Il Consiglio di Stato conclude così la vicenda, specificando che la prescrizione di farmaci non previsti o non raccomandati dalle Linee guida è possibile ma non può fondarsi su un'opinione personale del medico.
Con la sentenza n. 946 del 9 febbraio 2022, il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità delle Linee guida formulate dall'AIFA ai fini della gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Covid-19 e della circolare del Ministero della Salute intitolata «Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2» aggiornata al 26 aprile 2021, in quanto tali documenti contengono solamente delle raccomandazioni e non delle prescrizioni cogenti.
Questo significa che i medici di medicina generale dovranno considerare i suddetti documenti quali mere indicazioni orientative, cioè come criteri di riferimento in merito alle esperienze in atto nell'ambito dei metodi terapeutici a livello internazionale.
Il singolo medico, infatti, nell'esercizio della sua autonomia professionale e nella piena consapevolezza della propria responsabilità, restalibero di prescrivere i farmaci che ritiene più opportuni con riguardo al caso specifico e sulla base delle evidenze scientifiche acquisite.
In tal senso, il Consiglio di Stato afferma che il singolo medico può ben discostarsi dalle Linee guida senza incorrere in responsabilità, a condizione che vi siano solide, o almeno rassicuranti, prove scientifiche sulla sicurezza e sull'efficacia del farmaco prescritto, sulla base di dati scientifici (anche se parziali e incompleti) ai quali sia possibile ricondurre in termini razionali il proprio convincimento prescrittivo rispetto al singolo caso clinico.
In parole povere, la prescrizione del farmaco deve poggiare le fondamenta su un approccio scientifico serio, non potendo essa affidarsi a mere improvvisazioni del momento ovvero ad intuizioni casuali e dunque a valutazioni i cui rischi non siano stati tenuti in considerazione.
La prescrizione di farmaci non previsti o non raccomandati dalle Linee guida non può dunque fondarsi su un'opinione personale del medico che sia priva di qualsivoglia base scientifica e di evidenze cliniche, magari alimentate da disinformazione o, peggio, da un atteggiamento di sospetto verso le cure “ufficiali”.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 3 febbraio 2022) 9 febbraio 2022, n. 946
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Il 30 novembre 2020 il Ministero della Salute (di qui in avanti, per brevità, il Ministero), odierno appellante, ha adottato una circolare intitolata “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2”, 2 al fine di fornire indicazioni operative, tenuto conto dell’attuale evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale.
1.1. Tale circolare conteneva un espresso rinvio alla nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA (di qui in avanti, per brevità, l’AIFA), recante “Principi di gestione dei casi covid 19 nel setting domiciliare” e comprendente «raccomandazioni sul trattamento farmacologico domiciliare dei casi lievi e una panoramica generale delle linee di indirizzo AIFA sulle principali categorie di farmaci utilizzabili in questo setting».
1.2. Avverso questa circolare nonché avverso la nota dell’AIFA in essa recepita, gli stessi odierni appellati hanno proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, solo il Tribunale), iscritto al R.G. n. 1557/2020.
1.3. Questo giudizio è stato definito dalla sentenza n. 8995 del 2021 del medesimo Tribunale, che ne ha statuito l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, motivata dalla sopravvenienza della successiva circolare del 26 Aprile 2021.
1.4. Con la circolare del 26 Aprile 2021, infatti, il Ministero ha provveduto all’aggiornamento della circolare del 30 novembre 2020, «tenuto conto dell’evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale e delle emergenti conoscenze scientifiche».
1.5. Tale aggiornamento è stato curato da un Gruppo di Lavoro (tra i cui componenti figurano rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico e, in particolare, anche un rappresentante dei Medici di Medicina generale - MMG), appositamente costituito dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria e dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero.
1.6. Su tale aggiornamento ha espresso peraltro parere favorevole il Consiglio superiore di sanità.
1.7. La circolare fornisce una panoramica generale delle linee di indirizzo dell’AIFA sulle principali categorie di farmaci, precisando che le raccomandazioni fornite sui farmaci per la gestione domiciliare di COVID-19 riflettono la letteratura e le indicazioni esistenti e si basano anche sulle Schede Informative AIFA, aggiornate in relazione alla rapida evoluzione delle evidenze scientifiche (https://www.aifa.gov.it/aggiornamento-sui-farmaciutilizzabili-per-il-trattamento-della-malattia-covid19 ).
1.8. Dopo aver dato indicazioni in merito all’avvio del paziente alla terapia con anticorpi monoclonali, alle indicazioni relative alla gestione domiciliare del COVID-19 in età pediatrica ed evolutiva, ed alle prestazioni in telemedicina, la suddetta circolare riporta espressamente le aggiornate raccomandazioni dell’AIFA sui farmaci per la gestione domiciliare di COVID-19.
2. Per l’annullamento della suddetta circolare del 26 aprile 2021, unitamente ad ogni altro atto connesso, presupposto ovvero consequenziale, hanno proposto ricorso al Tribunale i dottori Fabrizio Salvucci, Riccardo Szumski e Luca Poretti, odierni appellati, censurandola nella parte in cui «nei primi giorni di malattia da Sars-Cov-2, prevede unicamente una “vigilante attesa” e la somministrazione di fans e paracetamolo, nonché nella parte in cui pone indicazioni di non utilizzo di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da covid».
2.1. A sostegno delle proprie tesi gli appellati hanno esposto di essere medici di medicina generale e specialisti che, durante la pandemia da COVID-19, si sono occupati dei pazienti, affetti da tale patologia, esercitando la loro attività sull’intero territorio nazionale e di essere, pertanto, destinatari della nota, oggetto di impugnazione, che stabilisce i criteri di trattamento dei pazienti affetti da COVID-19 in ambito domiciliare.
2.2. I ricorrenti in prime cure, odierni appellati, hanno contestato le Linee guida da AIFA e recepite dal Ministero, sulla gestione domiciliare del paziente, nella parte in cui, anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio, fanno un lungo elenco delle terapie da non adottare, divieto che non corrisponde all’esperienza diretta maturata dai ricorrenti stessi.
2.3. La comunicazione oggetto di impugnativa, infatti, disporrebbe quali unici criteri confermati e definiti per il trattamento dei pazienti affetti da Sars-CoV-2 una vigilante attesa e la somministrazione successiva di FANS e paracetamolo.
2.4. Il provvedimento impugnato porrebbe invero alle pp. 11 e 12, in particolare, importanti limitazioni all’utilizzo degli altri farmaci generalmente utilizzati dai territori con la conseguenza che rende inutile e dagli esiti nefasti la gestione del paziente a domicilio. 2.5. Nella terapia del COVID-19, hanno sostenuto in sintesi i ricorrenti in prime cure allegando anche documentazione scientifica, evidenze cliniche riscontrate in molti Paesi, non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti dal Prof. H. Risch di Yale University o dal Prof. P. McCullough di Texas University, come da molte pubblicazioni scientifiche, dimostrano come sia palmare che, per trattare efficacemente il paziente affetto da Sars-CoV-2, il timing, la precocità di intervento terapeutico, sia tutto.
2.5. Nelle more del giudizio così introdotto, l’AIFA ha provveduto a pubblicare due successivi aggiornamenti delle raccomandazioni, segnatamente il 4 ottobre 2021 e il 14 dicembre 2021.
2.6. Tali aggiornamenti non hanno peraltro formato oggetto di cognizione da parte del Tribunale nell’ambito del giudizio R.G. n. 6949/2021.
2.7. Piuttosto, solo il primo di tali aggiornamenti ha formato oggetto di autonomo ricorso al Tribunale, iscritto al R.G. n. 13510/21, allo stato non definito.
2.8. Nel giudizio definito dalla sentenza oggi impugnata si è costituito il Ministero della Salute, eccependo:
- l’inammissibilità del ricorso, per le ragioni che qui di seguito si riassumono:
a) l’omessa impugnazione della Raccomandazione AIFA, recepita nella circolare ministeriale come sua parte integrante, e dei relativi aggiornamenti medio tempore intervenuti;
b) l’inidoneità della circolare impugnata a ledere gli interessi dei ricorrenti, in quanto recante indicazioni orientative, insuscettibili di incidere sull’autonomia prescrittiva del medico;
c) la natura della situazione soggettiva azionata, adombrandosi nel ricorso la lesione di interessi diffusi, azionati dai ricorrenti per conto anche di altri medici o, comunque, quali portatori di interessi della categoria dei medici di medicina generale, ovvero finanche dei pazienti, in un’inedita quanto non consentita forma di sostituzione processuale;
- l’infondatezza del ricorso, per le ragioni qui di seguito sempre compendiate:
a) nella misura in cui lo stesso è diretto a sostenere che la circolare realizzerebbe un’illegittima limitazione dell’autonomia prescrittiva dei medici, imponendo loro il rispetto di una serie di divieti: in breve, secondo il Ministero, le linee di indirizzo fornite – lungi dall’integrare una lista dei “farmaci da non usare” e, quindi, un elenco di divieti rivolti ai medici – recano semplicemente la definizione delle condizioni in cui le evidenze di letteratura consentono di stimare l’efficacia di un farmaco raccomandandone, o meno, l’utilizzo;
b) nella misura in cui si incentra sulla contestazione nel merito delle valutazioni tecnico-discrezionali dell’AIFA richiamate nella circolare, si è contestata in particolare, da parte delle amministrazioni resistenti, la mancanza di attendibilità scientifica delle esperienze cliniche dei ricorrenti, non potendosi legittimamente accordare preferenza al dato empirico rispetto a quello scientifico posto a base della valutazione tecnico-discrezionale dell’Autorità regolatoria.
2.9. Il Ministero ha, inoltre, invocato i noti limiti del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, in mancanza di vizi macroscopici quali il travisamento dei fatti e l’assoluta abnormità/illogicità del relativo esercizio.
3. Con la sentenza n. 419 del 15 gennaio 2022, all’esito del giudizio così instaurato dagli odierni appellati, il Tribunale ha accolto il ricorso.
3.1. Segnatamente, il primo giudice ha rigettato l’eccezione di inammissibilità per omessa impugnativa della nota AIFA del 26 aprile 2021 richiamata nella circolare, ritenendo che «nel momento in cui l’indicata raccomandazione è stata pedissequamente mutuata nella circolare ministeriale essa ha perso ogni singolare valenza, compresa una sua autonoma esistenza giuridica ed ha costituito, pertanto, la sola motivazione del provvedimento contestato».
3.2. Ciò posto, il Tribunale ha statuito che «le censurate linee guida, come peraltro ammesso dalla stessa resistente, costituiscono mere esimenti in caso di eventi sfavorevoli» e che «in disparte la validità giuridica di tali prescrizioni, è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito».
3.3. La prescrizione dell’AIFA, come mutuata dal Ministero della Salute, contrasterebbe, pertanto, «con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professione [sic, n.d.r.], imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi [sic, n.d.r] eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia COVI 19 [sic, n.d.r.] come avviene per ogni attività terapeutica».
4. Avverso tale sentenza il Ministero ha proposto appello avanti a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità con un unico articolato motivo, di cui meglio si dirà in seguito, con il quale ha dedotto la violazione o la falsa applicazione di legge in relazione all’art. 3, comma 2, del d.l. n. 23 del 1998, conv con mod. in l. n. 94 del 1998, degli artt. 47-bis, comma 2, 47-ter, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 300 del 1999 nonché dell’art. 48, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003, conv. in l. n. 326 del 2003, e ne ha chiesto, previa sospensione dell’esecutività, la riforma, con la conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso, proposto in primo grado dagli odierni appellati.
4.1. Con il decreto n. 207 del 19 gennaio 2022 il Presidente della III Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata e ha fissato, per la trattazione collegiale della domanda cautelare proposta dal Ministero, la camera di consiglio del 3 febbraio 2022.
4. Gli odierni appellati si sono costituiti, con la memoria difensiva tardivamente depositata il 2 febbraio 2022, per chiedere la reiezione dell’appello e della domanda incidentale di sospensione della esecutività della sentenza impugnata.
4.1. Nella camera di consiglio del 3 febbraio 2022 il Collegio ha di poter eventualmente decidere la controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ne ha dato rituale avviso alle parti e, sentiti i difensori delle parti e sulle conclusioni dagli stessi rassegnate come da verbale, dopo ampia discussione orale ha trattenuto la causa in decisione.
5. L’appello proposto dal Ministero è fondato per le ragioni che seguono.
5.1. In via preliminare deve essere dichiarata la tardività della memoria difensiva depositata dagli odierni appellati solo il 2 febbraio 2022, il giorno precedente la camera di consiglio fissata alla data del 3 febbraio 2022 per la trattazione collegiale della domanda cautelare proposta dal Ministero appellante, con la conseguente inammissibilità delle argomentazioni difensive svolte in detta memoria e della documentazione allegata alla stessa per la violazione del termine previsto dall’art. 55, comma 5, c.p.a., secondo cui le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
5.2. Rimane ferma, e valida, la costituzione a mezzo di tale memoria degli appellati, che del resto, per il tramite del loro difensore, hanno svolto ampie e argomentate deduzioni difensive nel corso della discussione orale tenutasi nell’udienza camerale, nella quale il Collegio ha dato avviso orale alle parti della possibilità di definire la controversia in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
6. La risoluzione delle questioni controverse, relative alla legittimità delle Linee guida adottate dal Ministero sulla base delle raccomandazioni dell’AIFA in ordine alla gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Sars-CoV-2, impone di definire, e circoscrivere precisamente, l’oggetto del giudizio.
6.1. La circolare ministeriale del 26 aprile 2021 si limita a raccogliere le indicazioni degli organismi internazionali, i pronunciamenti delle autorità regolatorie e gli orientamenti di buona pratica clinica asseverati dagli studi nazionali ed internazionali, al fine di fornire a tutti gli operatori interessati un quadro sinottico, aggiornato ed autorevole, di riferimento.
6.2. Le raccomandazioni così fornite sono, dunque, in primo luogo espressione della funzione regolatoria dell’AIFA, ai sensill’art. 48, commi 3 e 5, del d. lgs. n. 269 del 2003, e il loro contenuto è stato poi arricchito con ulteriori indicazioni terapeutiche fornite dal Gruppo di lavoro a tal fine costituito, ed il testo conclusivo, acquisito il parere del Consiglio superiore di sanità, è stato infine pubblicizzato e diramato con la circolare qui contestata.
6.3. Come rileva il Ministero appellante, che si tratti di mere indicazioni/raccomandazioni è reso evidente, prima di tutto, dal tenore testuale della circolare, posto che non vi si istituiscono divieti e precetti e si fa riferimento, piuttosto, a «indicazioni di gestione clinica», richiamando le linee di indirizzo dell’AIFA.
6.4. La tesi degli odierni appellati, accolta invece dal primo giudice, è che la circolare conterrebbe una lista dei “farmaci da non usare”.
6.5. Al contrario, essa reca solo la definizione di condizioni per le quali le evidenze di letteratura consentono di stimare l’efficacia di un farmaco raccomandandone o meno l’utilizzo, così da non realizzare alcuna interferenza con l’autonomia prescrittiva del medico.
6.6. Al riguardo è bene rammentare – v, sul punto, già l’ordinanza n. 7097 dell’11 dicembre 2020 di questa Sezione, ai §§ 23-23.4. – che l’art. 3, comma 2, del d.l. n. 23 del 1998, conv. in l. n. 94 del 1998, dispone, quanto all’utilizzo off label di farmaci autorizzati per determinate indicazioni terapeutiche, che «in singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di 9 somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, ovvero riconosciuta agli effetti dell'applicazione dell’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536 , convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale».
6.7. Nel caso di specie, l’atto annullato non impone divieti o limitazioni all’utilizzo di farmaci, bensì si limita ad indicare, con raccomandazioni e linee di indirizzo basate sulle migliori evidenze di letteratura disponibili, i vari percorsi terapeutici, a seconda del ricorrere di specifiche condizioni.
6.8. Più precisamente, le raccomandazioni si riferiscono alla gestione farmacologica dei casi lievi di COVID-19.
7. In linea generale, per le persone con queste caratteristiche cliniche non è indicata alcuna terapia, al di fuori di un eventuale trattamento sintomatico di supporto.
7.1. Tra le indicazioni si introduce la valutazione sui pazienti da indirizzare nelle strutture di riferimento per il trattamento con anticorpi monoclonali, vengono date indicazioni più accurate sull’utilizzo dei cortisonici, specificati gli usi inappropriati dell’eparina, indicati i farmaci che è raccomandato non utilizzare.
7.2. Infine, nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, viene esplicitato il concetto di “vigile attesa”, intesa – lo si vedrà meglio anche in seguito – come sorveglianza clinica attiva, costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente.
7.3. In particolare, la circolare consiglia – ma, si ribadisce, di certo non impone – di:
- non modificare, a meno di stringente ragione clinica, le terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, ipoglicemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti, terapie psicotrope);
- utilizzare un trattamento di tipo sintomatico con paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso, o altri farmaci sintomatici su giudizio clinico;
- non utilizzare routinariamente corticosteroidi, perché un utilizzo precoce di questi farmaci si è rivelato inutile, se non dannoso, in quanto in grado di inficiare lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria;
- utilizzare l’eparina solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;
- evitare l’uso empirico di antibiotici, in quanto il loro eventuale utilizzo è da riservare esclusivamente ai casi in cui l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame microbiologico e a quelli in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica;
- non utilizzare l’idrossiclorochina, la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici randomizzati fino ad ora condotti;
- valutare, nei pazienti a rischio di progressione di malattia, la possibilità di trattamento precoce con anticorpi monoclonali da parte delle strutture abilitate alla prescrizione.
7.4. La circolare segnala, inoltre, che, a oggi, non esistono evidenze solide e incontrovertibili – ovvero derivanti da studi clinici controllati – di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (come vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato (ma, si noti, lo stesso non è certo vietato).
7.5. Inoltre, come detto, in considerazione della costante evoluzione delle conoscenze sull’infezione, sul decorso della malattia da COVID-19 e sulle possibilità terapeutiche, il documento è periodicamente aggiornato, al fine di rendere le indicazioni conformi alla pratica clinica internazionale, sulla base delle emergenti conoscenze scientifiche, secondo quel modello di amministrazione adattiva e flessibile, già posto in rilievo dalla sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021 di questa Sezione.
8. Così definito l’oggetto del giudizio, dunque, occorre inquadrare anzitutto la questione sul piano giuridico e, poi, esaminare in modo più approfondito, a livello scientifico, i risvolti terapeutici.
9. Quanto al primo aspetto, anzitutto, bene rileva il Ministero appellante come la sentenza impugnata abbia travisato la reale portata della circolare ministeriale e delle richiamate raccomandazioni dell’AIFA, che non contengono prescrizioni vincolanti per i medici e non hanno un effetto precettivo cogente.
9.1. Questo Consiglio di Stato, nell’ordinanza n. 2221 del 23 aprile 2021, richiamata dallo stesso Tribunale all’esito dell’appello cautelare contro l’ordinanza n. 1421 del 2021 nel giudizio R.G. 1557/2020, ha già chiarito che le Linee guida, fondate su evidenze scientifiche documentate in giudizio, forniscono all’autonomia prescrittiva del medito un ausilio senza vincolarlo all’obbligatoria osservanza delle loro raccomandazioni.
9.2. La sentenza impugnata, pur richiamando e citando a fondamento del proprio giudizio le motivazioni di tale ordinanza che, si ribadisce, ha negato espressamente la vincolatività di dette indicazioni, è invece pervenuta – in modo illogico e contraddittorio rispetto alla premessa del proprio ragionamento – all’opposta conclusione secondo cui il contenuto della nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti prescrizioni scelte terapeutiche, si porrebbe in contrasto con l’attività professionale, così come demandata al medico nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale.
9.3. In questo modo, però, il Tribunale ha trascurato di considerare ancora una volta che le Linee guida contengano mere raccomandazioni e non prescrizioni cogenti e si collocano, sul piano giuridico, a livello di semplici indicazioni orientative, per i medici di medicina generale, in quanto parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello internazionale.
9.4. Sul piano sistematico, esse si inscrivono dunque a pieno titolo in quella più complessa fenomenologia, ben nota all’esperienza giuridica contemporanea in diversi settori dell’ordinamento, del c.d. soft law che, in ambito medico, assume una connotazione peculiare, per le specifiche ragioni che ora si diranno.
9.5. La Circolare contestata in questo giudizio costituisce, dunque, un documento riassuntivo ed indicativo delle migliori pratiche che la scienza e l’esperienza, in costante evoluzione, hanno sinora individuato, come bene ha messo in rilievo anche il decreto monocratico n. 207 del 19 gennaio 2022 di questo Consiglio di Stato.
10. Non si può pertanto condividere, perché erronea, la conclusione che le Linee guida contenute nella circolare ministeriale – al di là dello stesso strumento formale, la circolare stessa che, come noto, per costante giurisprudenza di questo Consiglio non ha valore normativo o provvedimentale e non ha efficacia vincolante per i soggetti destinatari degli atti applicativi di esse (v. ex plurimis, sul punto, Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 313) – incidano sostanzialmente sull’autonomia prescrittiva del medico e gli impediscano di prescrivere ai pazienti i farmaci che egli ritenga più idonei a curare l’infezione da Sars-CoV-2 nella gestione domiciliare della malattia.
10.1. Ben è libero il singolo medico, nell’esercizio della propria autonomia professionale, ma anche nella consapevolezza della propria responsabilità, di prescrivere i farmaci che ritenga più appropriati alla specificità del caso, in rapporto al singolo paziente, sulla base delle evidenze scientifiche acquisite.
10.2. La già richiamata disposizione dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 23 del 1998, che riconosce la possibilità di prescrivere, seppure – non va dimenticato – a certe tassative condizioni, il farmaco off label da parte del medico curante, è il portato dell’autonomia decisionale del medico nella propria sfera di competenza, che è uno dei cardini intorno ai quali ruota il diritto sanitario, ed è un principio che si trae non solo dall’art. 33, comma primo, Cost., per il quale la scienza è libera, ma anche dall’art. 9, comma primo, Cost., per il quale la Repubblica promuove la ricerca scientifica.
10.3. Ed è appena il caso di ricordare, come già sottolineato nella già citata ordinanza n. 7097 del 2020 di questo Consiglio, che la Corte costituzionale, in numerose pronunce anche recenti, ha chiaramente affermato questo principio con l’osservazione che la regola di fondo di uno Stato democratico, in questa materia, è costituita dall’autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso informato del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione, sicché «autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incontro dei principi in questa materia» (v., per tutte, Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, ma v. anche Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151 e, più di recente, Corte cost., 12 luglio 2017, n. 169).
10.4. Si può e si deve aggiungere, in questa sede, anche di più, non potendosi prescindere da quanto questa stessa Sezione ha precisato nella recente sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021, con richiamo, peraltro, ai principî generali già affermati, anni or sono, dalla sentenza del 2 settembre 2014, n. 4460.
10.5. Nella relazione di cura e fiducia che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), si instaura tra il singolo medico e il singolo paziente, si badi, viene in rilievo ed è centrale un concetto, e un impiego, della cura intesa non come astratto e indifferenziato protocollo, applicabile comunque e a chiunque, ma come scelta terapeutica concreta, costruita sulla base del consenso informato e, dunque, di una scelta condivisa da parte del singolo paziente per il suo benessere psicofisico, secondo la visione che della propria dignità personale e conseguentemente secondo la percezione, unica ed esclusiva, che egli ha del proprio corpo, della propria salute e, per converso, della propria malattia.
10.6. La cura non è una entità astratta, metafisica, calata dall’alto e imposta al singolo paziente, anche a mezzo di raccomandazioni e Linee guida, dallo Stato o dalle istituzioni sanitarie, salvo il caso eccezionale – che qui non ricorre – delle prestazioni sanitarie obbligatorie di cui all’art. 32, comma secondo, Cost., ma il frutto di una strategia concreta, individualizzata, che risponde non solo, e ovviamente, ad una precisa necessità terapeutica, una volta diagnosticata una certa malattia, ma anzitutto al concetto di dignità che di sé ha la singola persona, nell’incontro tra l’autonomia professionale del medico e il consenso informato del paziente (Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460, ma sul tema v., ancor più recente, in ordine alle decisioni di fine vita da parte del paziente la fondamentale pronuncia della Corte cost., 22 novembre 2019, n. 242).
10.7. Lo stesso art. 1, comma 3, della l. n. 219 del 2017 prevede del resto, in modo chiaro e inequivocabile, che ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.
10.8. La codificazione del sapere scientifico in regole tecniche scritte che, come taluno ha detto, costituisce un punto di non ritorno, il processo di standardizzazione delle cure, l’impiego sempre più frequente di protocolli medici, le raccomandazioni contenute nelle Linee guida in ambito sanitario – si pensi, per tutti, all’art. 5 della l. n. 24 del 2017 – rispondono a livello internazionale e nazionale, come è ovvio, all’esigenza di individuare una strategia terapeutica comune e condivisa, che consenta al medico di fare proprie le acquisizioni scientifiche e le esperienze cliniche diffuse e condivise, che hanno dimostrato un profilo di efficacia e sicurezza largamente acclarato a livello scientifico nella cura di una patologia, e sono cresciuti di pari passo, come bene è stato osservato, con l’affermarsi della medicina basata sull’evidenza (c.d. evidence based medicine), ma non esimono il medico, anzitutto, dal dovere di costruire una terapia condivisa e ritagliata sulle esigenze del singolo paziente, anche adottando terapie non indicate nelle linee guida o nei protocolli, purché – lo si dirà tra breve – sicure ed efficaci.
11. Quest’ordine di idee viene anche espresso, sul piano tecnico, dal concetto di refutabilità delle linee guida in ambito medico, da intendersi nel senso di non necessaria applicabilità rispetto allo specifico caso clinico per le peculiarità di questo, ed è ovvio che questo concetto, che sul piano giuridico si traduce nella non vincolatività dei protocolli stessi, non può e non deve essere confuso con quello, di cui meglio si dirà, della confutabilità dei protocolli stessi.
11.1. È stato bene osservato che la disapplicazione – o, per meglio dire, non applicazione – delle Linee guida e delle buone pratiche – che costituiscono, in senso lato, la cristallizzazione delle migliori regole del sapere scientifico in un determinato momento storico – restituisce rilevanza al paziente come persona in quanto la singolarità, dal punto di vista clinico, non è l’eccezione, ma la norma, sicché, fermo il carattere orientativo “di base” delle linee guida, dei protocolli sanitari o delle buone pratiche clinico-assistenziali per tutti i medici, ad ogni malato deve essere assicurato, nella diagnosi della malattia e nella prescrizione della cura, il rispetto della propria – eventuale – “diseguaglianza clinica”.
11.2. In ciò si manifesta appunto la fondamentale differenza, non colta dal primo giudice, tra le regole deontiche, cogenti sul piano giuridico, e le regole tecniche (o anancastiche), come quelle in esame, dettate con carattere riepilogativo di una certa esperienza, nel passato, e orientativo di un certo comportamento, nel futuro, le quali ultime sono appunto refutabili o superabili dal medico, nel doveroso esercizio della propria autonomia professionale, perché si basano su ragioni determinabili e intersoggettivamente valide per essere costruite sull’esperienza più qualificata, che può essere superata, aggiornata e persino smentita dalle peculiarità del quadro clinico, essendo la giustificazione pratica su cui si fonda la regola pratica sottoponibile, come noto, a controllo empirico.
11.3. Come il paziente, il singolo paziente, non è un astratto, anonimo e quasi indifferente oggetto di cura, ma è invece soggetto primario e fine della stessa cura, così il medico, il singolo medico, non è, e non può essere, passivo recettore di acquisizioni scientifiche, meccanico esecutore di protocolli o mero prescrittore di farmaci, adatti a tutti e a nessuno.
12. Sono queste, la irriducibile singolarità del paziente e l’irriducibile autonomia del medico nell’individuazione della cura in concreto nel senso sopra inteso, due aspetti, speculari e inscindibili, di uno stesso essenziale valore, quella relazione di cura e fiducia, cuore del rapporto terapeutico, che risponde al valore più alto dell’ordinamento, la dignità della persona umana, a tutela della quale la Costituzione definisce e garantisce, nell’art. 32, la salute – unico tra i diritti della persona, non a caso, ad essere definito espressamente tale dalla Costituzione – come diritto «fondamentale» dell’individuo.
12.1. Se riguardata da questa irrinunciabile prospettiva, nell’ambito dei valori di civiltà giuridici più alti, in quanto costitutivi della persona umana, tutelati dalla Costituzione, la tesi secondo cui le Linee guida vincolerebbero il medico ad eseguire determinati protocolli o a prescrivere certi farmaci e non altri contro la singolarità del caso clinico urta non solo contro l’autonomia del medico, sancita dal codice di deontologia professionale e dallo stesso ordinamento in numerose disposizioni normative, sopra richiamate, ma anche contro lo stesso diritto alla salute, quale massima, primaria manifestazione della dignità umana, e il principio personalistico posto a base della Costituzione.
12.2. Nemmeno si può ritenere decisivo il richiamo dell’art. 5 della l. n. 24 del 2017 poiché, come bene anzitutto osserva lo stesso Ministero appellante, le Linee guida previste dall’art. 5, comma 1, della l. n. 24 del 2017 (recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”) hanno, a tacer d’altro, presupposti ed effetti ben diversi da quelle qui in considerazione e, dunque, non sono assimilabili a quelle qui contestate.
12.3. Anzi proprio l’esempio di tali Linee guida conferma, invece, che in via generale esse non sono cogenti per il medico, trattandosi, come è stato bene osservato, non di ordini calati dall’altro, categorici e definitivi, ma di suggerimenti, indirizzi motivati, e dediti a tener contro di tutte le istanze, anche confliggenti, quali emergono dal mondo dei sanitari, dei pazienti, degli amministratori, dei giuristi stessi, sicché la stessa dottrina medico-legale, pur nell’ampio dibattito che interessa medici e giuristi sulla natura e sulla portata delle Linee guida di cui non è possibile qui dar conto, concorda ormai sulla loro relatività, sul loro valore orientativo, sull’esclusione, per tutte le ragioni già viste, del loro automatismo applicativo, irragionevole e contrario agli stessi canoni della cura e alla deontologia medica, prima ancora che incostituzionale.
12.4. Lo stesso art. 5, comma 1, della l. n. 24 del 2017 prevede che il medico si attenga ad essi, «salvo la specificità del caso concreto» e il successivo art. 6 ammette l’esclusione della punibilità nel caso in cui l’evento lesivo o mortale in danno del paziente si sia verificato a causa di imperizia del medico quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, purché queste «risultino adeguate alle specificità del caso concreto», ciò che ben si comprende ed appare del resto necessario, e doveroso per il medico, a tutela del singolo paziente quale persona, se si tiene conto di quanto sin qui si è chiarito.
12.6. Né va taciuto come la giurisprudenza, chiamata a fare applicazione degli artt. 5 e 6 della l. n. 24 del 2017, abbia chiarito come l’art. 590-sexies c.p., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, preveda una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti, inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 c.p. o di quello dell’art. 590 c.p., e operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse, mentre questa causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche né quando queste siano individuate e, dunque, selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse (Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770).
12.7. In questa fondamentale pronuncia la Suprema Corte ha sottolineato la scelta del legislatore di pretendere, senza concessioni, che l’esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire la evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione non solo alle nuove acquisizioni scientifiche, ma anche allo scrutinio di esse da parte delle società e organizzazioni accreditate e, dunque, alle raccomandazioni ufficializzate con la nuova procedura; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino, con la conseguenza che, se tale percorso risulti correttamente seguito e, ciononostante, l’evento lesivo o mortale si sia verificato con prova della riconduzione causale al comportamento del sanitario, il residuo dell’atto medico che appaia connotato da errore colpevole per imperizia potrà essere quello che chiama in campo la operatività della novella causa di non punibilità.
12.8. Ancora di recente si è ribadito in giurisprudenza che le linee guida, lungi dall’atteggiarsi come regole di cautela a carattere normativo, costituiscono invece raccomandazioni di massima che non sollevano il sanitario dal dovere di verificarne la praticabilità e l’adattabilità nel singolo caso concreto.
12.9. La giurisprudenza della Corte di legittimità è chiara nell’affermare che il rispetto delle linee guida non può essere univocamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico e «nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente» e, pertanto, non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone (v., ex plurimis, Cass. pen., sez. IV, 30 settembre 2021, n. 37617).
13. Dal complesso di tali ragioni non può che discendere, pertanto, l’inammissibilità del ricorso proposto dagli odierni appellati contro le Linee guida, che non hanno una portata cogente per i loro destinatari, poiché essi, quali medici di medicina generale, possono nell’esercizio della propria competenza professionale prescrivere farmaci ulteriori e diversi da quelli raccomandati in esse, purché – e la precisazione è fondamentale – tale prescrizione si fondi su evidenze scientifiche attendibili che assicurino la sicurezza e l’efficacia del farmaco.
14. Resta infatti aperta e non può essere elusa, una volta chiariti questi essenziali aspetti, la questione posta con forza nel presente giudizio dagli odierni appellati, medici di medicina generale, secondo cui essi, discostandosi dalle Linee guida, che raccomandano certi comportamenti o prescrivono (o sconsigliano) la prescrizione di certi farmaci, il medico di medicina generale vedrebbe di fatto notevolmente ridotta, se non annullata, la propria autonomia decisionale, in quanto si esporrebbe addirittura a conseguenze disciplinari o a responsabilità, civile e penale, sicché, di fatto, esse sarebbero cogenti per il medico, a dispetto del nomen usato di raccomandazione.
14.1. L’esame della questione richiede, per la sua esatta comprensione, di analizzare l’altro aspetto, quello scientifico, dell’odierna controversia, inscindibilmente legato a quello giuridico, di cui si si detto, al di là delle osservazioni già svolte.
14.2. Come questo Consiglio di Stato ha chiarito in diverse occasioni (v., ad esempio, l’ord. n. 7097 dell’11 dicembre 2020, in tema di idrossiclorochina nella prima fase epidemica, ma più di recente anche la già richiamata pronuncia di Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045 in tema di vaccinazioni obbligatorie per il personale sanitario), la moderna medicina dell’evidenza richiede che la prescrizione di un farmaco si fondi su accertati profili di accertata efficacia e sicurezza di questo.
14.3. Non è possibile ripercorrere in questa sede, per la complessità del tema generale e dell’ampio dibattito scientifico, ad esso connesso, che prescinde, ma anche esula dall’oggetto del giudizio, il lungo e complesso percorso che ha condotto all’affermazione della c.d. medicina dell’evidenza e, con essa, anche alla crescente cristallizzazione del sapere scientifico in linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali.
14.4. Qui basti ricordare, in estrema sintesi, come l’approccio ormai dominante della scienza medica a partire dagli anni ’90 del secolo scorso nella scelta della terapia più adatta sia quello dell’evidenza scientifica, la c.d. l’evidence based medicine (EBM), alle cui fondamentali acquisizioni può qui farsi solo qualche breve cenno.
14.5. La scelta della cura avviene, secondo tale metodologia, sulla base delle migliori prove di efficacia clinica e, in particolare, di studi clinici a carattere sperimentale, randomizzati e controllati (RCT – controlled randomized trial), che costituiscono il c.d. gold standard della ricerca medica.
14.6. La medicina basata sulle prove, secondo la definizione dei suoi fondatori, è «l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica con la esperienza e l’abilità del medico ed i valori del paziente».
14.7. Il medesimo concetto è stato espresso anche in un altro modo e, cioè, con la precisazione che «l’uso cosciente, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze (cioè prove di efficacia) biomediche al momento disponibili, al fine di prendere le decisioni per l’assistenza del singolo paziente».
14.8. Lo stesso art. 2 del d.l. l. n. 23 del 1998, conv. con mod. in l. n. 94 del 1998, sopra richiamato, consente al medico l’utilizzo di farmaci off label qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e «purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale».
14.9. E d’altro canto nemmeno va trascurata l’ulteriore disposizione, prevista dall’art. 2, comma 348, della l. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) – v., sul punto, Corte cost., 12 gennaio 2011, n. 8 – secondo cui l’indicazione terapeutica off label del farmaco da parte del medico curante non è possibile «qualora per tale indicazione non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda».
15. Il complesso di tutte queste disposizioni dimostra, ove ce ne fosse bisogno, che la prescrizione di un farmaco, da parte del medico, non può fondarsi su intuizioni o improvvisazioni sperimentate sulla pelle dei singoli pazienti, ma su evidenze scientifiche e, dunque, su rigorosi studi e precise sperimentazioni cliniche, ormai numerosi a livello internazionale anche nella lotta contro il virus Sars-Cov-2 dopo due anni dall’inizio della pandemia.
15.1. Ora non vi è dubbio che il singolo medico, nel prescrivere un farmaco, possa discostarsi dalle Linee guida, senza incorrere in responsabilità (anzitutto penale, come si è visto supra, rammentando gli orientamenti della Cassazione in materia), purché esistano solide o, quantomeno, rassicuranti prove scientifiche di sicurezza ed efficacia del farmaco prescritto, sulla base dei dati scientifici, pur ancora parziali o incompleti, ai quali possa ricondurre razionalmente il proprio convincimento prescrittivo rispetto alla singolarità del caso clinico.
15.2. La prescrizione del farmaco anche nell’attuale emergenza epidemiologica, e tanto più nell’ovvia assenza di prassi consolidate da anni per la solo recente insorgenza della malattia, deve fondarsi su un serio approccio scientifico e non può affidarsi ad improvvisazioni del momento, ad intuizioni casuali o, peggio, ad una aneddotica insuscettibile di verifica e controllo da parte della comunità scientifica e, dunque, a valutazioni foriere di rischi mai valutati prima rispetto all’esistenza di un solo ipotizzato, o auspicato, beneficio.
15.3. Non si vuol negare che l’esperienza clinica dei singoli medici a livello territoriale sia preziosa e fondamentale per la ricerca scientifica nella lotta contro il Sars-CoV-2, anzi, ma proprio per questo i risultati e i dati di questa esperienza non possono essere sottratti ad un rigoroso approccio scientifico che consenta, anche in condizioni di emergenza epidemiologica, di valutare comunque la sicurezza e l’efficacia del farmaco, non affidabile certo individualmente e solamente al buon senso o addirittura al caso.
15.4. Lo stesso principio di precauzione, come pure questo Consiglio di Stato ha chiarito rispetto alle vaccinazioni obbligatorie contro il virus Sars-CoV-2, può essere invocato in una fase emergenziale nell’impiego di nuovi farmaci, come anche in quello off label di farmaci già autorizzati, purché esistano sufficienti e solide evidenze scientifiche, per quanto suscettibili di revisione e bisognose di ulteriori conferme nel tempo, di una loro sicurezza ed efficacia, come è appunto nel caso dei vaccini, sottoposti ad autorizzazione condizionata fondata sull’esistenza di studi clinici controllati e randomizzati in fase avanzata.
15.5. La prescrizione di farmaci non previsti o, addirittura, non raccomandati dalle Linee guida non può dunque fondarsi su un’opinione personale del medico, priva di basi scientifiche e di evidenze cliniche, o su suggestioni e improvvisazioni del momento, alimentati da disinformazione o, addirittura, da un atteggiamento di sospetto nei confronti delle cure “ufficiali” in quelle che sono state definite le contemporanee societés de la défiance, le società della sfiducia nella scienza.
15.6. Come questo Consiglio di Stato ha pure chiarito, la libertà della scienza non vuol dire anarchia del sapere applicato dal medico al paziente (Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045) e il fondamentale incontro, di cui si è detto, tra l’autonomia professionale del medico e l’autodeterminazione terapeutica del paziente, nell’individuazione della cura adatta, non può schiudere la strada ad un pericoloso, e incontrollabile, relativismo terapeutico, ove è cura tutto ciò che il singolo medico o il singolo paziente o entrambi, di comune accordo e, dunque, sulla base di un consenso disinformato, credono sia tale, sulla base di supposizioni o credenze non verificabili alla stregua di criteri oggettivi e, dunque, non falsificabili da nessuno e, in ultima analisi, insindacabili.
15.7. L’individualità della cura in rapporto al singolo paziente non è e non è può essere mai, insomma, l’individualismo della cura.
15.8. La Sezione ha già affermato che è la scienza ad indicare al legislatore, ma anche all’individuo le opzioni terapeutiche valide, che questi può scegliere, e «non è certo l’individuo, ancorché dotato di proprie personali competenze e di un sapere asseritamente superiore, a forgiarsi una cura da indicare alla scienza e al legislatore, costruendosi una cura “parallela”, “propria”, “privata”, non controllabile da alcuno e non verificabile in base ad alcun criterio scientifico di validazione» (Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045, §§ 46.7. e 46.8.).
15.9. Per questo, va qui ribadito, la libertà e il progresso della scienza tutelati dagli artt. 9 e 33 Cost., di cui lo stesso art. dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 23 del 1998 già richiamato (v., supra, § 6.6.) è esso stesso espressione, non sono né possono essere anarchici o erratici (così, ancora, la citata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045), tanto più in una fase emergenziale, per molti aspetti drammatica, nella lotta contro il virus Sars-CoV-2.
16. Non è possibile insomma, nemmeno nella fase emergenziale, venir meno al «principio di doverosa cautela nella validazione e somministrazione di nuovi farmaci» (Corte cost., 10 dicembre 2014, n. 274, nel noto caso Stamina) o nell’impiego di farmaci già autorizzati per altre indicazioni terapeutiche nella terapia contro il nuovo virus.
17. Se si tengono presenti questi fondamentali principi, che devono guidare l’attività del medico nell’esercizio consapevole e responsabile della propria competenze professionali e limitano, nella c.d. riserva di scienza, lo stesso esercizio del potere pubblico in materia sanitaria a livello legislativo e amministrativo, e li si applica alla controversa questione delle cure domiciliari contro il Sars-CoV-2, risulta evidente per altro aspetto l’erroneità, per non dire l’apoditticità, della sentenza impugnata non solo nell’avere ritenuto ammissibile il ricorso in prime cure, pur nell’assenza di una concreta lesività della circolare e delle raccomandazioni dell’AIFA per l’esercizio della professione medica, ma anche nell’averlo accolto nel merito senza verificare se, in ipotesi, la circolare del Ministero e le raccomandazioni dell’AIFA si discostassero notevolmente, e in modo manifestamente irragionevole, dalle acquisizioni della scienza medica e della ricerca scientifica in materia.
17.1. Una volta – in ipotesi – superata, infatti, la questione della refutabilità o, se si preferisce, della non vincolatività delle Linee guida da parte del singolo medico, la confutabilità o, con diverso termine, l’opinabilità delle indicazioni di trattamento terapeutico contenute nelle Linee guida era ed è questione del tutto diversa, che avrebbe dovuto costituire oggetto di approfondita analisi nella sentenza impugnata, la quale sarebbe potuta pervenire ad una statuizione annullatoria se e solo se avesse ritenuto, motivatamente, che l’esercizio della discrezionalità tecnica, da parte del Ministero o dell’AIFA, non si fosse mantenuta nell’ambito delle opzioni terapeutiche consentite dal sapere specialistico che deve applicarsi alla materia controversa.
17.2. Solo insomma se la scelta autoritativa del decisore pubblico fosse stata nel suo contenuto talmente abnorme, irragionevole e contrastante con i principî della scienza medica da imporre effettivamente al medico l’irriducibile alternativa tra seguire le Linee guida, con danno per la salute del paziente (in spregio all’antico canone: primum non nocere) prima ancor che per il sicuro esercizio della sua professione, e invece percorrere un’opzione terapeutica diametralmente opposta, conforme tuttavia ai dettami delle migliori conoscenze ed esperienze cliniche sin qui acquisite, il giudice amministrativo avrebbe potuto, e dovuto, annullare le Linee guida.
17.3. Si deve qui ricordare che la c.d. riserva di scienza che compete alle autorità sanitarie non si sottrae al sindacato del giudice amministrativo, men che mai nell’attuale fase di emergenza epidemiologica, per l’indefettibile esigenza, connaturata all’esistenza stessa della giurisdizione amministrativa e consacrata dalla Costituzione, di tutelare le situazioni giuridiche soggettive, a cominciare da quelle che hanno un radicamento costituzionale come il fondamentale diritto alla salute, a fronte dell’esercizio del potere pubblico e, dunque, anche della discrezionalità c.d. tecnica da parte dell’autorità competente in materia sanitaria.
17.4. Senza qui voler ripercorrere il lungo tragitto evolutivo che ha condotto alla garanzia di una più intensa ed effettiva tutela giurisdizionale, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4322), il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della amministrazione può oggi svolgersi non in base al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro coerenza e correttezza, quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.
17.5. Non si tratta, ovviamente, di sindacare il merito di scelte opinabili, ma di verificare se queste scelte siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie.
17.6. Il controllo giurisdizionale, teso a garantire una tutela delle situazioni giuridiche effettiva, anche quando si verta in tema di esercizio della discrezionalità tecnica di una autorità indipendente, non può essere perciò limitato ad un sindacato meramente estrinseco, estendendosi al controllo intrinseco, anche mediante il ricorso a conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione, sulla attendibilità, coerenza e correttezza degli esiti, specialmente rispetto ai fatti accertati ed alle norme di riferimento attributive del potere.
17.7. In tale contesto, per quanto attiene all’esercizio della discrezionalità tecnica dell’autorità indipendente, il giudice amministrativo non può sostituirsi ad un potere già esercitato, ma deve solo stabilire se la valutazione complessa operata nell’esercizio del potere debba essere ritenuta corretta, sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della salute che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato.
17.8. Sul versante tecnico, in relazione alle modalità del sindacato giurisdizionale, quest’ultimo è volto a verificare se l’autorità abbia violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito al giudice amministrativo, in coerenza con il principio costituzionale di separazione dei poteri, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell’amministrazione con quelle giudiziali.
17.9. In particolare, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione nelle sue determinazioni (cfr. ad es. Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5559).
18. Per usare altri termini il giudice amministrativo deve poter verificare che l’amministrazione abbia applicato in modo corretto alla vicenda concreta, in conformità ai principî proprî del metodo scientifico prescelto (iuxta propria principia), le regole del sapere specialistico applicabili al settore dell’attività amministrativa sottoposta all’esercizio del potere regolatorio, ad evitare che la discrezionalità tecnica del decisore pubblico trasmodi in un incontrollabile, e dunque insindacabile, arbitrio (v. Cons. St., sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5707 e Cons. St., sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856).
19. Ebbene, anche ammettendo, in ipotesi, che le Linee guida qui contestate abbiano un carattere vincolante per i medici, il che non è, come detto, ed esaminando la questione controversa sotto tale prospettiva nell’esercizio del doveroso controllo giurisdizionale sugli atti dell’autorità sanitaria, si deve qui rilevare che le censure degli appellanti non avrebbero potuto trovare accoglimento e condurre all’annullamento della circolare.
19.1. E infatti, nei limiti consentiti dall’ordinamento al sindacato del giudice amministrativo sulla c.d. discrezionalità tecnica, ben evidente appare come la circolare ministeriale e le raccomandazioni dell’AIFA nelle Linee guida non si siano discostate dalle acquisizioni più recenti e condivise della scienza e della pratica clinica a livello nazionale ed internazionale, secondo i canoni della c.d. medicina dell’evidenza, come il Ministero appellante ha ben dimostrato, senza trovare adeguata confutazione da parte degli odierni appellati, le cui produzioni documentali sono tutte inammissibili, come si è precisato, per la tardività della costituzione in questo grado del giudizio.
19.2. La c.d. vigile attesa non è e non può essere concepita, se si esaminano con attenzione la Circolare e le raccomandazioni dell’AIFA, come un rassegnato immobilismo, negazione della stessa medicina nella sua funzione e, per alcuni pazienti più vulnerabili, preludio certo dell’ospedalizzazione, con esiti talvolta e purtroppo fatali.
19.3. La gestione dei soggetti con malattia lieve deve prevedere anzitutto, come la circolare qui contestata prevede, l’attenta valutazione dei parametri clinici essenziali, al momento della diagnosi di infezione, ed il monitoraggio quotidiano, per individuare precocemente segni e sintomi di instabilità clinica correlati all’alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura corporea, livello di coscienza, saturazione di ossigeno) che permetterebbero di identificare - appunto attraverso un atteggiamento di vigile attesa – il rischio di un rapido peggioramento clinico e di bloccarne tempestivamente l’evoluzione.
19.4. La “vigile attesa”, lungi dal costituire dunque un’inerzia ingiustificabile, postula invece tutta una serie di attività fondamentali, ampiamente riconosciute e dettagliate nella circolare del Ministero, e tra le altre, il monitoraggio e l’identificazione precoce di parametri e/o condizioni cliniche a rischio di evoluzione della malattia, con la conseguente necessità di ospedalizzazione, e la prescrizione di norme di comportamento e terapie di supporto in relazione al quadro clinico in evoluzione.
19.5. Quanto all’utilizzo, consigliato o sconsigliato, di determinati farmaci, poi, l’impianto argomentativo degli odierni appellati, come ben rileva il Ministero appellante, muove da un equivoco di fondo, assumendo che le linee di indirizzo costituiscano una lista dei “farmaci da non usare” e non, piuttosto, la definizione delle condizioni per le quali le evidenze di letteratura consentono di stimare l’efficacia di un farmaco raccomandandone, o meno, l’utilizzo.
19.6. Le raccomandazioni fornite nella nota impugnata individuano linee di indirizzo volte a specificare quali sono gli ambiti di utilizzo efficace e sicuro dei diversi farmaci.
20. Più nel dettaglio, avuto riguardo alla “limitazione sull’uso dei corticosteroidi”, la prescrizione in ambito domiciliare del cortisone è raccomandata solo nei soggetti con malattia COVID-19 che necessitino di supplementazione di ossigeno e, in particolare, in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, se in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia.
20.1. Tale raccomandazione, che non può essere intesa come “limitazione all’uso”, è basata sulle prove di efficacia derivanti da ampi studi randomizzati controllati che ne hanno ben definito il valore esclusivamente nei soggetti in ossigenoterapia (cfr. RECOVERY Trial e meta-analisi del WHO) e tiene, d’altro canto, in considerazione che in molti soggetti con malattie croniche l’utilizzo del cortisone può determinare importanti eventi avversi che rischiano di complicare il decorso della malattia virale.
20.2. Recentemente, gli infettivologi del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, come ricorda il Ministero appellante, hanno diramato un “alert”, nel quale hanno sottolineato come stessero arrivando al pronto soccorso del nosocomio sempre più pazienti, anche giovani, con una severa infezione da COVID-19 verosimilmente attribuibile ad una somministrazione precoce di cortisone e, nel suddetto “alert”, gli specialisti invitano i medici di medicina generale ad essere consapevoli della loro responsabilità in cui si effettuano tali e altre prescrizioni al di fuori dalle linee guida poiché «deve essere chiaro che un trattamento con cortisone iniziato entro sette giorni dall’esordio dei sintomi favorisce la replicazione virale e quindi l’infezione e le sue conseguenze».
20.3. È infatti importante ricordare che in molti soggetti con malattie croniche l’utilizzo del cortisone può determinare importanti eventi avversi, che rischiano di complicare il decorso della malattia virale e al riguardo basti qui citare, per tutti, l’esempio dei soggetti diabetici in cui sia la presenza di un’infezione, sia l’uso del cortisone, possono gravemente destabilizzare il controllo glicemico.
20.4. Quanto, ancora, alla “limitazione sull’uso di eparina”, la prescrizione in ambito domiciliare delle eparine a basso peso molecolare (EBPM) nella profilassi degli eventi trombo-embolici nel paziente medico con infezione respiratori acuta allettato o con ridotta mobilità, è raccomandato, in assenza di controindicazioni, dalle principali linee guida internazionali e configura un utilizzo autorizzato di questa classe di farmaci.
20.5. Si specifica, inoltre, che le eparine non sono soggette a limitazioni della prescrizione negli usi autorizzati, possono quindi essere prescritte a carico del medico di medicina generale e possono essere distribuite sul territorio secondo le modalità stabilite a livello regionale.
20.6. Sul sito dell’AIFA sono riportati nel dettaglio gli studi a supporto di tale raccomandazione(https://www.aifa.gov.it/documents/20142/0/Eparine_Basso_Peso_Molecolare_13.05.2021.pdf ).
20.7. Relativamente al “divieto all’uso domiciliare di antibiotici”, pure censurata dagli appellati in prime cure, nel documento dell’AIFA l’utilizzo degli antibiotici non è vietato ma semplicemente, in accordo con tutte le linee guida e tutti gli indirizzi di stewardship antibiotica, non raccomandato come utilizzo routinario, essendone invece previsto, ragionevolmente e correttamente, l’utilizzo in presenza di sospetto di una sovrainfezione batterica.
20.8. Con riferimento al “divieto all’uso domiciliare di idrossiclorochina”, l’AIFA – anche in ossequio a quanto questo Consiglio di Stato aveva chiarito nell’ordinanza n. 7097 dell’11 dicembre 2020, più volte citata – non ha posto un divieto all’uso, ma ha fornito una raccomandazione negativa all’utilizzo, specificando che una eventuale prescrizione nei singoli casi si configurerebbe come un uso off label e deve essere dunque rimessa all’autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico, con il consenso informato del singolo paziente.
20.9. La raccomandazione avverso l’utilizzo di idrossiclorochina al di fuori di studi clinici randomizzati è giustificata ormai, dopo diversi mesi di sperimentazione clinica e a distanza di tempo anche dall’emissione della citata ordinanza n. 7097 dell’11 novembre 2020 in sede cautelare da questo Consiglio di Stato, che registrava un quadro di sperimentazioni non ancora univoco e definitivo, dai numerosi studi clinici randomizzati che hanno dimostrato la sostanziale inefficacia del farmaco ed è in linea con quanto raccomandato dalle principali linee guida internazionali, potendosi consultare la scheda pubblicata sul sito dell’AIFA in cui sono riportati nel dettaglio gli studi clinici randomizzati a supporto di tale raccomandazione(https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1123276/idrossiclorochina%20update05_22.12.2020.pdf).
21. Quanto, infine, al preteso effetto peggiorativo del paracetamolo in relazione all’azione sul glutatione (riportato nel lavoro del dott. Chirumbolo citato nel ricorso) e, quindi, all’affermata migliore efficacia dei FANS per il trattamento sintomatico del COVID-19 (desumibile dalla citazione dello studio di Suter et al.), bene ha evidenziato il Ministero appellante che non ci sono, nello specifico, studi comparativi e che tutte le linee guida internazionali – al pari di quelle qui contestate (v., in particolare, p. 10: «trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari») – raccomandano indifferentemente i due farmaci, riferendosi per lo più genericamente ad antipiretici antiinfiammatori lasciando al medico l’opportunità di scegliere sulla base della valutazione dei singoli casi.
22. Più in generale, si deve rilevare che l’argomento degli odierni appellati, secondo cui l’assenza di prove non è prova di assenza di beneficio (c.d. fallacia ad ignorantiam), se è in astratto condivisibile non può rappresentare in concreto la base, come si è detto, per sovvertire un approccio scientifico rigoroso alla valutazione dell’efficacia e della sicurezza di un trattamento.
22.1. Ritenere che in condizioni di emergenza sanitaria si possa derogare ai principi propri dell’evidence based medicine per la difficoltà di condurre studi clinici randomizzati espone, d’altro canto, a serio rischio la salute pubblica, come è avvenuto in altri Paesi, dove ad esempio la somministrazione di farmaci non adeguatamente verificati in sede di studi clinici – ad esempio, l’invermectina – ha causato addirittura la morte di alcuni pazienti.
22.2. I medici ricorrenti in prime cure hanno esibito, a supporto delle loro tesi, una serie non organica di appunti su esperienze cliniche, oltre ad una semplice expert opinion.
22.3. La descrizione delle esperienze dei singoli medici tuttavia, ove non esitata nella conduzione di studi clinici idonei, non può rappresentare il presupposto scientifico su cui basare scelte di tipo regolatorio e raccomandazioni per la pratica clinica poiché solo gli studi clinici randomizzati e controllati consentono di ottenere informazioni attendibili in merito all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci.
22.4. Emerge con tutta evidenza come la circolare impugnata non violi in alcun modo il principio di precauzione, ma anzi ne costituisca applicazione, fondandosi sulla valutazione in sede istruttoria di tutti i dati scientifici disponibili, mentre gli odierni appellati non sono riusciti a dimostrare, sulla base di evidenze scientifiche attendibili e, dunque, di studi clinici randomizzati e controllati, che la circolare raccomandi trattamenti terapeutici inutili o dannosi o, al contrario, sconsigli farmaci appropriati per la cura domiciliare della malattia in contrasto con dette evidenze.
23. In conclusione, per tutte le ragioni espresse, l’appello proposto dal Ministero deve essere accolto, con la conseguente riforma della sentenza impugnata, e deve essere quindi dichiarato inammissibile il ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellati, comunque infondato anche nel merito, non ravvisandosi nella circolare, qui contestata, alcun profilo di manifesta irragionevolezza o erroneità, per tutte le ragioni esposte, ferma rimanendo l’autonomia prescrittiva dei singoli medici di medicina generale, nei termini che si sono sopra precisati.
24. La circolare in esame assolve, invece, ad uno specifico obbligo di legge assicurando le funzioni di coordinamento del sistema sanitario nazionale di cui all’art. 47-bis, comma 2, del d. lgs. n. 300 del 1999, secondo cui «sono attribuite al Ministero le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del sistema sanitario nazionale», e di raccordo con le organizzazioni internazionali e l’Unione europea aventi competenza in materia sanitaria (in particolare OMS, EMA ed ECDC), di cui all’art. 47-ter, comma 1, lett. a), del medesimo d. lgs. n. 300 del 1999.
24.1. Quanto – poi – all’AIFA, le cui raccomandazioni la circolare ministeriale ha recepito, viene in rilievo l’art. 48, commi 3 e 5, del d. lgs. n. 269 del 2003, conv. in l. 326/2003, e in particolare la previsione del comma 5, lett. a), che le assegna la funzione di «promuovere la definizione di liste omogenee per l’erogazione e di linee guida per la terapia farmacologica anche per i farmaci a distribuzione diretta, per quelli impiegati nelle varie forme di assistenza distrettuale e residenziale nonché per quelli utilizzati nel corso di ricoveri ospedalieri».
24.2. L’AIFA fornisce un’informazione pubblica e indipendente, al fine di favorire un corretto uso dei farmaci, di orientare il processo delle scelte terapeutiche, di promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni, nonché l’aggiornamento degli operatori sanitari attraverso le attività editoriali, lo svolgimento come provider di programmi di formazione a distanza (“FAD”) e la gestione del proprio sito internet.
24.3. La circolare come quella in contestazione, con la quale si informano strutture ed operatori sanitari delle raccomandazioni adottate dall’AIFA e delle più aggiornate acquisizioni scientifiche, oltre che dei pronunciamenti delle istituzioni internazionali e delle agenzie regolatorie in generale, costituisce insomma sono strumento attuativo del dovere istituzionale, da parte del Ministero, di adottare strumenti di indirizzo e coordinamento generale per garantire l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie, ampliando la base scientifica informativa sulla cui scorta il medico è chiamato a compiere la scelta di cura.
24.4. Ciò a maggior ragione, come pure rileva il Ministero appellante, in un contesto pandemico, caratterizzato dall’assoluta novità dell’epidemia da COVID-19 e dall’assenza di prassi consolidate cui attenersi.
24.5. L’unitarietà di indirizzo nell’approccio terapeutico alla pandemia è, del resto, un principio di intuitiva percezione, sul quale, sia pure pronunciandosi in altro campo, la stessa Corte Costituzionale ha recentemente avuto occasione di soffermarsi, sottolineandone l’importanza in una gestione sanitaria unitaria e coordinata (v., in particolare, Corte cost. 12 marzo 2021, n. 37).
25. Le dirimenti ragioni sin qui espresse assorbono ogni ulteriore statuizione in ordine alla improcedibilità dell’originario ricorso, eccepita dal Ministero appellante (pp. 16-18 del ricorso), questione del tutto superflua ormai ai fini del decidere.
26. Le spese del doppio grado del giudizio, considerata la novità della questione che concerne l’esercizio di diritti fondamentali attinenti alla persona nella presente fase emergenziale, possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, proposto dal Ministero dell’Interno, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado da Fabrizio Salvucci, Riccardo Szumski e Luca Poretti.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.