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18 gennaio 2022
L’abuso d’ufficio dopo il decreto Semplificazioni: la Consulta conferma la straordinarietà e l’urgenza della riforma

Con la sentenza n. 8/2022, la Consulta dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 23, comma 1, D.L. n. 76/2020, conv., con modificazioni, nella L. n. 120/2021, con riferimento all'art. 77 Cost., escludendo l'assenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, i quali sono riconducibili alla diffusione della pandemia.

La Redazione

Il GUP del Tribunale di Catanzaro sollevava questioni di legittimità costituzionale in relazione all'art. 23, comma 1, D.L. n. 76/2020 («Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale»), conv., con modificazioni, nella L. n. 120/2020, il quale modifica l'art. 323 c.p. in tema di abuso d'ufficio. Nello specifico, la norma viene censurata con riferimento agli artt. 3, 77 e 97 Cost. nella parte relativa al procedimento di produzione della norma (nella scelta, cioè, di introdurla attraverso un decreto legge) e con riguardo anche ai contenuti. Il Giudice chiedeva, sostanzialmente, una pronuncia di incostituzionalità che avrebbe avuto quale conseguenza la reviviscenza della precedente norma sull'abuso d'ufficio, caratterizzata da un perimetro più ampio.

Dopo avere ricostruito la vicenda politico-parlamentare-giudiziaria dell'abuso d'ufficio e di quella «burocrazia difensiva» derivante dalla dilatazione dell'ambito di applicazione del reato, la quale avrebbe comportato il fatto che i pubblici funzionari si astenessero dall'adozione di decisioni che potevano essere utili al perseguimento dei pubblici interessi, nonché il fatto che essi restassero inerti per paura di esporsi a possibili effetti penali (cd. «paura della firma»), con la sentenza n. 8 del 18 gennaio 2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP in riferimento all'art. 77 Cost..
In particolare, la Corte ha evidenziato che la scelta del legislatore è maturata solo dopo l'emergenza sanitaria riconducibile alla diffusione del Covid-19, nell'ambito di un provvedimento d'urgenza eterogeneo volto a dare slancio all'economia del Paese, messa a dura prova dalla chiusura prolungata delle attività produttive posta in essere durante la fase critica della pandemia. Proprio tale aspetto ha impresso alla norma il carattere della straordinarietà e dell'urgenza, valutazione che non può considerarsi manifestamente irragionevole ovvero arbitraria.

Per questa ragione, la Consulta ha escluso che la modifica oggetto di censura fosse «eccentrica e assolutamente avulsa» rispetto al decreto legge nel quale è stata inserita, che contiene diverse disposizioni aventi in comune l'obiettivo di favorire la ripartenza economica della Nazione dopo il blocco delle attività disposto a causa della diffusione del Covid-19. Tale ripresa, secondo il Governo, sarebbe stata facilitata anche da una restrizione della responsabilità dei pubblici amministratori, elemento che avrebbe certamente contribuito a raggiungere l'obiettivo del decreto legge.

Infine, la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione sollevata in relazione ai contenuti sostanziali della norma, i quali secondo il GUP avrebbero depotenziato in termini eccessivi la tutela del buon andamento e dell'imparzialità della P.A..
La Corte ha, infatti, ribadito che «l'incriminazione costituisce anzi un'extrema ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela».

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