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Articolo realizzato con la collaborazione dell'avv. Valeria Pollinzi Resta a margine della pronuncia in commento il merito della vicenda da cui nasce procedimento, attinente ad una separazione coniugale e, in particolare, alla determinazione ed alla quantificazione dell'assegno divorzile. Sul punto si era dapprima pronunciato il Tribunale di Ancona, poi il Giudice d'Appello e di seguito anche la Corte di Cassazione che aveva restituito la causa al giudice territoriale ravvisando alcuni profili meritevoli di approfondimento. Anche la seconda sentenza viene portata all'attenzione del Collegio di legittimità, richiesto a decidere su un numero consistente di motivi e, tra essi, ai due profili esposti dal controricorrente, oggetto del commento che segue. Questi eccepisce, in primo luogo, la nullità della procura alle liti perché recante una data di riferimento successiva alla redazione del ricorso ed, in seconda battuta, l'improcedibilità del ricorso per omesso deposito della copia digitale della sentenza impugnata debitamente munita dell'attestazione di conformità. Entrambe le eccezioni vengono disattese attraverso richiamo a precorso e pacifico orientamento giurisprudenziale in materia supportato anche dalle pronunce delle Sezioni Unite. |
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Si è appena detto dei profili esposti dal controricorrente che la Corte disattende in maniera perentoria, forte del supporto pervenuto dai precedenti delle Sezioni Unite. Rilevante, in particolare, la questione afferente alla sorte della procura, oggetto di recente decisione utile ad escludere definitivamente l'esigenza di contestualità obbligatoria tra la data del rilascio mandato a difendere e la redazione del ricorso. Determinante semmai – disse allora la Cassazione – che la procura rechi una data successiva all'emissione del provvedimento che si intende impugnare. (SS.UU. sent. n. 2075 del 19/1/2024). Non meno complessa la trattazione dell'altra eccezione, anch'essa beneficiata da autorevole precedente portatore di un principio che il Collegio condivide incondizionatamente. La questione atteneva, anche in questo caso, alla ravvisata irregolarità della copia della sentenza impugnata e che – sosteneva il controricorrente – era priva dell'attestazione di conformità del documento acquisito dal fascicolo telematico e quindi suscettibile di determinare l'improcedibilità del ricorso. Sovviene, anche in questo caso, il supporto reso sul punto dalle Sezioni Unite, qui pedissequamente richiamato nella parte aveva evidenziato come «…il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità, ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa». (Cass. SS.UU. sentenza n. 8132/2019). Il principio è sufficiente e necessario a guidare il rigetto anche di questa eccezione. |
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A commento dell'ordinanza in esame può dirsi come il lavoro della Corte possa essere stato in qualche modo agevolato dalla presenza degli autorevoli precedenti che avevano affrontato analoghe fattispecie. Univoco il riferimento alla sorte del mandato che rechi una data diversa da quella indicata in ricorso e, in questo caso, precedente ad esso. È ormai pacifico infatti che l'unico aspetto che può rilevare ai fini della validità della procura speciale è il riferimento alla data di emissione della decisione da impugnare che non può che essere precedente a quella in cui la prima risulta rilasciata dal cliente. Più interessante la seconda parte della pronuncia che si risolve nell'enunciazione di due significativi rilievi qui di seguito riassunti:
Il primo profilo era stato affrontato dalla Corte di legittimità sotto il regime del deposito analogico. Anche in quel caso mancante od irregolare era risultata l'allegazione al fascicolo del ricorrente della copia della sentenza oggetto dell'impugnazione. La questione si ripropone nel giudizio in esame e nel nuovo contesto telematico che permette l'acquisizione dell'intero fascicolo processuale o di sue parti dal fascicolo telematicamente costituito. In questo caso il ricorrente aveva proceduto alla stampa del documento (giuridicamente qualificato dal CAD quale copia analogica) completandola con l'attestazione di conformità al riferimento informatico presente nel fascicolo telematico e l'apposizione della firma in calce ad esso. Successivamente aveva però realizzato una scansione del medesimo atto, poi prodotto in giudizio ma senza l'attestazione di conformità al documento digitale depositato in Cassazione. Terzo e non irrilevante passaggio si era infine verificato in corso di causa, allorquando cioè il ricorrente si era determinato ad un nuovo deposito telematico contenente nuova copia della sentenza in formato digitale, stavolta munita di attestazione di conformità, eseguita prima dell'udienza indicata per la discussione in camera di consiglio. È proprio questa la circostanza che guida il Collegio al rigetto dell'eccezione proposta e che poggia su altro precedente (ve n'è citazione anche in Cass. civ. sez. I, ord. 15 luglio 2024 n. 19328) con il quale era stato escluso che l'omessa attestazione di conformità o comunque la non conformità alle disposizioni regolamentari della produzione potesse ritenersi pregiudizievole per l'atto. Lo avevano sancito le Sezioni Unite con la sentenza n. 8132/2019, precisando che «…il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità, ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa». Ove poi alcune o tutte le controparti dovessero rimanere intimate o comunque depositino controricorso disconoscendo la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, questi «per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019; conf. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3727 del 12/02/2021). Nuovo, in questo contesto, il rilievo del Collegio adito in questa sede, pronto ad evidenziare come il contesto processuale “analogico” esaminato dalla Sezioni Unite non sia assolutamente differente dal c.d. “ambiente digitale”, insuscettibile di soggiacere a disposizioni diverse da quelle comuni e determinate dal codice. Precisa, in particolare, la Corte (altrove lo si era detto anche con riferimento alla fase di notificazione del ricorso) come il deposito in formato cartaceo della copia analogica della decisione nativa digitale priva dell'attestazione di conformità o con attestazione di conformità priva della sottoscrizione autografa, sia soggetto al medesimo trattamento proprio delle fattispecie c.d. “a formazione progressiva", destinata a completarsi con lo scadere dell'ultimo termine di legge e che, nel caso di giudizio in Cassazione, va individuato nell'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio. È in tal modo che si perviene ad ampliare il precedente principio, che assume così portata più generale e compatibile con i princìpi di salvaguardia dell'atto e, soprattutto, di perentorietà e tassatività delle ipotesi di improcedibilità. |
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza (ud. 1° febbraio 2024) 29 luglio 2024, n. 21101
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 15/07/2011, C.C. ha convenuto in giudizio la coniuge M.S. per ottenere lo scioglimento del matrimonio civile, contratto in data 30/12/2000, rappresentando che i predetti erano già pervenuti alla separazione consensuale, con comparizione personale avanti il Tribunale di Ancona in data 19/04/2008, omologata il 20/05/2008, nella quale veniva concordato che entrambi rinunciassero reciprocamente ad ogni forma di assistenza e/o mantenimento avendo adeguati redditi propri.
Costituitasi in giudizio, M.S. non si è opposta alla dichiarazione di scioglimento del matrimonio ma, in via riconvenzionale, ha chiesto il riconoscimento di un assegno divorzile di € 4.000,00 mensili, o della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, con decorrenza dalla data della domanda.
Con sentenza non definitiva n. 1340/2012 il Tribunale ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio e con separata ordinanza ha rimesso la causa in istruttoria per trattare le questioni di natura economica.
Esperite prove orali, con sentenza definitiva n. 1280/2016, il Tribunale ha posto a carico del C. l’obbligo di corrispondere in favore della S. un assegno divorzile determinato in € 1.500,00 mensili, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, con rivalutazione annuale secondo gli indici Istat, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.
Avverso la menzionata sentenza C.C. ha proposto appello principale, deducendo: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 88 del 1970, potendo l’assegno di divorzio essere riconosciuto al coniuge solo allorché non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni oggettive; 2) l'errata valutazione del compendio probatorio acquisito; 3) l'ingiustificata riduzione del numero di testi da escutere. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale in origine avanzata dalla S..
Quest'ultima ha resistito al gravame e, in via incidentale, ha chiesto la riforma della sentenza impugnata, denunciando, tra l’altro, l’errata valutazione delle risultanze istruttorie nella parte in cui ha escluso un apprezzabile contributo personale ed economico della donna alla conduzione familiare (in relazione al quale aveva formulato anche istanze istruttorie non ammesse), insistendo per il riconoscimento dell'assegno divorzile nella misura di richiesta di € 4.000,00 mensili o comunque superiore a quella fissata dal Tribunale.
Con sentenza n. 1742/2017, la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello principale, ed in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda volta all’attribuzione dell’assegno divorzile, escludendone la spettanza, seguendo quell’orientamento giurisprudenziale precedente alla sentenza delle Sezioni Unite del 2018, che valutava soltanto la funzione assistenziale dell’assegno, nella specie esclusa in ragione della ritenuta indipendenza economica della donna.
Con ordinanza n. 35706/2021 la Corte di Cassazione ha cassato la decisione appena richiamata, rinviando alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, per la definizione del giudizio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 35706 del 19/11/2021).
Questa Corte ha accolto il secondo e il terzo motivo del ricorso proposto dalla S., con i quali era stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello negato alla ricorrente il diritto all’assegno sul presupposto della sua autosufficienza economica (secondo motivo), e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per travisamento della prova ed omesso esame di fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti (terzo motivo).
Questa Corte ha, in particolare, statuito come segue: «5. Il secondo motivo ed il terzo, da trattarsi congiuntamente perché connessi, sono invece fondati. L’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto non a conseguire l’autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. SU 11/07/2018 n. 18287). 6. La ricorrente ha dedotto sul proprio ruolo all’interno della famiglia e sulla correlazione tra il primo ed il riconoscimento dell’assegno divorzile in forza del nuovo criterio che coniuga sperequazioni reddituali, con ruoli e rinunce operate dal richiedente, per scelte condivise con l’altro coniuge, durante ed a causa della vita matrimoniale. 7. La Corte dorica non si è attenuta all’indicato principio ed in accoglimento dei motivi la sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Ancona, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.»
Con ricorso in data 18/02/2022 la S. ha riassunto il giudizio, insistendo per il riconoscimento di un assegno divorzile nella misura di € 4.000,00 mensili o comunque superiore ad € 1.500,00 mensili, insistendo altresì per l'ammissione delle prove orali non ammesse in primo grado.
C. C. si è costituito in giudizio e ha chiesto, in via principale, il rigetto delle domande avversarie e, in via subordinata, la riduzione dell'assegno ad un importo minore rispetto a quello in origine riconosciuto dal Tribunale di Ancona.
Con sentenza n. 1384/2022, la Corte d’appello, accogliendo l’impugnazione, ha posto a carico di C.C. il pagamento in favore di M.S. di un assegno divorzile determinato in € 1.500,00 mensili, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio civile, con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, compensando tra le parti tutte le spese di lite.
La Corte dorica ha rilevato che dall’esame della documentazione acquisita in grado di appello, prima e dopo il giudizio di legittimità, emergeva che la S. aveva ceduto le proprie quote della CR di C. R. & c. s.n.c., recedendo dalla carica di amministratore della stessa società, ma aveva costituito una nuova società, la C. s.r.l., avente il medesimo oggetto sociale (doc. 4 nel fascicolo del C.), di cui aveva la titolarità del 100 % delle quote e di cui era amministratrice, che aveva di fatto proseguito l'attività della fallita CR di (omissis) s.n.c. in forza di un contratto di affitto di azienda.
La stessa Corte ha, inoltre, dato rilievo al fatto che la S. risultava avere ceduto le quote della (omissis)s.r.l. alla (omissis) con sede a Londra (che aveva nominato un nuovo amministratore), ma aveva continuato ad essere presente nella società, come si desumeva dalla circostanza che il bilancio al 31/12/2014 (da cui emergeva un utile di € 706.797,00) era da lei stessa firmato, in qualità di segretaria.
La menzionata Corte ha aggiunto che, nelle more del giudizio di rinvio, a seguito dell'acquisto delle quote sociali della (omissis) s.r.l. da parte dell'avv. D.R., la S. era stata nuovamente nominata amministratore e, in tale veste, aveva provveduto ad acquistare gli immobili in cui svolgeva l'attività già oggetto dell’affitto di azienda. Risultava, inoltre che la S. era stata nominata amministratore della (omissis) s.r.l., alla quale, nelle predette qualità, aveva ceduto gli immobili già di proprietà della C. di (omissis) c. s.n.c.
Sulla base di tali emergenze, la Corte di merito ha ribadito le conclusioni già raggiunte, affermando che la S. sia durante il matrimonio che dopo aveva mantenuto integra la propria capacità di lavoro e di produrre reddito sì da escludere la spettanza dell’assegno divorzile con funzione assistenziale che, invece, ha ritenuto spettante in relazione alla funzione perequativo- compensativa, valutata in ottemperanza a quanto stabilito dalla pronuncia di questa Corte che ha cassato la prima decisione della Corte territoriale.
In particolare, secondo il giudice di appello non era in contestazione che le parti avessero cominciato a convivere more uxorio sin dal 1997 e che la separazione era stata omologata in data 20/05/2008. A fronte di tali circostanze, la Corte ha ritenuto che non era contestato il ruolo svolto dalla S. nell'ambito familiare, anche in relazione al figlio avuto dal C. dal precedente matrimonio, non potendo lo stesso essere superato dalle dichiarazioni del teste G., che si riferivano a una frequentazione per un solo anno scolastico (2005-2006) per soli due giorni settimanali e verosimilmente nelle ore pomeridiane destinate allo studio (impartiva ripetizioni di italiano, storia e geografia), mentre del tutto occasionale appariva la sua presenza a cena. Né la cura della casa poteva essere esclusa per la riconosciuta presenza di una collaboratrice domestica per tre giorni alla settimana, non avendo il C. neanche affermato di essersi egli stesso interessato della cura medesima.
Alla luce di tali elementi, la Corte territoriale ha confermato le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Ancona di riconoscimento alla S. di un assegno divorzile nella misura sopra indicata.
Avverso tale pronuncia C.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di ricorso.
L’intimata si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato documenti in data 12/01/2024 e in data 15/01/2024.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza ex art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per mancanza di motivazione - o motivazione apparente - sulla sussistenza di un concreto apporto della controricorrente in ambito familiare.
Il ricorrente ha, in particolare, stigmatizzato l’assunto della Corte d’appello, nella parte in cui ha ritenuto non contestato il ruolo svolto dalla S. in ambito familiare, anche in relazione al figlio avuto dal C. dal precedente matrimonio, affermando che non potevano porsi a suo carico le conseguenze del mancato assolvimento di un onere di contestazione, in mancanza dell’adempimento da parte della ex moglie del corrispondente onere di tempestiva e specifica allegazione, aggiungendo, inoltre, che la statuizione impugnata era anche contraddittoria, perché la Corte d’appello ha ritenuto di dover valutare la spettanza dell’assegno in funzione perequativo-compensativa, sebbene le risultanze in ordine all’intensa attività lavorativa svolta dalla donna avrebbero dovuto escludere qualsiasi contributo alla vita familiare.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in riferimento all’art 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, per non avere la Corte d’appello tenuto conto della carenza di tempestive allegazioni in ordine al ruolo familiare asseritamente svolto dalla controricorrente, offerte solo nella seconda memoria ex art 183, comma 6, c.p.c., che invece era destinata a provare i fatti tempestivamente allegati, con la conseguenza che non sussistevano i presupposti per ancorare la motivazione ad una ritenuta “non contestazione” del C. di fatti non tempestivamente allegati, né per operare la valutazione riduttiva delle deposizione testimoniali richiamate, evidenziando anche che, nell’incipit della seconda memoria ex art 183, la S. aveva ammesso l’avvenuta contestazione dell’insussistenza di un contributo economico e morale, per cui non residuano spazi per una ricostruzione alternativa delle rispettive allegazioni.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione del procedimento ex art 115 c.p.c., in relazione all’art 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per avere la Corte d’appello basato la motivazione su un’insussistente mancata contestazione del ruolo svolto nell’ambito familiare dalla S..
Il C. ha dedotto che, a fronte delle rilevate lacune assertive della controparte, non aveva alcun onere di effettuare una contestazione più specifica di quella comunque operata, risultante anche da quanto allegato dalla S. nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. («Poiché controparte afferma che la S., in costanza di matrimonio, non avrebbe fornito alcun contributo né economico né morale, si chiede l’ammissione…»).
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., intesa come carenza sostanziale del discorso logico, cioè dell’esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, relativamente alla misura dell’assegno.
2. La controricorrente, nel difendersi, ha formulato due eccezioni pregiudiziali.
2.1. Il primo luogo, la S. ha dedotto che il ricorso era inammissibile per nullità della procura alle liti, da ritenersi ex lege in calce al ricorso, in quanto rilasciata prima della redazione e della notificazione del ricorso per cassazione.
2.1.1. L’eccezione è infondata.
Come di recente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2075 del 19/01/2024).
2.2. La controricorrente ha, poi, eccepito l’improcedibilità del ricorso, in ragione del mancato deposito, nel termine previsto dall’art. 369 c.p.c., della copia della sentenza impugnata, certificata conforme secondo le previsioni di legge.
In particolare, la S. ha rilevato che il ricorrente: a) ha stampato la sentenza dopo averla scaricata dal fascicolo informatico; b) ha attestato la conformità della stampa alla copia informatica con dichiarazione redatta in calce alla copia analogica della sentenza, munendola di sottoscrizione analogica; c) ha scansionato il plico ottenuto depositandolo con modalità telematica senza attestazione di conformità del documento digitale depositato alla copia analogica.
A fronte di tale eccezione, il ricorrente ha provveduto a depositare in data 12/01/2024, e cioè prima dell’adunanza fissata in camera di consiglio, la sentenza impugnata in formato digitale munita di attestazione di conformità, sia pure dichiarando espressamente di non prestare acquiescenza all’eccezione avversaria.
2.2.1. L’eccezione deve essere respinta.
Com’è noto, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8132/2019, hanno precisato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità, ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019; conf. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3727 del 12/02/2021).
Le Sezioni Unite, ricostruendo gli orientamenti espressi in un immediato precedente (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018), hanno affermato che, quando ci si trovi in "ambiente digitale", appaiono applicabili i medesimi comuni principi, onde restringere l'ambito applicativo della sanzione dell'improcedibilità del ricorso. Se, dunque, il difensore deposita una copia semplice della sentenza impugnata, priva di attestazione di conformità ovvero con attestazione priva di sottoscrizione autografa, l'improcedibilità può essere evitata ove il controricorrente non ne contesti la conformità ovvero il ricorrente provveda ad effettuare l'asseverazione "ora per allora" entro il termine sopra indicato.
La pronuncia, riferendosi a depositi effettuati prima del 01/01/2023, ha riguardato il deposito in formato cartaceo della copia analogica della decisione nativa digitale priva dell’attestazione di conformità (o con attestazione di conformità priva della sottoscrizione autografa).
Lo stesso principio è applicabile al deposito, effettuato per via telematica, perché la questione attiene sempre alla mancata attestazione della conformità dell’atto depositato (sia esso un deposito cartaceo, ora non più possibile, o telematico) all’originale o alla copia conforme in possesso della parte che esegue il deposito “in ambiente digitale”.
Nel caso di specie, a fronte dell’eccezione della controricorrente, il ricorrente ha regolarizzato gli atti, provvedendo a depositare il 12/01/2024, e dunque prima della data fissata per l’adunanza camerale, una copia digitale della stessa sentenza impugnata, attestando ai sensi di legge che l’atto è conforme alla copia digitale presente nel fascicolo informatico di cancelleria dal quale è stato estratto.
Anche nell’ipotesi in esame, dunque, opera la "fattispecie a formazione progressiva" sopra delineata (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15712 del 11/06/2019; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15712 del 11/06/2019).
L’eccezione deve pertanto essere respinta in applicazione del seguente principio:
«In tema di ricorso per cassazione, ove il controricorrente, costituitosi tempestivamente, eccepisca l’avvenuto deposito per via telematica, da parte del ricorrente, della copia della sentenza impugnata priva della necessaria attestazione di conformità, il ricorrente può regolarizzare il deposito entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio, così evitando la pronuncia di improcedibilità».
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Com’è noto, in virtù della formulazione vigente dell'art. 360 c.p.c., non è più consentita l'impugnazione per cassazione «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l'effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 prel., come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
3.2. La sentenza in questa sede impugnata è stata adottata all’esito di un giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., instaurato a seguito della cassazione della precedente decisione della Corte d’appello, al fine di accertare la spettanza dell’assegno divorzile in capo alla S. con funzione perequativo-compensativa.
La Corte di merito, dopo avere ritenuto provato che la S., durante la vita matrimoniale, ed anche successivamente, avesse mantenuto integra la propria capacità di produrre reddito, così escludendo la spettanza di un assegno divorzile con funzione assistenziale, ha verificato la sussistenza dei presupposti per attribuire l’assegno divorzile con funzione perequativo- compensativa, statuendo quanto segue: «Ebbene, non è in contestazione che le parti abbiano cominciato a convivere more uxorio sin dal 1997 e che la separazione è stata omologata in data 20/5/2008. A fronte di tali circostanze non contestato è il ruolo svolto dalla S. nell'ambito familiare anche in relazione al figlio avuto dal C. da un precedente matrimonio, non potendo lo stesso essere superato dalle dichiarazioni del teste G. in quanto riferiscono una frequentazione per un solo anno scolastico (2005- 2006) per soli due giorni settimanali e verosimilmente nelle ore pomeridiane destinate allo studio (impartiva ripetizioni di italiano, storia e geografia), mentre del tutto occasionale appare la sua presenza a cena. Né la cura della casa può essere esclusa per la riconosciuta collaborazione di una collaboratrice domestica per tre giorni alla settimana, non avendo il C. neanche affermato di essersi egli stesso interessato della cura medesima. Alla luce dei ricordati elementi devono qui essere confermate le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Ancona di riconoscimento alla S. di un assegno di divorzio nella misura di € 1.500,00 mensili, da adeguare annualmente secondo gli indici ISTAT e da corrispondere entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.»
Dalla lettura della decisione si evince chiaramente che la motivazione è esistente e in grado di esplicitare il percorso logico giuridico seguito per arrivare alla soluzione adottata.
D’altronde, le critiche illustrate con il motivo di ricorso non attengono ad una insanabile non comprensibilità delle ragioni della decisione, ma ad una non condivisione della stessa.
Anche il riferimento alla ritenuta impossibilità di ritenere che la S. avesse mantenuto la propria capacità lavorativa durante il matrimonio e, nel contempo, avesse svolto un ruolo all’interno della famiglia in grado di giustificare l’attribuzione dell’assegno con funzione perequativo- compensativa non si sostanzia in una critica che attiene alla esternazione delle ragioni della decisione, ma esprime una opinione della parte sui presupposti per l’ottenimento dell’assegno in questione, peraltro non condivisa da una giurisprudenza di legittimità oramai consolidata (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35434 del 19/12/2023).
4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Senza dubbio è inammissibile la censura nella parte in cui è dedotta la tardiva allegazione da parte della S. dei fatti costitutivi del diritto all’assegno divorzile, con riguardo al ruolo dalla stessa svolto in ambito familiare.
Com’è noto, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni, di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito, sempre che non si tratti di questioni che il giudice di merito avrebbe potuto rilevare d’ufficio (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018).
Quest’ultima evenienza deve, nella specie, senza dubbio essere esclusa, tenuto conto che la statuizione impugnata è stata assunta in sede di rinvio proprio (non restitutorio), che è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, ove non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d'ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate d’ufficio dal giudice del rinvio, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5137 del 21/02/2019; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 21/02/2007).
Nel caso di specie, la questione della tardività delle allegazioni della controricorrente non è stata esaminata nella sentenza impugnata, né parte ricorrente ha dedotto di averla dedotta, trattandosi, infatti, di questione che non risulta essere stata posta al vaglio del primo giudizio di legittimità e che, pertanto, non poteva essere rimessa all’accertamento del giudice del rinvio, a seguito della ordinanza di cassazione della prima sentenza di appello, che, anzi, ha annullato la precedente decisione, perché la Corte territoriale non aveva accertato la spettanza o meno dell’assegno divorzile con funzione perequativo-compensativa, sebbene la S. avesse allegato fatti a tal fine rilevanti.
4.2. Né può ritenersi che la Corte territoriale, nel compiere l’accertamento ad essa demandato, abbia violato il disposto dell’art. 2697 c.c.
In via generale, occorre tenere presente che spetta alla parte richiedente fornire la prova dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno divorzile, suscettibile di essere offerta anche per presunzioni (Cass., Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 35434 del 19/12/2023).
Tuttavia, per giurisprudenza costante, la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018), e non anche nel caso in cui il ricorrente ritenga errato l’apprezzamento delle resultanze di causa operato dal giudice di merito (tra le tante, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023).
Nel caso di specie, la censura ha attinto il giudizio in fatto della Corte d’appello che, date per non contestate alcune circostanze, ha ritenuto prive di rilievo altre. Si tratta, dunque, di una critica riferita alla valutazione di merito, in sé, insindacabile in sede di legittimità.
5. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Occorre prima di tutto richiamare quanto già illustrato nell’esaminare il precedente motivo in ordine alla inammissibilità di ogni critica riferita alla prospettata tardiva allegazione da parte della S. delle circostanze in fatto rilevanti ai fini della dimostrazione del proprio ruolo familiare, che non risultano formulate né formulabili nel giudizio di rinvio, per le ragioni già illustrate.
Per il resto, la censura difetta di autosufficienza, poiché la parte ha dedotto di avere contestato il ruolo familiare svolto dalla ex moglie, operando un riferimento del tutto generico contenuto nella memoria istruttoria della controparte, che avrebbe ammesso tale contestazione, mentre, invece, avrebbe dovuto riportare il tenore delle proprie contestazioni, indicando gli atti contenenti le stesse.
6. Il quarto motivo è, invece, fondato.
6.1. Come sopra evidenziato, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia obiettivamente assente ma anche ove la stessa sia meramente assertiva, ovvero qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l'iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6- L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
In quest’ottica, e con particolare riferimento alla motivazione della sentenza di appello che rinvia alle ragioni del primo giudice, non può ritenersi legittimamente resa per relationem la sentenza che non contenga un comprensibile richiamo ai contenuti dell’atto cui rinvia, così da risolversi in una acritica adesione ad un provvedimento solo menzionato, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della fondatezza, in tutto o in parte, del gravame ad esso proposto (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2397 del 03/02/2021; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 23997 del 02/08/2022).
6.2. Nel caso di specie si è verificata proprio tale evenienza, poiché la sentenza in questa sede impugnata, ai fini della determinazione nel quantum dell’assegno divorzile, ha stabilito quanto segue: «Alla luce dei ricordati elementi devono qui essere confermate le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Ancona di riconoscimento alla S. di un assegno di divorzio nella misura di € 1.500,00 mensili, da adeguare annualmente secondo gli indici ISTAT e da corrispondere entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.»
È, dunque, fatto richiamo alle conclusioni del giudice di primo grado, le cui ragioni non sono però state riportate in alcuna parte della sentenza di appello, che ha finito per non spiegare le ragioni in virtù delle quali ha determinato l’importo dell’assegno divorzile nella misura indicata.
7. In conclusione, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso e, dichiarati inammissibili gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
8. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri; cassa la decisione impugnata, nei limiti del motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;
dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.