Essi rientrano tra gli atti amministrativi generali la cui inosservanza rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica. Tale precisazione si è resa necessaria in virtù dell'intervento legislativo del D.L. n. 76/2020 che ha modificato la struttura del reato ex art. 323 c.p. restringendone il perimetro.
La Corte d'Appello di Roma confermava la condanna degli attuali ricorrenti per il reato di concorso in abuso d'ufficio per aver realizzato, in violazione degli strumenti urbanistici e di norme regionali, una lottizzazione in luogo di un complesso di case albergo per anziani, alienando successivamente le singole unità immobiliari in regime di libero mercato in violazione del vincolo di destinazione. In tal modo, gli imputati procuravano un vantaggio alla srl di cui erano amministratori.
La controversia giunge in Cassazione, la quale è chiamata a risolvere in via prioritaria la questione sollevata dai ricorrenti relativa alla configurabilità dell'elemento oggettivo del reato a seguito dell'intervento legislativo di cui al
In relazione alla nuova struttura dell'abuso d'ufficio conseguente alla riforma, gli imputati ricorrenti ravvisano un'ipotesi di abolitio criminis parziale.
Prima della riforma, l'elemento oggettivo del reato era costituito dalla violazione «di norme o di regolamento» attraverso la quale l'agente procurava intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecava ad altri un danno ingiusto. La riforma del 2020 restringeva tale ipotesi «all'inosservanza di specifiche regola di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Sono escluse, dunque, le violazioni di atti aventi natura regolamentare e quelle aventi ad oggetto norma di rango legislativo che non dettino specifiche regole di condotta ovvero che dettino regole in relazione alle quali residuino spazi di discrezionalità per la PA.
Sulla questione si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità e la Corte costituzionale, che con
Alla luce di quanto esposto, per la Cassazione, «è necessario estendere l'indagine della configurabilità o meno del delitto di abuso d'ufficio alla verifica delle violazioni eventualmente ascrivibili alla condotta degli imputati ed in particolare alla riferibilità o meno di tali violazione a precetti - eventualmente recepiti da strumenti urbanistici - riconducibili a norma di rango legislativo, nonché alla natura vincolata o discrezionale di tali violazioni, onde stabilire se risulti integrato l'elemento oggettivo del delitto contestato» ai ricorrenti. Solo una volta accertata l'integrazione dell'elemento oggettivo, si potrà passare alla verifica di quello psicologico.
Con sentenza n. 46669 del 12 dicembre 2022, la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Decidendo a seguito di parziale annullamento con rinvio di altra precedente sentenza, disposto il 23 gennaio 2019 dalla Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, la Corte d'appello di Roma, con sentenza resa il 14 maggio 2021, ha confermato la condanna precedentemente emessa dal Tribunale di Latina nei confronti di C.C. e C.L. con riferimento al delitto di abuso d'ufficio loro ascritto al capo a), ferma restando l'irrevocabilità quanto alle condanne per i reati urbanistici di cui ai capi b) e c); ed ha condannato il C. e la L., nonché le parti civili appellanti al pagamento delle spese del grado.
1.1. Riassumendo in brevi termini la complessa vicenda processuale, il C. e la L. - il primo nella qualità di procuratore speciale e amministratore di fatto della P.C. S.r.l. nonché committente e direttore dei lavori, la seconda quale amministratore unico della stessa società - rispondono oggi del reato di concorso in abuso d'ufficio (artt. 110, 323 cod. pen.: capo A della rubrica) con altri imputati (S.S., sindaco pro tempore di (omissis); C.G., responsabile pro tempore del settore urbanistica dello stesso Comune; e V.P. D., quale capo area dei Lavori Pubblici dello stesso Comune) perché, in violazione degli strumenti urbanistici e di norme regionali, realizzavano la lottizzazione denominata (omissis), costituita da 285 unità abitative, in luogo di un complesso di case albergo per anziani (soggetto a vincolo di destinazione per finalità sociali) e dunque in violazione dello stesso vincolo di destinazione, alienando le singole unità immobiliari in regime di libero mercato, intenzionalmente procurando un vantaggio alla P.C. S.r.l. e ai suoi amministratori e soci.
1.2. In origine, sia al C. che alla L. (oltreché allo S., al G. e al D.) erano contestati anche il reato di lottizzazione abusiva (capo B) e quello di illecito urbanistico (capo C, in relazione al rilascio di titoli edilizi palesemente illegittimi); lo S. rispondeva inoltre del delitto di falso ideologico in relazione all'attestazione della conformità dell'intervento agli strumenti urbanistici e alle normative vigenti (capo D). Le richieste risarcitorie delle parti civili costituite (acquirenti e promissari acquirenti di immobili facenti parte del (omissis)) venivano rigettate.
In primo grado, il Tribunale di Latina aveva condannato tutti gli imputati in relazione ai reati loro contestati ai capi A, B e C, assolvendo invece lo S. dal delitto di cui al capo D. In grado d'appello veniva dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati nei confronti dello S., del G. e del D.; invece, a fronte della rinuncia alla prescrizione da parte del C. e della L., si confermava la condanna nei loro confronti alla pena ritenuta di giustizia e alle conseguenti restituzioni delle somme versate in esecuzione dei contratti di compravendita.
1.3. Tutti gli imputati e le parti civili proponevano ricorso per cassazione.
Limitando la ricostruzione del giudizio nei termini di cui all'art. 173, disp. att. Cod. proc. pen., nel corso del giudizio rescindente la Corte di legittimità sollevava questione di legittimità costituzionale con riguardo alla confisca ex art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001 a seguito di declaratoria di prescrizione del detto reato, in relazione all'interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Varvara del 20 ottobre 2013; la Corte costituzionale, con sentenza n. 49 del 2015, dichiarava inammissibile la questione. All'esito del giudizio di legittimità la Corte regolatrice annullava con rinvio la primigenia sentenza d'appello nei confronti del C. e della L. limitatamente al reato di abuso d'ufficio (e segnatamente, come meglio si vedrà, all'elemento soggettivo del reato stesso), nonché nei confronti delle parti civili ricorrenti, rigettando nel resto i ricorsi. In estrema sintesi, secondo il percorso argomentativo della sentenza rescindente, risultano accertati in via definitiva gli illeciti urbanistici di cui ai capi B e C, nonché l'elemento oggettivo dell'abuso d'ufficio di cui al capo A, restando per quest'ultimo da accertare la sussistenza dell'elemento soggettivo, ritenuta non sufficientemente approfondita da parte della Corte di merito. Quanto alle parti civili, non essendo univocamente accertato che le stesse potessero dirsi terzi acquirenti (o promissari acquirenti) in mala fede, la Corte di legittimità ha del pari annullato con rinvio l'impugnata sentenza, con specifico riguardo alle posizioni di coloro i quali sono divenuti proprietari degli immobili oggetto di confisca, mentre i promissari acquirenti, non essendo proprietari dei beni confiscati (ma solo titolari dei diritti derivanti dalla risoluzione di diritto dei contratti) non subiscono gli effetti della confisca.
Rimanevano, pertanto, da esaminare, in sede di giudizio rescissorio avanti la Corte d'appello di Roma, due questioni della vicenda in esame: ossia la configurabilità o meno dell'elemento soggettivo che sorregge l'abuso d'ufficio, ovviamente con riguardo alla posizione dei residui imputati C. e L.; nonché la configurabilità o meno della posizione di terzi acquirenti/promissari acquirenti in buona fede nei confronti delle parti civili costituite.
1.4. Nel fornire risposta affermativa alla prima questione e negativa alla seconda, la Corte capitolina ha in primo luogo sgombrato il campo dalla questione ulteriore, proposta dagli imputati C. e L., relativa agli effetti della revoca della rinuncia alla prescrizione da loro manifestata: revoca che, secondo i giudici del rinvio, non é efficace, essendo intervenuta dopo che la rinuncia aveva invece spiegato i suoi effetti e raggiunto il suo scopo, ossia quello di ottenere dal giudice dell'appello una pronuncia sui fatti in contestazione.
1.5. Venendo alle questioni poste dalla sentenza rescindente, la Corte capitolina ha, in primo luogo, affermato che nel caso in esame non può parlarsi della possibile prevalenza della formula di proscioglimento nel merito rispetto alla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione, non vertendosi in un'ipotesi in cui possa dirsi emergere, mediante una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza delle prove. Indi, ha ricostruito la vicenda riguardante la realizzazione del complesso abitativo, evidenziandone i passaggi a partire dall'originaria delibera n. 36 del 2000, in cui era stata prevista l'inalienabilità delle costruzioni, qualificate come strutture ricettive per anziani nelle forme di "casa albergo", passando attraverso le sollecitazioni rivolte al Comune dalla L. e dalla P.C. nel 2002 e poi nel 2004, con richiesta di interpretazione della convenzione sul tema dell'inalienabilità delle singole costruzioni e successivamente di realizzazione non più di una casa albergo, ma di residenze per anziani, con nuovo schema di convenzione; fino all'accoglimento delle istanze della P. giusta delibera n. 30 del 2004, con approvazione di uno schema di convenzione in cui la realizzazione dell'iniziativa ha ad oggetto residenze per anziani, destinati ad acquisire la proprietà o l'usufrutto delle singole unità immobiliari, che di fatto, possono formare oggetto di alienazione; in tal modo, osserva la Corte di merito, si poneva nel nulla quella precedente e si sanciva l'attuabilità del disegno originario della società P., ossia la costruzione di un complesso immobiliare destinato in via di fatto a villaggio vacanze, con 285 appartamenti da porre in vendita sul libero mercato. Da ciò la Corte di merito inferisce che, nella specie, l'operazione, preordinata all'elusione delle normative e degli strumenti di piano e allo stravolgimento dell'originaria destinazione del complesso, si caratterizza per l'evidente illiceità e si risolve in una speculazione edilizia posta in essere dai vertici della P., che risulta rivelatrice del dolo richiesto per il delitto di abuso d'ufficio, costituito dalla consapevolezza dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale e della volontà di agire per procurarlo.
1.6. Quanto all'accertamento dell'eventuale buona fede degli acquirenti delle unità immobiliari, la Corte di merito premette che, secondo la giurisprudenza formatasi sul punto, la condizione di buona fede in tema di reati edilizi non é soddisfatta dal solo fatto di aver partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita, atteso che il terzo deve aver gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sul titolo abilitativo e sulla sua compatibilità con gli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto del comportamento della P.A. Nel caso di specie, anche in una persona di media diligenza avrebbero dovuto sorgere delle perplessità al cospetto di clausole come l'età minima di 55 anni per l'acquisto delle unità immobiliari, appartenenti a un complesso che non veniva peraltro presentato come residenza per anziani, a fronte del fatto che solo una minima percentuale di persone che prenotarono o stipularono un contratto preliminare potevano considerarsi "anziane"; per non dire del fatto che molti acquirenti, curiosamente, erano di origine calabrese, ossia provenienti dalla stessa regione ove la P. aveva la sua sede legale; del pari avrebbe dovuto suscitare perplessità la previsione della costituzione di un usufrutto in capo a persona anziana sull'immobile acquistato da soggetto diverso, a fronte del fatto che, se nello schema contrattuale, fosse stato previsto un diritto di abitazione, sarebbe stato meglio rispettato lo schema originario della casa albergo; così come suggestiva doveva risultare la previsione di una irrisoria sanzione pecuniaria a carico di chi contravvenisse al vincolo di destinazione. Il fatto che, a fronte di tali stranezze e ambiguità, gli acquirenti non abbiano esperito i necessari controlli anche in ordine all'esistenza di eventuali vincoli, pendenze di carattere giudiziario, ipoteche o altro, rende evidente, secondo la Corte capitolina, che non poteva parlarsi nella specie di terzi acquirenti in buona fede.
2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorrono C.C. (con due atti distinti, rispettivamente a firma dell'avv. C.D.S. e dell'avv. L.M.A.), C.L. (con atto a firma dell'avv. R.B.) e, congiuntamente, le parti civili costituite ed elencate nell'atto a firma dell'avv. M.F..
3. Iniziando dalla posizione del C., il ricorso dell'avv. D.S., corredato da un'ampia premessa riassuntiva, consta di due motivi, cui si sono aggiunti due motivi nuovi depositati il 21 ottobre 2022.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all'applicazione della fattispecie di cui all'art. 323 cod. pen.: la Corte romana ha completamente omesso di confrontarsi con la riforma del delitto di abuso d'ufficio approvata con D.L. n. 76/2020, convertito dalla legge n. 120/2020 e, in particolare, con l'esistenza di ampi margini di discrezionalità (riconosciuti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato) nelle delibere del Consiglio comunale con cui vengano approvati o modificati, in base all'art. 42 del Testo Unico n. 267/2000, gli strumenti urbanistici e le loro varianti. A fronte di ciò, il potere del Consiglio comunale, proprio in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, non poteva essere sottoposto a vaglio penale; né, del resto, risultano indicate nello stesso capo d'imputazione le norme di legge asseritamente violate, mentre, a fronte delle leggi regionali genericamente indicate come violate nell'editto imputativo, il processo non ha offerto contezza di alcuna specifica violazione di regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e delle quali non risultino margini di discrezionalità.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, ancora con riferimento all'art. 323 cod. pen., ma con più specifico riguardo all'elemento psicologico del delitto di abuso d'ufficio. Anche sotto questo profilo la sentenza impugnata, secondo il deducente, non si confronta con dati processuali evidenti, quale ad esempio il fatto che il giudizio di "macroscopica illiceità" della delibera n. 30/2004 non tiene conto della circostanza che neppure la sentenza rescindente aveva ravvisato al riguardo profili di illegittimità; tanto più che la delibera incriminata fu adottata dal Consiglio comunale, nell'esercizio dei poteri ad esso attribuiti dall'art. 42 TUEL, e non dal C..
3.3. Con il primo motivo nuovo, il ricorrente denuncia nuovamente violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla novella legislativa che ha modificato l'art. 323 cod. pen.: richiamando la sentenza rescindente e, prima ancora, l'ordinanza con cui la Corte di cassazione rimetteva alla Corte costituzionale la questione di legittimità relativa all'art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001, il ricorrente evidenzia come la Suprema Corte avesse segnalato il carente approfondimento dell'elemento soggettivo del reato da parte della Corte di merito nella prima sentenza d'appello; di seguito, il deducente richiama l'ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva sollevato questione di legittimità costituzionale anche in relazione all'art. 23 coma 1 del D.L. 76/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120/2020, nella parte in cui tali disposizioni restringono il perimetro di rilevanza penale (atto di promovimento che, osserva il deducente, avrebbe potuto e dovuto indurre la Corte di merito a sospendere il giudizio, stante la pubblicità - notizia dell'ordinanza di rimessione); e, successivamente, ripercorre i passaggi con i quali la Corte costituzionale, con sentenza n,. 8 del 25 novembre 2021/18 gennaio 2022, ha dichiarato in parte non fondata, in parte inammissibile la q.l.c., chiarendo che la novella legislativa si é posta l'obiettivo di escludere il riferimento ai regolamenti per sbarrare la strada alle interpretazioni giurisprudenziali che avevano dilatato la sfera di operatività della norma incriminatrice, che dovrebbe al contrario costituire un'extrema ratio; e che anche l'esclusione degli atti a carattere discrezionale si giustifica con la necessità di sottrarre la norma a interpretazioni estensive, potenzialmente sottese a forme di controllo del giudice penale sull'attività amministrativa discrezionale.
3.4. Con il secondo motivo nuovo, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli effetti della novellazione dell'art. 323 cod. pen. ed alla luce del dictum della Corte costituzionale con la citata sentenza n. 8/2021 - 2022. Il deducente ripercorre poi alcuni passaggi della sentenza impugnata e del ricorso presentato in via principale, con riguardo all'elemento soggettivo del reato a proposito della destinazione urbanistica dell'opera: vengono al riguardo ripercorsi alcuni passaggi della vicenda, fino alla nota della Regione Lazio, Dipartimento Territorio Urbanistica n. 44427/06 dell'11 giugno 2007, dalla quale si ricava che la variante di PRG, con la quale veniva trasformata l'area di sedime delle opere da area agricola ad area adibita a servizi, era considerata come "variante atipica" in quanto non indicativa di una specifica destinazione di zona urbanistica. Vengono poi richiamate alcune pronunce recenti della Corte di cassazione in tema di abuso d'ufficio, dalle quali si ricava la necessità che, per integrare il reato de quo alla luce della novella legislativa, é necessaria la violazione di regole "cogenti" per l'azione amministrativa, di tal che le condotte poste in essere in un contesto di discrezionalità amministrativa sono sottratte all'area di disvalore penale. La nuova fattispecie di cui all'art. 323 cod. pen., prosegue il ricorrente, ha sostanzialmente lo scopo di tracciare un perimetro più nitido dell'area di disvalore penale, impedendo al giudice penale di esercitare un sindacato sull'attività amministrativa discrezionale. Ribadendo i principi sopra richiamati, il ricorrente conclude affermando che, rispetto a tali principi, la sentenza impugnata si rivela affatto deficitaria e chiede che essa venga annullata senza rinvio.
4. Il ricorso a firma dell'avv. M., sempre nell'interesse del C., consta di due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'oggetto della verifica demandata alla Corte del rinvio: oggetto che non doveva limitarsi all'elemento psicologico del delitto di abuso d'ufficio, ma doveva estendersi all'elemento oggettivo, in conseguenza della riforma introdotta con il D.L. n. 76/2020 convertito dalla legge 120/2020. Il deducente censura poi il percorso argomentativo della sentenza impugnata laddove, pur dando atto che la Corte di Cassazione ha definitivamente rigettato la richiesta difensiva di revocare la rinuncia alla prescrizione, nondimeno evoca con riguardo al C. i criteri che limitano al solo caso della rilevazione ictu oculi il proscioglimento nel merito nei casi di estinzione del reato per prescrizione: limitazioni che, nel caso di specie, non hanno ragion d'essere, dovendo pertanto prendersi in considerazione anche il possibile proscioglimento anche con la formula di cui all'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.. Quanto poi all'elemento psicologico, il ricorrente contesta l'assunto secondo cui esso si ricaverebbe dalla "macroscopica illiceità" della convenzione approvata con delibera consiliare n. 30/2004, di cui né l'autorità amministrativa comunale, né quella regionale (demandata al controllo) hanno mai ravvisato alcuna illegittimità macroscopica. Ciò, secondo l'esponente, rende evidente come sia impossibile su tali basi ricostruire il dolo intenzionale che deve caratterizzare l'abuso d'ufficio; tanto più che in alcun modo é ravvisabile, alla stregua del materiale probatorio raccolto, un accordo o una collusione tra il privato e il pubblico ufficiale per indirizzare la condotta dell'amministrazione verso uno scopo illecito. A chiusura del motivo in esame, il deducente denuncia l'errore in cui é incorsa la Corte di merito a proposito della spiegazione fornita dalla difesa in ordine al cambio della convenzione di lottizzazione: era stato infatti messo in rilievo dalla difesa che l'entrata in vigore della legge regionale n. 41/2003 aveva reso necessaria la modifica della convenzione già sottoscritta, perché aveva ridotto la capacità ricettiva da 300 a 80 persone; la Corte di merito ha opposto la considerazione che, all'epoca della richiesta di modifica della convenzione (9 febbraio 2004), la legge regionale in questione non era ancora stata approvata: dato che risulta invece smentito, poiché la legge 41/2003, approvata il 12 dicembre 2003, é stata pubblicata sul BUR il 10 gennaio 2004.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'elemento oggettivo del reato, a seguito della novella legislativa recata dal D.L. n. 76/2020 convertito dalla legge 120/2020. Di tale modifica legislativa dell'art. 323 cod. pen. nulla si dice nella sentenza impugnata, sebbene - per quanto qui d'interesse - una delle ipotesi tipiche della condotta incriminata si fonda sulla violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Ne é risultata una abolitio criminis parziale rispetto alla precedente formulazione. E' chiaro perciò che, essendo tuttora sub iudice la sussistenza del reato, la nuova disciplina assume rilievo anche con riguardo al più ristretto perimetro dell'imputazione contestata al ricorrente sotto il profilo dell'elemento oggettivo: imputazione che deve oggi intendersi riferita unicamente alla violazione delle leggi regionali n. 38/1996 e 41/2003, non potendosi attribuire più alcun rilievo alla violazione degli strumenti urbanistici. Ma, quanto alle predette leggi regionali, non risulta indicato quali siano le regole di condotta di cui sarebbe stato violato il precetto; e, del resto, la stessa sentenza rescindente della Suprema Corte fa riferimento, nella sua motivazione, alla violazione delle previsioni di piano. Neppure é dato individuare in che cosa possa consistere, nella specie, la vincolatività del precetto (ossia l'assenza di discrezionalità amministrativa).
5. Il ricorso presentato per conto di C.L. é articolato anch'esso in due motivi, in buona parte reiterativi di quelli già articolati nell'interesse del coimputato C..
5.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge anche processuale in riferimento all'elemento soggettivo del reato di cui al capo A, riproducendo in sostanza (e, in alcuni passaggi, anche testualmente) gli argomenti affrontati nel primo motivo di doglianza a firma dell'avv. M., alla cui illustrazione pertanto si rinvia; con l'ulteriore notazione che la sentenza impugnata non dedica alcuna menzione alla specifica posizione della L..
5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'intervenuta abrogazione parziale dell'art. 323 cod.pen.: anche in questo caso gli argomenti posti a base del motivo di doglianza in esame sono affatto similari a quelli proposti con il secondo motivo del ricorso C. a firma dell'avv. M., cui quindi si fa rinvio.
6. Anche i ricorsi proposti per conto delle parti civili con unico atto a firma dell'avv. M.F. constano di due motivi, preceduti da una breve premessa.
6.1. Con il primo, ampio motivo le parti civili denunciano nullità della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca di terreni e immobili in danno delle parti civili ed all'accertamento della buona fede, nonché all'omessa uniformazione alla sentenza rescindente e all'omessa condanna degli imputati al risarcimento del danno. Secondo le parti civili ricorrenti, in forza della sentenza di annullamento con rinvio, la Corte capitolina avrebbe dovuto approfondire la valutazione circa la buona fede delle stesse parti civili, dando valore alla data di acquisto degli immobili rispetto al progredire del processo penale. Invece la valutazione contenuta al riguardo nella sentenza impugnata basa il proprio convincimento circa la malafede degli acquirenti in base ad elementi come gli schemi contrattuali predisposti per la cessione delle singole unità, l'evoluzione dell'edificazione nel tempo, la provenienza geografica degli acquirenti, la costituzione di usufrutto su immobile acquistato da soggetto diverso e la modesta sanzione pecuniaria a carico dei contravventori. Nessun cenno, tuttavia, alla data di acquisto della proprietà, né ad alcuna effettiva valutazione in ordine alla questione degli elementi a sostegno della malafede, con conseguente violazione, sotto questo profilo, del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, di cui all'art. 627, comma 3, cod. proc. pen.. Sotto altro profilo le parti ricorrenti contestano il giudizio di "stravaganza" della clausola in base alla quale le unità immobiliari non potevano essere oggetto di acquisto da parte di persone di età inferiore a 55 anni: giudizio di cui non é dato comprendere l'idoneità a dover mettere in allarme gli acquirenti circa la natura dell'operazione, anche in relazione all'arbitrarietà del giudizio circa l'età a partire dalla quale un soggetto dev'essere qualificato come "anziano", laddove tale nozione, nella convenzione edilizia, non era legata solo al raggiungimento dell'età predetta, ma anche al raggiungimento dell'età pensionabile; oppure, in alternativa, all'impossibilità di esercitare qualsiasi attività professionale a causa di sopravvenuta invalidità non coperta da assicurazione. Gli stessi atti e pareri resi dalle autorità competenti non giungevano mai a una declaratoria di illegittimità: in specie, la nota n. 100940 della Regione Lazio, Dipartimento del Territorio, non risulta indicativa di alcuna illegittimità, dando atto della finalità dell'edificio come struttura per anziani e del relativo vincolo di destinazione. Perciò non appare corretto asserire che, sugli atti amministrativi alla base del parere della Regione Lazio, gli acquirenti avrebbero dovuto adottare una linea di condotta diversa e più diligente rispetto a quella tenuta. Lo stesso é a dirsi in ordine all'assunto secondo il quale, man mano che l'edificazione procedeva, sarebbe stato evidente che il progetto originario era stato completamente stravolto, a fronte del fatto che, peraltro, é la stessa Corte capitolina a spiegare che, nel periodo in cui erano stipulati la quasi totalità dei contratti preliminari e di quelli di compravendita, lo stato dei luoghi rendeva solo parzialmente l'idea dell'opera finita. Quanto alla provenienza territoriale dalla Calabria di molti acquirenti o prenotanti, si tratta in realtà di 6 persone su oltre 100. Neppure é vero quanto asserito dalla Corte di merito circa la commerciabilità di un immobile su cui sia costituito un usufrutto a favore di un terzo, atteso che occorre comunque attendere la morte dell'usufruttuario. Ancora, in ordine alla "modesta" sanzione pecuniaria per i contravventori, la Convenzione edilizia fa riferimento in realtà a sanzioni tutt'altro che lievi in rapporto a unità immobiliari tutte di piccolo taglio: sanzioni che potevano arrivare anche all'acquisizione, da parte del Comune di Sabaudia, della piena proprietà degli immobili, salvo il maggior danno, nel caso di inadempienze reiterate. Osservano poi le parti civili ricorrenti che anche i consiglieri comunali sarebbero stati indotti in errore votando la delibera concernente la conformità dell'intervento edificatorio agli strumenti urbanistici e alle normative vigenti; dunque non si vede perché non potevano essere indotti in errore gli acquirenti o prenotanti delle unità immobiliari.
6.2. Con il secondo motivo le parti civili ricorrenti denunciano violazione di legge e, soprattutto, omessa motivazione circa la mancata condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili, a fronte del fatto che, nel primo giudizio di merito, gli imputati erano stati condannati alla restituzione, ai promissari acquirenti, delle somme pagate per l'acquisto degli immobili, senza che a ciò seguisse la condanna al pagamento delle spese o l'enunciazione di un giusto motivo per la compensazione; la sentenza rescindente aveva annullato con rinvio la sentenza impugnata nei confronti delle parti civili ricorrenti; ma in sede rescissoria la Corte di merito ha omesso di argomentare al riguardo.
Motivi della decisione
1. Tutti i ricorsi risultano fondati, sia pure - ovviamente - per motivi differenti.
2. Appare opportuno esaminare prioritariamente i ricorsi degli imputati C. e L., caratterizzati da molteplici aspetti in comune.
2.1. Nei detti ricorsi vengono affrontati, in estrema sintesi, due ordini di questioni. La prima questione é quella espressamente demandata alla Corte del rinvio dalla sentenza rescindente, ed é costituita dalla configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio, laddove la Corte di legittimità, nella sentenza di annullamento con rinvio, richiamando al § 13.1 la propria ordinanza n. 20636/2014, ha ritenuto definitivamente accertato l'elemento oggettivo del reato.
La seconda é, invece, quella riguardante la configurabilità dell'elemento oggettivo del reato a seguito dell'intervento legislativo di cui al D.L. n. 76/2020, convertito dalla legge n. 120/2020 - intervenuto cioé in epoca successiva alla sentenza rescindente della Terza Sezione penale della Corte di cassazione -, che ha significativamente modificato la struttura del reato di cui all'art. 323 cod. pen., restringendone il perimetro; in relazione alla nuova struttura dell'abuso d'ufficio conseguente alla riforma, gli imputati ricorrenti ravvisano un'ipotesi di abolitio criminis parziale, con reviviscenza della questione riguardante la materialità del delitto e la rilevanza penale della condotta ascritta agli imputati.
E' evidente che quest'ultimo aspetto sopravvenuto, benché non oggetto della sentenza di annullamento con rinvio, assume rilevanza prioritaria e merita di essere esaminato con precedenza rispetto a quello riguardante l'elemento soggettivo, potendo avere riflessi assorbenti sull'affermazione di penale responsabilità degli imputati.
2.2. Al riguardo, conviene muovere dalla constatazione che, effettivamente, l'elemento oggettivo del delitto di abuso d'ufficio é stato modificato in senso restrittivo, e potenzialmente incidente sull'odierna regiudicanda, per effetto dell'entrata in vigore del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120/2020.
Limitandone l'esame agli aspetti che qui interessano (e, quindi, prescindendo dall'ipotesi dell'abuso d'ufficio commesso con violazione del dovere di astensione, fattispecie non rilevante ai fini dell'odierno thema decidendum), prima della riforma l'elemento oggettivo del reato era costituito dalla violazione di "norme di legge o di regolamento" attraverso la quale l'agente procurava intenzionalmente sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecava ad altri un danno ingiusto. A seguito della riforma del 2020, l'ipotesi in esame ha ad oggetto unicamente l'inosservanza di "specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità". Restano, dunque, fuori del perimetro di rilevanza penale le violazioni di atti aventi natura regolamentare, così come quelle aventi ad oggetto norme di rango legislativo che non dettino specifiche regole di condotta, o che dettino regole in relazione alle quali residuino spazi di discrezionalità per la pubblica amministrazione.
2.3. La giurisprudenza di legittimità, in termini generali, non lascia adito a dubbi.
Si é recentemente affermato, ad esempio, che la modifica introdotta con l'art. 23 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 cod. pen., determinando l'abolitio criminis delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità, sicché deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97, comma 3, Cast. (Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Sabbio, Rv. 283359). In termini del tutto analoghi si é affermato che, in base alla novella legislativa del 2020 che ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 cod. pen., deve escludersi che integri il reato la violazione di generici obblighi comportamentali sanciti, nei confronti dei pubblici impiegati, dall'art. 13 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e comunque la inosservanza di norme di principio quale l'art. 97 Cost. (Sez. 6, n. 23794 del 07/04/2022, Graziani, Rv. 283285). Nello stesso senso si era peraltro già espressa anche Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296.
Il principio cardine che ispira la novella legislativa é, del resto, chiaramente precisato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 8/2022, richiamata ampiamente dal ricorrente C. con i motivi nuovi, laddove, in replica alle censure del giudice rimettente aventi ad oggetto la riforma dell'art. 323 cod. pen. ad opera del legislatore del 2020, si afferma che «la figura criminosa dell'abuso d'ufficio, assolvendo una funzione "di chiusura" del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, rappresenta il punto saliente di emersione della spigolosa tematica del sindacato del giudice penale su/l'attività amministrativa, percorsa da una perenne tensione tra istanze /egalitarie, che spingono verso un controllo a tutto tondo, atto a fungere da freno alla mala gestio della cosa pubblica, e l'esigenza di evitare un'ingerenza pervasiva del giudice penale sull'operato dei pubblici amministratori, lesiva della sfera di autonomia ad essi spettante» (C. Cast., n. 8/2022, mass. N. 0044471).
2.4. Peraltro deve osservarsi che, in talune ipotesi, la Corte regolatrice ha ravvisato, anche nel nuovo assetto della norma di riferimento, gli estremi del delitto di abuso d'ufficio anche nel caso di violazioni di fonti subprimarie attuative di specifici precetti di legge: si é ad esempio affermato che il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per abusi edilizi ricadenti in aree a rischio alluvionale elevato, in violazione delle prescrizioni del Piano di Assetto Idrogeologico (nella specie, in difetto del necessario parere del competente ufficio tecnico comunale) integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, richiesta dalla nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen. ad opera dell'art. 16 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, poiché gli strumenti di pianificazione in materia, ancorché costituiscano fonti subprimarie, sono attuativi dell'art. 67 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ed operano quali presupposti di fatto di tale norma di legge, che conferisce ad essi immediata portata precettiva (Sez. 6, Sentenza n. 13148 del 08/03/2022, Calabrò, Rv. 283111). In un altro caso si é affermato che, anche a seguito della riformulazione dell'art. 323 cod. pen. ad opera dell'art. 23, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, la violazione di norme contenute in regolamenti può rilevare ai fini della integrazione del reato nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale (Sez. 6, Sentenza n. 33240 del 16/02/2021, Del Principe, Rv. 281843).
2.5. Ritiene il Collegio che gli esempi da ultimo citati non tradiscano la lettera e lo spirito della legge: non sembra, infatti, che si possa reputare dirimente il dato formale del tipo di norma violata, se essa sia, nei contenuti, diretta emanazione di un precetto di rango legislativo che non lasci margini alla discrezionalità (tecnica o amministrativa) e sia perciò riconducibile a un'attività vincolata, disciplinata cioé in modo compiuto da una legge o da un atto avente forza di legge, senza che vi siano spazi di scelta per l'amministrazione.
2.6. Ciò chiarito, va pure detto che, nonostante il fatto che il tema demandato dalla sentenza rescindente alla Corte del rinvio riguardi il solo elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio, é sopravvenuta rispetto alla sentenza di annullamento (ma non alla sentenza annullata, che é del 2021) la più volte citata riforma recata dal D.L. 76/2020, convertito dalla legge 120/2021, che - nei termini già visti - ha notevolmente inciso sull'elemento oggettivo del reato, determinando - come correttamente osservato dai ricorrenti C. e L. - una parziale abolitio criminis.
Non vi é dubbio, invero, che il sovrapporsi al giudizio di rinvio della riforma testé citata ha di fatto esteso il tema dell'indagine all'elemento oggettivo del reato di cui al capo A. E' noto, infatti, che l'abolitio criminis (totale o parziale) deve trovare in via immediata il suo riconoscimento d'ufficio, anche nel giudizio di legittimità, perfino in caso di ricorso inammissibile (cfr. Sez. 5, n. 39764 del 29/05/2017, Rhafor, Rv. 271850; Sez. 2, n. 48552 del 10/09/2018, Barsotti, Rv. 274241), purché non si tratti di ricorso tardivo (Sez. 5, n. 27820 del 19/04/2017, Ciarla, Rv. 270453; Sez. 5, n. 27135 del 23/03/2018, M., Rv. 273231).
In termini più specificamente aderenti al caso di che trattasi, la Corte di legittimità ha chiarito che nel giudizio di rinvio ed, eventualmente, in quello successivo di legittimità qualora non si sia provveduto, deve essere riconosciuta l'abolitio criminis- conseguente ad un sopravvenuto parziale restringimento dell'area della condotta penalmente rilevante - anche quando l'annullamento non ha attinto i punti della decisione riguardanti i presupposti della condanna (Sez. 4, n. 51958 del 24/11/2016, Liaci, Rv. 268348; Sez. 6, n. 41683 del 19/10/2010, Ndaw, Rv. 248720).
2.7. Venendo al caso di specie, l'elemento oggettivo, in base all'editto imputativo, si risolve nella violazione di alcuni strumenti urbanistici e di alcune leggi regionali; e, quindi, si pone indubbiamente il problema di verificare l'incidenza della novella legislativa sul thema decidendum.
Sulla questione, sebbene la modifica in senso restrittivo dell'art. 323 cod. pen. (nei sensi già visti) sia intervenuta certamente prima della pronuncia impugnata, quest'ultima nulla osserva, omettendo del tutto di confrontarsi con la nuova formulazione della norma incriminatrice e limitandosi ad esaminare la sola questione afferente l'elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio, secondo le indicazioni della sentenza rescindente. In tal modo, perciò, é venuto radicalmente a mancare il necessario approfondimento sulla natura e sul contenuto dei precetti che sarebbero stati violati con le condotte contestate e, in particolare, sulla rilevanza penale di tali violazioni alla luce del nuovo testo dell'art. 323 cod. pen..
Approfondimento che risultava (e risulta) invece necessario, non solo con riguardo alle fonti normative di rango legislativo regionale, ma anche con riguardo agli strumenti urbanistici. Ed invero, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, «[i]I problema della fonte normativa che deve avere il rango di legge a seguito della riformulazione del reato di abuso di ufficio é stato affrontato nel senso di confermare la rilevanza della violazione degli strumenti urbanistici di fonte subprimaria, richiamati dalla legge, perché operano quali presupposti di fatto della norma di legge violata. Secondo questa elaborazione giurisprudenziale, i piani urbanistici non rientrano nella categoria dei regolamenti, come ritenuto da risalente e superato orientamento giurisprudenziale, che nel mutato quadro normativo escluderebbe la fattispecie di abuso in atti di ufficio, ma in quella degli atti amministrativi generali la cui violazione, in conformità de/l'indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica» (così Sez. 6, n. 13148 del 08/03/2022, Calabrò cit., § 4).
2.8. Risulta a questo punto del tutto evidente, atteso il carattere assorbente della questione, che l'indagine circa la configurabilità o meno del delitto di abuso d'ufficio deve estendersi alla verifica delle violazioni eventualmente ascrivibili alla condotta degli imputati e, segnatamente, alla riferibilità o meno di tali violazioni a precetti - eventualmente recepiti da strumenti urbanistici - riconducibili a norme di rango legislativo, nonché alla natura vincolata o discrezionale di tali violazioni, onde stabilire se risulti integrato l'elemento oggettivo del delitto contestato al capo A anche alla stregua della nuova formulazione dell'art. 323 cod. pen.; solo una volta accertata l'integrazione dell'elemento oggettivo, potrà passarsi all'esame di quello psicologico del reato, caratterizzato dal dolo intenzionale ma da rapportare alla rinnovata struttura del reato.
3. Per quanto riguarda i ricorsi delle parti civili, deve constatarsi la dirimente fondatezza degli stessi nella parte in cui vi si denuncia la sostanziale elusione, da parte della Corte di merito, della questione afferente la valutazione della mala o buona fede dei soli acquirenti degli immobili oggetti di confisca in rapporto al momento dell'acquisto, con riferimento alla quale cioé «deve essere peraltro considerata anche la data di acquisto della proprietà, ponendola in relazione ai tempi dei principali eventi che hanno caratterizzato la vicenda processuale e che rendevano evidente l'illiceità della realizzazione del complesso immobiliare» (così la sentenza rescindente Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, § 14.2). E' chiaro che siffatta valutazione, da demandarsi anch'essa al giudice del rinvio, non può prescindere da una specifica ricostruzione cronologica delle singole pratiche di acquisto delle unità immobiliari successivamente oggetto di confisca, rapportando le stesse al manifestarsi, nel tempo, di elementi suscettibili di approfondimento e del grado di conoscibilità, da parte degli acquirenti, circa l'illiceità dell'iniziativa immobiliare; quanto precede alla stregua del principio, pur correttamente enunciato dalla sentenza impugnata, in base al quale, in tema di reati edilizi, la condizione di buona fede, che nel caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva preclude la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite nei confronti del terzo acquirente di tali beni, presuppone non solo che questi abbia partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita e che, quindi, non sia concorrente nel reato, ma anche che abbia gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento agli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto, sotto questo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 36310 del 05/07/2019, Motisi, Rv. 277346: fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione di merito che aveva escluso la buona fede del terzo acquirente in base alla sola esistenza di rapporti personali o di parentela con l'autore del reato, senza tener conto del comportamento da questi tenuto nella fase precontrattuale e contrattuale, rilevante, a maggior ragione se, come nel caso di specie, la dichiarazione dell'illegittimità della lottizzazione interviene molti anni dopo l'acquisto).
4. La sentenza impugnata va pertanto annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, cui va pure demandata la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.