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25 agosto 2025 Penale e processo
PPT e rigore formale nel deposito via PEC: la Cassazione ribadisce l’inammissibilità dell’impugnazione inviata all’indirizzo errato
In tema di processo penale telematico, è inammissibile la richiesta di riesame depositata via PEC ad un indirizzo diverso da quelli espressamente individuati dal decreto del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia, anche se riferibile al medesimo ufficio giudiziario. Il favor impugnationis non può giustificare il superamento dei requisiti formali fissati dall'art. 87-bis D.Lgs. n. 150/2022, poiché la ratio legis è quella di assicurare certezza, semplificazione e uniformità dei depositi telematici.
di La Redazione
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 28163 del 31 luglio 2025, affronta il tema del deposito telematico degli atti di impugnazione, chiarendo che la richiesta di riesame trasmessa a mezzo PEC ad un indirizzo diverso da quelli espressamente individuati dal provvedimento ministeriale del 9 novembre 2020 deve considerarsi inammissibile. Non assume rilievo il fatto che l'atto sia comunque giunto a conoscenza del giudice, né può invocarsi il principio del favor impugnationis. La decisione conferma l'indirizzo più rigoroso inaugurato dalla giurisprudenza successiva al D.Lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia), che pone al centro la certezza e l'uniformità del processo penale telematico, imponendo agli avvocati la massima attenzione nella scelta della casella PEC.

Nel caso di specie, ilTribunale di Napoli dichiarava inammissibile la richiesta di riesame presentata nell'interesse dell'imputato avverso l'ordinanza di custodia cautelare, poiché trasmessa via PEC ad un indirizzo diverso da quello previsto per il deposito degli atti penali.
L'imputato ricorreva per cassazione deducendo:
  • violazione dell'art. 24 D.L. n. 137/2020 (conv. in L. n. 176/2020), sostenendo che l'istanza era stata comunque inviata ad un indirizzo incluso nel provvedimento ministeriale;
  • violazione dell'art. 24 Cost., per eccesso di formalismo e lesione del diritto di difesa;
  • violazione dell'art. 6 CEDU, poiché l'atto era comunque giunto a conoscenza del Tribunale.
Il Procuratore generale concludeva per il rigetto.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo che:
  • solo gli indirizzi PEC espressamente individuati dal provvedimento del 9 novembre 2020 del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati (e successivamente richiamati dall'art. 87-bis D.Lgs. n. 150/2022) sono validi per il deposito degli atti penali;
  • l'indirizzo utilizzato dalla difesa non apparteneva a tale elenco (non recava infatti la dicitura “deposito atti penali”), con conseguente inammissibilità del gravame;
  • il principio del favor impugnationis non può cancellare i requisiti di forma, pena lo svuotamento della disciplina sui depositi telematici;
  • la difesa non poteva invocare difficoltà di reperimento degli indirizzi, essendo il provvedimento ministeriale pubblico e noto da anni.
La sentenza in commento conferma l'orientamento più rigoroso della Corte di cassazione in materia di processo penale telematico, che si è progressivamente consolidato dopo il superamento della disciplina emergenziale Covid.
Rispetto al precedente più elastico (Cass. n. 24953/2021), favorevole alla validità dei depositi inviati a indirizzi comunque compresi nel provvedimento ministeriale, la pronuncia in commento riafferma la necessità di un formalismo selettivo: l'atto è valido solo se depositato all'indirizzo corretto e corrispondente a quello designato per il deposito degli atti penali.
La scelta legislativa – e interpretativa – privilegia dunque l'esigenza di certezza e di uniformità gestionale rispetto alla tutela del diritto di difesa, bilanciata però dalla circostanza che gli indirizzi sono resi pubblici e immediatamente riconoscibili.
Dal punto di vista pratico, la decisione costituisce un monito per i difensori: l'errore nell'individuazione della casella PEC non è scusabile e comporta inevitabilmente l'inammissibilità dell'impugnazione.
Ne deriva che, nell'attuale regime del PCT penale, il favor impugnationis cede il passo ad una logica di rigida conformità agli strumenti telematici predisposti dal legislatore e dal Ministero.
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