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8 agosto 2023 Deontologia forense
L'avvocato che in una lite extra lavorativa utilizza parole blasfeme non incorre automaticamente in una violazione del codice deontologico
A precisarlo è stato il CNF, che si è pronunciato su un caso che ha visto coinvolti un avvocato e un'autista di ambulanza ripresi durante un litigio, diventato poi virale sui social.
di La Redazione
Il procedimento disciplinare trae origine da una segnalazione d'ufficio pervenuta al CDD da parte del COA di Pordenone, in merito al comportamento tenuto dall'avvocato durante una lite con l'autista di un'ambulanza.
 
La lite, dai toni molto accesi e con contenuti volgari e blasfemi, era stata ripresa e diffusa sui social network e non solo, diventando così virale.

Con il ricorso presentato dinanzi al CNF, il COA di Pordenone sosteneva che le condotte poste in essere dall'avvocato, quali le imprecazioni e le offese alla mamma dell'austista, potessero integrare gli illeciti disciplinari previste dagli articoli 9 n. 2 e 63 del CDF. 
 
Infatti, secondo il COA sarebbero state commesse le seguenti violazioni:
  • dell'art. 9, comma 2 c.d.f., in quanto «l'avvocato, anche al di fuori dell'attività professionale deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense»; 
  • dell'articolo 63, comma 1, c.d.f., in quanto «l'vvocato, anche al di fuori dell'esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi».
Esaminato il ricorso, il CNF, con sentenza n. 24 del 7 marzo 2023, lo rigetta affermando che «non appare quindi allo stato, che i fatti occorsi abbiano inciso negativamente sul prestigio, la dignità e decoro della classe forense: tale principio mira infatti a tutelare l'immagine dell'avvocato che, in quanto collaboratore della giustizia deve improntare la sua condotta a criteri di correttezza e dignità».
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