Così come già affermato dalla Consulta con la sentenza n. 54/2022, la prestazione non può essere limitata ai soli stranieri titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo.
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Milano confermava l'ordinanza di primo grado che ha ritenuto discriminatoria la condotta tenuta dall'INPS di diniego a (omissis) cittadina tunisina titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro e residente in Italia, dell'assegno di natalità previsto dall'art.t, co.125, L. n.190/14 in difetto del requisito della titolarità di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'art.9 d. lgs. n.286/98. Secondo la Corte, l'assegno di natalità era da considerarsi prestazione assistenziale e dunque rientrante nelle prestazioni di sicurezza sociale definite dal regolamento CE n. 883/04, che devono essere garantite, in forza dell'art.12 direttiva n.2011/98/UE, ai lavoratori menzionati al paragrafo 1, lettere b) e c) della stessa, tra cui i cittadini dei Paesi terzi ammessi in uno Stato membro per motivi di lavoro.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l'INPS affidato ad un unico motivo.
(omissis) è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso, l'Inps deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1, commi da 125 a 129, L. n. 190/14 e connesso d.P.C.M. del 27.2.15, degli artt.4 bis, co.1 bis, 5, co.8.1 e 8.2, 9, co.12, lett. c), 43 e 44 del d. lgs. n.286/1998, anche in relazione all'art.12 delle Disposizioni sulla legge in generale, all'art.12 direttiva 2011/98/UE (recepita con il D.lgs. n. 40 del 2014) ed all'art.3 regolamento CE n. 883/2004, per avere la Corte di Appello di Milano riconosciuto il diritto della controricorrente, cittadina extracomunitaria titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro ma priva del permesso di soggiorno di lungo periodo, a percepire, in relazione alla nascita del figlio, le somme maturate a titolo di assegno di natalità previsto ai sensi dell'art. 1, commi da 125 a 129, della legge n. 190 del 2014 pur in assenza di una previsione specifica in tal senso e definendo discriminatoria la condotta dell'INPS.
Il motivo è infondato.
Il ricorso è incentrato sull'argomento per cui l'assegno di natalità di cui all'art. co.125 L. n.190/14 non sia da considerare quale prestazione di carattere assistenziale rientrante nel novero delle prestazioni di sicurezza sociale definite nel regolamento CE n.883/04.
Questa Corte, con ordinanza, tra le altre, n.16171/19, ha sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, co.125 L. n.190/14, nel testo vigente all'epoca e applicabile ratione temporis al presente giudizio, in relazione agli artt. 3, 31, 117, co.1 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
La Corte Costituzionale, investita del giudizio di legittimità costituzionale, ha rinviato pregiudizialmente alla Corte di Giustizia dell'Unione europea la questione della compatibilità dell'art. 1, co.125, L. n.190/14 con il regolamento CE n.883/04 e con la direttiva n.98/11. La Corte di Giustizia, con sentenza del 2.9.2020, causa C-350/20, ha concluso per la contrarietà della norma nazionale alle citate fonti comunitarie secondarie. La Corte Costituzionale, con sentenza n.54/22, per quel che qui rileva, ha poi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, co.125, L. n.190/14, nella formulazione antecedente all'entrata in vigore dell'art. 3, co.4, L. n.238/21, nella parte in cui esclude dalla concessione dell'assegno di natalità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell'Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento del Consiglio CE n.1030/2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi.
La tesi dell'INPS, secondo cui l'assegno di natalità, non rientrerebbe nel novero delle prestazioni di sicurezza sociale di cui al regolamento CEE n.883/04 è stata smentita dalla predetta sentenza della CGUE C-350/20, ove viene invece affermato che l'assegno di natalità rientra tra le prestazioni familiari di cui all'art. 3, paragrafo 1, lett. j) regolamento CE n.883/04.
Esso deve allora essere attribuito, in base all'art.12, paragrafo 1 lett. e) direttiva n.98/11, a parità di condizioni con i cittadini italiani, anche ai cittadini residenti in paesi terzi residenti in Italia ai sensi dell'art.3, paragrafo 1, lettere b), c) della stessa direttiva. In particolare, secondo la lettera c) il diritto spetta, come è nel caso di specie, ai cittadini di Paesi terzi soggiornanti in Italia per motivi di lavoro.
L'art.1, co.125 L. n.190/14, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate con L. n.238/21, ovvero la formulazione rilevante in questo giudizio, limitava invece il diritto all'assegno di invalidità ai soli stranieri muniti di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, in luogo del solo permesso per motivi di lavoro, incluso nel campo applicativo dell'art.3, paragrafo 1, lett. c) direttiva n.98/11.
Dal canto suo, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 54/22, ha riconosciuto che la limitazione della prestazione in capo ai soli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo è discriminatoria e irragionevole, e ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.1, co.125 L. 190/14 nella parte in cui esclude la concessione dell'assegno di natalità ai cittadini di Paesi terzi soggiornanti nello Stato per motivi di lavoro.
Nel caso di specie è pacifico che la controricorrente sia titolare di permesso unico di lavoro, e in particolare di un permesso per motivi di lavoro, attività lavorativa (art.5 d. lgs. n.286/98), secondo quanto bastevole per l'art.3, paragrafo 1, lett. c) direttiva CEE n.98/11, sicché ella, correggendo in ciò la motivazione della pronuncia impugnata, deve fruire dell'assegno di natalità, in base al testo dell'art.1, co.125 L. n.190/14 conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale della Corte, la quale opera dal giorno successivo alla sua pubblicazione (art.136, co.1 Cost.) e ha efficacia riguardo a tutti i processi pendenti aventi ad oggetto situazioni giuridiche non esaurite ed intangibili (v. Cass.3337/72).
Il ricorso va dunque respinto.
Nulla sulle spese del presente giudizio essendo la parte vittoriosa rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.