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10 novembre 2023 Avvocati
Salario minimo e avvocati
Nel clima agostano si è aperto un dibattito politico in relazione ad una ipotesi di legge che imporrebbe una retribuzione base minima, imprescindibile per ogni rapporto di lavoro.
di Avv. Giorgio Treglia
È un tema assai delicato che, al di là delle opinioni politiche che ciascuno può avere e che non mette conto trattare in questa sede, necessita di alcune puntualizzazioni che, normalmente, gli organi di informazione non approfondiscono in modo adeguato.
Come è noto, i sistemi retributivi nella nostra Nazione sono ancorati a quanto stabilisce la contrattazione collettiva. Fra l'altro va ricordato che il D.L.  13 agosto 2011 n. 138 (convertito nella L. 14 settembre 2011 n. 148), al suo articolo 8, prevede che i contratti collettivi di la-voro, sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni di lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, possano realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali. La norma ci dice poi che le specifiche intese possono riguardare la regolamentazione di materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione in generale.
A questo punto, sotto un profilo storico, va ricordato che, con l'avvento della nostra Costituzione, è stato anche introdotto un principio secondo cui l'organizzazione sindacale è libera. Il tema è stato toccato dalla Corte Costituzionale che, con la nota sentenza 31 agosto 2013 n. 231, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, comma primo lettera b) dello Statuto dei Lavoratori, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda.
In sostanza, i giudici delle leggi hanno eliminato qualunque ostacolo e vincolo alla costituzione, formazione e organizzazione sindacale. Tuttavia, sempre nella stessa sentenza, è chiarito che, pur non essendo ancora stata data piena attuazione al contenuto di cui all'art. 39 Cost., un criterio selettivo della rappresentatività sindacale potrebbe essere incentrato sull'indice di rappresentatività. Tale indice potrebbe essere costituito dal numero degli iscritti, o dalla introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento o nell'attribuzione ai sistemi della con-trattazione contrattuale in generale e non al singolo contratto collettivo, oppure ancora al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Era questo un compito demandato al legislatore, ma dalla data della sentenza ad oggi non è accaduto assolutamente nulla.
Diversamente, le associazioni sindacali si sono date da fare: ecco, a mero titolo di esempio, il Testo Unico sulla Rappresentanza, sottoscritto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil a Roma il 10 gennaio 2014. In questo accordo è precisato che sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie dell'accordo stesso, oppure dell'Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del protocollo del 31 maggio 2013, a patto che abbiano, nell'ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale dei voti ottenuti su voti espressi) come risultante dalla ponderazione effettuata dal Cnel. Accordi sindacali, ma non norme di legge, evidentemente preferendosi che la seconda parte dell'art. 39 Cost. continui a rimanere inattuata. I padri costituenti avevano previsto, per la registrazione del sindacato, uno statuto a base democratica e la possibilità per il sindacato di stipulare i contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie a cui il contratto si riferisce.
Come si diceva, questa seconda parte della normativa costituzionale non è stata attuata, ma i principi generali sul salario minimo hanno trovato piena attuazione. È ormai noto che la determinazione di quel salario, che dà diritto al dipendente di avere una esistenza libera e dignitosa, è principio contenuto nell'art. 36 Cost. ed è attuato proprio con attenzione ai valori minimi espressi nei contratti collettivi.
In sostanza, si pone attenzione all'attività che svolge un'azienda e quale sia il contratto collettivo applicato o che l'azienda stessa adotta. Dopodiché si tiene conto delle mansioni che il lavoratore svolge, del suo livello di inquadramento e si giunge alla corretta determinazione della retribuzione. Discende da quanto sopra che il concetto e l'attuazione del salario minimo inderogabile è cosa assolutamente ovvia nel nostro ordinamento.
 
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Indubbiamente, da un altro punto di vista, non può sottacersi che l'Italia è forse l'unico Paese europeo dove si riscontra una quantità davvero eccessiva di contratti collettivi. 
È inutile ricordare che le associazioni sindacali dei lavoratori e datoriali hanno sempre profuso grande attività e grande attenzione nella determinazione dei minimi salariali, tentando così di adeguarli a quelli che sono le problematiche di vita e consentendo quindi di stabilire che, quello che è scritto all'interno di un contratto collettivo e, almeno per la parte relativa al minimo salariale, rappresenta il giusto parametro di riferimento che, come detto, non può essere derogato.
Immaginiamo, a questo punto, che esista una norma di legge che fissi un importo minimo dovuto. In tal caso si dovrebbe valutare quale impatto si avrebbe sul sistema della con-trattazione collettiva o, meglio, sulla determinazione di quella retribuzione che consenta quell'esistenza libera e dignitosa di cui si è detto poc'anzi.
In questa situazione, le trattative delle varie associazioni sindacali possono rinvenire, nel-le cognizioni tecniche degli avvocati che trattano la materia giuslavoristica, un valido aiuto, soprattutto per quel che concerne la contrattazione collettiva di prossimità, o di secondo livello.
Più precisamente, è giunto il tempo di poter pensare che l'avvocato debba coniugare in sé tutte le nozioni tecniche, non solo incentrate nei principi generali del contratto vivono ma, riferite a tutte le altre normative che gli stanno intorno: penso alle normative sulla privacy, a quelle sul whistleblowing, a quelle parità di genere, ai sistemi incentivanti della retribuzione ed a tutto quanto riguarda la vita all'interno di un'azienda.
La vera riforma del sistema salariale italiano sarebbe quella di avere pochi contratti collettivi, quelli che potrebbero definirsi macro-contratti, lasciando poi alla contrattazione di secondo livello la regolamentazione più specifica di quelle che sono le esigenze delle singole aziende.
Su questo punto, va ricordato che ben potranno avere un ruolo fondamentale le associa-zioni sindacali che potranno intervenire in modo specifico sulla regolamentazione del contratto.
Fra l'altro proprio l'articolo 8 della predetta Legge 148, prende atto che i contratti aziendali o territoriali di cui si è detto, potranno, come appena accennato, provvedere alla regolamentazione di materie inerenti gli impianti audiovisivi, le mansioni del lavoratore, la classificazione e l'inquadramento del personale, i contratti a termine, la disciplina dell'orario di lavoro nelle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative ed altro ancora.
Giustamente il legislatore si è reso conto, ormai da un decennio, della necessità di aiutare specificamente la singola azienda ad organizzarsi nel miglior modo possibile.
Orbene, l'avvocato, che sia anche consulente dell'azienda e che viva i problemi della medesima, è la persona più adatta a contribuire ad organizzare al meglio il rapporto di lavo-ro ed a risolvere la questione della retribuzione.
È sicuramente necessario pensare che, nell'ambito del diritto vivente, l'avvocato non è co-lui che combatte a favore del lavoratore o resiste per la tutela degli interessi dell'azienda; egli svolge una funzione diversa, una funzione di aiuto tecnico. In una parola una funzione che tende ad organizzare al meglio il rapporto che si vive all'interno di una società, grande o piccola che sia.
È proprio l'avvocato che può evitare, da un lato, un contenzioso talvolta inutile e, dall'altro, profondere le sue cognizioni tecniche per la miglior realizzazione di un obiettivo comune per il datore di lavoro e per il lavoratore: ovvero la miglior realizzazione di una convivenza ordinata e rispettosa di tutti i principi che informano un rapporto di lavoro subordinato.
Si riscopre così un'attività istituzionale tipica dell'avvocato che è quella di dare consigli proprio in virtù dei principi generali che sono informatori di una materia così delicata.
Personalmente, tralascerei una disquisizione sulla retribuzione minima dovuta per legge, in quanto potrebbe vanificare cinquant'anni di contrattazione collettiva e di sforzi poi pro-fusi dalle varie associazioni sindacali.
Mai come in questo tempo l'avvocato specialista che vive l'azienda è una delle soluzioni da preferire a un dibattito politico forse inutile.
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