Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe indicata, in riforma della decisione del Tribunale di Arezzo, ha rigettato la domanda di S. E. – cittadina marocchina – nei confronti dell’INPS e del Comune di (omissis) diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto all’assegno di maternità ex artt. 66 legge n. 448/98 e 74 d.lgs. n. 151/2001.
2. Riteneva la Corte territoriale che S. E. non potesse accedere alla provvidenza richiesta perché priva della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno di lungo periodo) e che l’art. 80, comma 19, legge n. 388 del 2000 (secondo cui l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali possono essere concessi anche agli stranieri in possesso della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) fosse applicabile all’assegno di maternità in questione, che non costituiva una prestazione presupponente gravi situazioni di necessità ove fosse in pericolo la stessa sopravvivenza del richiedente, ma fosse da ricondurre nell’ambito delle misure tese a ridurre un disagio economico.
3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso S. E. affidato ad un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria.
4. L’ INPS resiste con controricorso, il Comune di (omissis) è rimasto intimato.
5. All’esito dell’udienza pubblica del 2.4.2019, con ordinanza interlocutoria n.16167/2019, questa Corte ha ritenuto che la questione prospettata richiedesse lo scrutinio di legittimità costituzionale dell'art. 74, legge n. 151 del 2001, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost., e all’art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.
6. In seguito a rinvio pregiudiziale conclusosi con provvedimento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2.9.2021 (causa C-350/20), la Corte costituzionale, con sentenza n. 54 del 2022, per quel che qui rileva, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 74 del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 3, comma 3, lettera a), della legge n. 238 del 2021, nella parte in cui esclude dalla concessione dell’assegno di maternità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002.
Motivi della decisione
7. Con l’unico motivo di ricorso si deduce difetto di motivazione e violazione degli artt. 3, 31, 117 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto inammissibile una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 74 d.lgs. 151/2001 e ha parimenti ritenuto manifestatamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della norma stessa.
8. Il ricorso è da accogliere all’esito del “dialogo” tra Corti, nazionali e sovranazionali, come già delineato nella premessa in fatto.
9. La valutazione complessiva del Giudice delle leggi attiene, prima ancora che alla contrarietà al diritto derivato, alla irragionevolezza della esclusione, secondo un percorso logico-giuridico del tutto consolidato nella giurisprudenza della Corte stessa; nel quale, quindi, il diritto dell’Unione è utilizzato come uno dei parametri che concorrono alla valutazione di ragionevolezza della esclusione, ma non delimita esattamente i confini della parità di trattamento nei termini in cui la Carta Costituzionale la impone.
10. In particolare, al paragrafo 13.3. della motivazione di Corte cost. n.54 del 2022 cit. si legge: “Il legislatore ha fissato requisiti privi di ogni attinenza con lo stato di bisogno che le prestazioni in esame si prefiggono di fronteggiare. Nell’introdurre presupposti reddituali stringenti per il riconoscimento di misure di sostegno alle famiglie più bisognose, le disposizioni censurate istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione. Un siffatto criterio selettivo nega adeguata tutela a coloro che siano legittimamente presenti sul territorio nazionale e siano tuttavia sprovvisti dei requisiti di reddito prescritti per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Un sistema così congegnato pregiudica proprio i lavoratori che versano in condizioni di bisogno più pressante”.
11. Sulla base di tali premesse, il paragrafo 11 della citata sentenza n. 54 del 2022 ha affermato che: “Le questioni sollevate dalla Corte di cassazione sono fondate, in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 34 CDFUE, così come concretizzato dal diritto europeo secondario”.
12. La dichiarazione di incostituzionalità non è, dunque, limitata al contrasto con la direttiva, ma ha portata più ampia e comporta che il criterio selettivo individuato dal legislatore, in quanto irragionevole e in contrasto con gli artt. 3 e 31 Cost., non possa più trovare applicazione, né alle situazioni regolate dalla direttiva 2011/98, né alle situazioni che, per ragione temporali, si sottraggono alla disciplina della direttiva (nel ricorso all’esame la vicenda si è svolta tutta prima della scadenza del termine ultimo di recepimento della direttiva).
13. Nel dispositivo della sentenza non si rinviene alcun riferimento al “permesso unico lavoro” in senso tecnico (ai titolari del quale l’art. 12 direttiva 211/98 garantisce la parità di trattamento nelle prestazioni familiari e di maternità) ma si evince solo il riferimento alle condizioni sostanziali per il rilascio dello stesso, cioè aver fatto ingresso per motivi di lavoro o essere titolari di un permesso che consente di lavorare, criterio di collegamento con il territorio ritenuto dalla Corte adeguato e ragionevole per garantire la parità di trattamento, senza la necessità che tale criterio sia imposto direttamente dal diritto dell’Unione.
14. La Corte Costituzionale, invero, pur dopo aver interpellato la Corte UE, con riferimento alla direttiva 2011/98, ha potuto dichiarare l’incostituzionalità della norma anche con riferimento a fattispecie che non trovava nella direttiva la relativa disciplina.
15. In conclusione, la norma di diritto interno che aveva determinato l’esclusione della ricorrente dal beneficio preteso è stata rimossa dall’ordinamento in favore di tutti i titolari di uno dei permessi indicati nel dispositivo della sentenza n. 54 cit. e detta rimozione deve trovare applicazione a tutte le situazioni non esaurite, tra le quali certamente rientra anche la signora E., titolare all’epoca della domanda di un permesso di soggiorno per motivi familiari (e che ha poi conseguito il permesso di lungo periodo) con diritto, dunque, all’assegno di maternità in quanto titolare di uno dei permessi di soggiorno indicati nel dispositivo della sentenza 54/2022 cit.
16. In definitiva il ricorso va accolto e, per essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va rinviata alla stessa Corte d’appello, in diversa composizione, alla quale è demandata anche la regolazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.