cui confronti sia richiesta la misura.
Presupposti applicativi soggettivi
Il D.L. n. 92/2008 (conv. dalla L. n. 125/2008) ha fissato:
  1. il principio di applicazione disgiunta della confisca di prevenzione dalla misura di prevenzione personale;
  2. la regola della prosecuzione del procedimento di applicazione della misura ablatoria in caso di morte del destinatario;
  3. la possibilità di avanzare richiesta di applicazione della misura entro cinque anni dalla morte di colui che avrebbe potuto essere destinatario della confisca (art. 18, D.Lgs. n. 159/2011). 
La soppressione della natura accessoria della confisca di prevenzione rispetto alla misura personale ha determinato il venir meno del carattere necessariamente attuale della pericolosità sociale del proposto: il bene è confiscabile purché sia stato acquistato da un soggetto pericoloso in quel momento. La pericolosità del soggetto si riverbera sul bene acquisito, che risulta così affetto da pericolosità genetica.
Ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 159/2011, possono essere destinatari della misura in esame:
  • i soggetti segnalati al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o risorse economiche,
  • i soggetti di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 159/2011 che individua i destinatari della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale. Rientrano in tale categoria i soggetti connotati da una:
    • cd. pericolosità generica (per effetto del rinvio operato dall'art. 4, lett. c) all'art. 1 del D.Lgs. n. 159/2011); 
    • cd. pericolosità qualificata (ipotesi elencate dalle ulteriori lettere di cui all'art. 4), riferita a soggetti indiziati di uno dei reati ivi indicati. 
L'art. 1 D.Lgs. n. 159/2011 dispone che le misure di prevenzione personali si applicano a:

legislazione

  1. coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; 
  2. coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono  abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 
  3. coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'articolo 2, nonché' dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Recentemente, la categoria della pericolosità generica ex art. 1 D.Lgs. n. 159/2011 è stata al centro di un intenso dibattito giurisprudenziale, confluito nella ridefinizione del suo perimetro applicativo per effetto dell'espunzione dei soggetti “dediti ai traffici delittuosi”.
Anzitutto, la Corte EDU, con sent. De Tommaso del 23.2.2017, ha ritenuto che le previsioni ex art. 1, nn. 1) e 2) l. 1423/1956, trasfuse nell'art. 1, lett. a) e b) D.Lgs. n. 159/2011, non risultano:

giurisprudenza

«sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati [..] un pericolo per la società” poiché non “formulate con sufficiente precisione in modo da fornire una protezione contro le ingerenze arbitrarie e consentire al ricorrente di regolare la propria condotta e prevedere con un sufficiente grado di certezza l'applicazione di misure di prevenzione».

Successivamente, la giurisprudenza nazionale, adottando una lettura convenzionalmente orientata (cd. tassativizzante) di tali disposizioni, ha affermato la necessità di fondare il giudizio di pericolosità di un soggetto su una valutazione prognostica, preceduta da una fase (diagnostico-constatativa) volta ad accertare la sussistenza di “fatti” che inducano a iscrivere il soggetto in una delle categorie di cd. pericolosità generica. 
La Corte Costituzionale, prendendo atto di tale indirizzo ermeneutico, con sentenza n. 24/2019, pur ritenendo conforme alla Costituzione la fattispecie di pericolosità generica disciplinata dalla lett. b) dell'art. 1 D.Lgs. n. 159/2011, è pervenuta ad un giudizio di illegittimità costituzionale dell'ipotesi di pericolosità di cui alla lett. a) del citato art. 1 D.Lgs. n. 159/2011, riferita a coloro che sono “abitualmente dediti a traffici delittuosi”, sostenendo che la disposizione in esame è:

giurisprudenza

«affetta da radicale imprecisione, non emendata dalla giurisprudenza successiva alla sentenza De Tommaso” in ragione dell'impossibilità di assegnare al sintagma “traffici delittuosi” un significato ragionevolmente prevedibile per l'interessato, concludendo che “la descrizione normativa in questione [..] non soddisfa le esigenze di precisione imposte tanto dall'art. 13 Cost. quanto, [..] in riferimento all'art. 117, comma primo Cost., dall'art. 1 del Prot. addiz. CEDU per ciò che concerne le misure patrimoniali del sequestro e della confisca».

Ne è conseguita l'illegittimità costituzionale delle norme che consentono l'applicazione delle misure di prevenzione personali e di quelle patrimoniali a «coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi», ex art. 1, lett. a), D.Lgs. n. 159/2011, in ragione del difetto di tassatività, che ne rende non ‘prevedibile' l'applicazione.
Presupposti applicativi oggettivi
L'art. 24 D.Lgs. n. 159/2011 individua i presupposti oggettivi necessari ai fini della confisca:
titolarità o disponibilità dei beni da parte del proposto o che risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego: la disponibilità dei beni è diretta in presenza di intestazione formale degli stessi, indiretta ove il bene, in assenza di alcuna formale intestazione, ricada nella sfera degli interessi economici del proposto. In quest'ultimo caso, occorre un rigoroso accertamento, sulla base di elementi fattuali gravi, precisi e concordanti, volto a chiarire le ragioni dell'interposizione fittizia.
In caso di morte del proposto, è possibile proseguire il procedimento di applicazione della misura in esame nei confronti degli eredi o avviare il relativo procedimento entro cinque anni dalla morte dello stesso.
La misura in esame può assumere la forma diretta o per equivalente, quest'ultima da disporre, ai sensi dell'art. 25 D.Lgs. n. 159/2011, in tutti i casi in cui non sia possibile procedere all'ablazione diretta dei beni di origine illecita. 
Sufficienti indizi della provenienza illecita dei beni: rileva in tal senso la sproporzione tra il valore dei beni e il reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o l'attività economica esercitata. Il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro usato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale.
Connessione temporale tra pericolosità della persona ed epoca di acquisto del bene: poiché la confisca di prevenzione mira a recidere il rapporto tra patrimoni di illecita provenienza e soggetti socialmente pericolosi, occorre accertare la pericolosità del soggetto al momento dell'acquisto del bene, sebbene non più attuale. 
Effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2019
A questo punto, occorre individuare il rimedio processuale esperibile a tutela del soggetto inciso da un provvedimento di confisca di prevenzione riconducibile alla categoria di pericolosità generica ex art. 1, lett. a), D.Lgs. n. 159/2011 dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sent. n. 24/2019 della Corte Costituzionale, trattandosi di misura ablatoria applicata in difetto dei necessari presupposti.
In proposito, si registrano due distinti orientamenti giurisprudenziali: l'uno secondo cui il rimedio diretto a far valere il difetto originario dei presupposti per effetto della sentenza n. 24/2019 è l'incidente di esecuzione ex  artt. 666 e 670 c.p.p. (Cass., sent. n. 36582/2020); l'altro, allo stato maggioritario, che propende per lo strumento della revocazione ex art. 28 D.Lgs. n. 159/2011, poiché «in tema di misure di prevenzione, non sussiste la competenza del giudice dell'esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del decreto definitivo con la quale si solleciti la verifica della permanenza della sua "base legale"» (Cass. sent. n. 27696/2019). 
Trattandosi di questione particolarmente rilevante, si è reso necessario l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Cassazione che, con sent. del 16.12.2021, hanno stabilito che:

giurisprudenza

«In tema di misure di prevenzione patrimoniale, il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, ex art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, è la richiesta di revocazione, di cui all'art. 28, comma 2, del d.lgs. citato».

Concludendo
In attesa del deposito delle motivazioni della citata sentenza della Suprema Corte, è possibile sin d'ora sostenere che tale decisione si fonda sull'innata autonomia del procedimento di prevenzione, la cui disciplina organica è racchiusa nel Codice antimafia. Si aggiunga che la medesima previsione di cui all'art. 28, comma 2 D.Lgs. n. 159/2011 esplicita la finalità della revocazione della confisca, appunto rivolta a dimostrare «il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura», ovvero di una situazione conforme a quella determinata dalla sent. n. 24/2019 della Corte Costituzionale.
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