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17 novembre 2022 Deontologia forense
La presunzione di non colpevolezza vale anche in sede disciplinare

Assolto l'avvocato titolare di un'azienda agricola che era stato coinvolto in un procedimento avente ad oggetto il mancato pagamento di alcune fatture in assenza di prove certe.

di La Redazione

Il COA di Mantova inviava al CDD di Brescia il fascicolo del procedimento aperto nei confronti dell'avvocato ove gli esponenti avevano segnalato di aver fornito al medesimo una serie di prodotti per la società agricola di cui era titolare, non ricevendone il corrispettivo.
Una volta terminata l'istruttoria, il CDD riteneva l'avvocato responsabile degli illeciti disciplinari a lui addebitati e applicava la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per un anno.
Contro tale decisione, l'avvocato propone ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.

Con la sentenza n. 128 del 5 settembre 2022, il CNF accoglie il ricorso proposto dall'avvocato osservando come dalle risultanze del dibattimento l'accusa formulata nei suoi confronti non fosse sostenuta da una documentazione congrua e ciò nel rispetto del diritto di difesa, così come non risultava supportata dalle dichiarazioni testimoniali rese dai terzi disinteressati. L'impianto probatorio alla base della decisione del CDD risulta dunque insufficiente allo scopo di comprovare la responsabilità del ricorrente, dovendo di conseguenza assolvere quest'ultimo in assenza di certezza nella ricostruzione dei fatti e dei comportamenti, visto che essi non erano stati inseriti debitamente nel più vasto contesto dei rapporti e delle relazioni esistenti tra le parti.
Il procedimento disciplinare, infatti, e` di natura accusatoria, dunque va accolto il ricorso contro la decisione del CDD nel caso in cui la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle medesime, poiché l'insufficienza di prove su un fatto conduce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell'incolpato, il quale va pertanto prosciolto dall'addebito. Ciò a maggior ragione perché in sede di irrogazione della sanzione disciplinare non incombe sull'incolpato l'onere di provare la sua innocenza, bensì al Consiglio territoriale, il quale è chiamato a verificare la sussistenza e l'addebitabilità della violazione deontologica.

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