Sbaglia il Tribunale di sorveglianza a negare tale diritto sul rilievo che la moglie e la figlia, anche esse detenute, avrebbero potuto fruire di permessi premio per raggiungere il proprio familiare.
Il Tribunale di sorveglianza milanese accoglieva il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza aveva consentito all'attuale ricorrente, detenuto in regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., di effettuare mediante video-chiamata il colloquio mensile in luogo del colloquio in presenza con la moglie...
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano accoglieva il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria avverso il provvedimento del 9 luglio 2021, con il quale il Magistrato di sorveglianza della stessa sede aveva consentito a C.F., detenuto presso la Casa di Reclusione di Opera in regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., di effettuare mediante video-chiamata il colloquio mensile cui egli aveva diritto ai sensi dell'art. 41-bis, comma 2- quater, lett. b), Ord. pen., in luogo del colloquio in presenza con la moglie e la figlia, entrambe detenute.
A ragione della decisione osservava che non risultava che il condannato fosse stato nell'impossibilità di svolgere i colloqui in presenza con i detenuti congiunti e che, comunque, il stato detentivo non era di per sé impeditivo della possibilità di effettuare colloqui con congiunti ristretti in regime di cui all'art. 41-bis Ord. pen. "posto che potrebbe anche accadere, per esempio, che al congiunto detenuto venga concesso permesso premio per accedere all'Istituto ove si trova il condannato in regime di art. 41-bis Ord. pen.".
Non risultava, quindi, per il Tribunale, dimostrata la ricorrenza dell'assoluta eccezionalità capace di giustificare la possibilità di video-colloqui.
2. L'interessato, per il tramite del difensore, ha proposto ricorso denunciando l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 41-bis, comma 2-quater, Ord. pen., con diffusi richiami alla giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sul tema; stigmatizzando, inoltre, l'incongruenza dell'astratto riferimento ai permessi premio di cui avrebbero potuto fruire moglie e figlia, anch'esse detenute, come strumento sostitutivo del diritto di esso ricorrente allo svolgimento dei richiesti colloqui.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
2. Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, i «colloqui visivi» costituiscono un fondamentale diritto del detenuto alla vita familiare e al mantenimento di relazioni con i più stretti congiunti, riconosciuto da numerose disposizioni dell'ordinamento penitenziario, quali gli artt. 28 Ord. pen., secondo cui «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare, o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;18, comma 3, che riconosce «particolare favore (... ) ai colloqui con i familiari»; 1, comma 6, e 15 Ord. pen. (che collocano i colloqui nel trattamento, attribuendo loro rilevanza anche ai fini dell'attività di recupero e rieducazione del condannato); 61, comma 2, lett. a), e 73, comma 3, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, che contemplano, rispettivamente, la possibilità di "concedere 2 colloqui oltre quelli previsti dall'articolo 37" e il mantenimento del diritto ai colloqui con i familiari anche in caso di sottoposizione del detenuto alla sanzione disciplinare dell'isolamento con esclusione dalle attività in comune (cfr. Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, in motivazione; Sez. 1, n. 47326 del 29/11/2011, Panaro, Rv. 251419; Sez. 1, n. 33032 del 18/4/2011, Solazzo, Rv. 250819; Sez. 1, n. 27344 del 28/5/2003, Emmanuello, Rv. 225011; Sez. 1, n. 22573 del 15/5/2002, Valenti, Rv. 221623; Sez. 1, n. 21291 del 3/5/2002, Floridia, Rv. 221688).
Un diritto che, peraltro, presenta un saldo radicamento sul piano costituzionale (cfr. gli artt. 29, 30 e 31 Cost. posti a tutela della famiglia e dei suoi componenti) e convenzionale (v. l'art. 8, Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare ... », sicché le limitazioni all'esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e dçlle libertà altrui).
2.1. Ne consegue che il diritto ai colloqui è pacificamente riconosciuto anche ai ristretti sottoposti al regime differenziato dell'art. 41-bis Ord. pen., ai quali si applicano disposizioni restrittive in relazione al numero dei colloqui e alle relative modalità di svolgimento, senza che però possa impedirsi al detenuto di accedervi.
Così, l'art. 41-bis Orci. pen. prevede, al comma 2-quater, lett. b), che esso sia svolto in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e che, in caso di mancata effettuazione di colloqui personali, possa essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto, solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di 10 minuti, sottoposto, comunque, a registrazione.
Dunque, come già per i detenuti ordinari, anche per quelli sottoposti al regime differenziato la legge penitenziaria e il relativo regolamento di esecuzione stabiliscono che i contatti con i familiari si realizzino secondo due modalità fondamentali: in presenza degli interlocutori o con il mezzo del telefono.
3. Tuttavia, l'evoluzione tecnologica ha reso possibili nuove forme di comunicazione a distanza, consentendo, per quanto qui di interesse, il ricorso a modalità di collegamento audio e video suscettibili di riprodurre, accanto alla voce dei conversanti, anche la loro immagine (cd. videochiamate).
3.1. Di fronte a tali novità tecnologiche, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha assunto posizioni non univoche, talvolta ammettendo anche per i detenuti sottoposti al regime differenziato i colloqui visivi con i familiari mediante forme di comunicazione a distanza (Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 2015, Trigila, Rv. 262417), talaltra accedendo alla soluzione negativa, in ragione della mancanza di un'espressa disciplina normativa che individuasse i presupposti della comunicazione a distanza e che dettasse una specifica regolamentazione delle modalità esecutive e delle relative coperture di spesa (Sez. 1, n. 16557 del 22/3/2019, CC Sassari, Rv. 275669).
3.2. Secondo la stessa Amministrazione penitenziaria le forme di comunicazione a distanza devono essere, comunque, ricondotte nell'alveo dei «colloqui visivi», dei quali condividono qualificazione giuridica e modalità esecutive, secondo quanto stabilito, per i detenuti inseriti nel circuito della c.d. «media sicurezza», dalla circolare DAP del 30 gennaio 2019, n. 0031246U, che ha emanato delle linee-guida rivolte a tutte le direzioni degli istituti penitenziari, con un manuale tecnico-operativo per agevolare la procedura telematica di videochiamata tramite la piattaforma Skype for business.
3.3. Ne consegue che, per i detenuti sottoposti al regime ordinario, la relativa disciplina
- per quanto riguarda l'individuazione degli organi competenti all'autorizzazione, il numero e la durata dei collegamenti audio-visivi, nonché le modalità di controllo - è stata individuata in quella dettata dagli artt. 18 Ord. pen. e 37 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (c.d. regolamento di esecuzione dell'ordina mento penitenziario).
La possibilità di consentire il ricorso, da parte dei detenuti, a questa particolare forma di comunicazione è stata condivisibilmente giustificata dall'Amministrazione penitenziaria con l'esigenza di «facilitare le relazioni familiari nelle strutture penitenziarie». È, infatti, notorio che assai frequentemente i congiunti del detenuto si trovino nella impossibilità di effettuare i colloqui in ragione della distanza dal luogo in cui quest'ultimo è ristretto; sicché tale innovativa forma di comunicazione è stata individuata, dalla stessa Amministrazione, come un rilevante strumento per garantire l'effettività del diritto in questione.
4. Le considerazioni che precedono segnalano, perciò, da un lato, l'esistenza di un diritto alla realizzazione d I colloquio e, dall'altro, si inseriscono nel contesto di una disciplina, certamente più restrittiva, disegnata per i detenuti sottoposti al regime differenziato, che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto compatibile con la Carta fondamentale nei limiti in cui le deroghe al regime ordinario siano strettamente connesse a non altrimenti gestibili esigenze di ordine e di sicurezza (v. Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 376), atteso che, diversamente, le misure derogatorie del regime ordinario acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale (così Corte cost., 14 ottobre 1996, n. 351 e, più recentemente, Corte cost., 5 maggio 2020, n. 97).
E sulla stessa lunghezza d'onda, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che
«quella della congruità tra misura e scopo costituisce una declinazione del principio di proporzione, rispetto al quale la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo richiede che le misure incidenti sulle libertà riconosciute dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo debbano, per poter essere considerate legittime, perseguire un fine legittimo; essere idonee rispetto all'obiettivo di tutela; risultare necessarie, non potendo essere disposte misure meno restrittive e parimenti idonee al conseguimento dello scopo; non realizzare un sacrificio eccessivo del diritto compresso» (Sez. 1, n. 43:36 del 29/5/2019, Gallucci, non miata).
4.1. Con riguardo alle esigenze di ordine e di sicurezza, nei richiamati arresti si è ripetutamente evidenziato che la videochiamata, utilizzando la rete Intranet del Ministero della giustizia, soddisfa dette esigenze, trattandosi di modalità validata tecnicamente dal Servizio Informatico Penitenziario della Direzione Generale del Personale e delle Risorse del D.A.P. e dalla DGSIA (cfr. pag. 2 Circolare della DGDT del 30 gennaio 2019 n. 0031246.U).
Si è, inoltre, sottolineato che, per quanto attiene alle problematiche di documentazione della conversazione a distanza, la videochiamata può essere notoriamente registrata attraverso l'applicazione indicata nella richiamata circolare del DA_P (Skype for business) o altra equivalente, venendo generato un file temporaneo che, collocato in una cartella presente sul computer utilizzato per la comunicazione, può essere successivamente masterizzato e custodito (per essere poi inviato, a richiesta, alla Direzione Distrettuale Antimafia o ad altra autorità giudiziaria che dovesse avere la necessità di accedere alla comunicazione).
Ancora, si è rilevato che le importantissime esigenze di controllo sulle modalità di svolgimento della conversazione possono essere soddisfatte, come per i detenuti della media sicurezza, attraverso l'esercizio della vigilanza "da remoto" da parte dell'operatore penitenziario, il quale, in caso di comportamenti non consentiti, potrebbe interrompere immediatamente la chiamata.
Infine, sempre secondo le regole previste dalla circolare del 30 gennaio 2019, n. 0031246U con riferimento alle videochiamate effettuate dai detenuti inseriti nel circuito della c.d. «media sicurezza», si è posto in risalto che potrebbe essere effettuata la contabilizzazione delle chiamate eseguite dai detenuti sottoposti al regime differenziato, sicché, anche su tale piano, non vi sarebbe alcuna specifica controindicazione.
5. Nel caso di specie, il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi ripetutamente enunciati da questa Corte e prima sintetizzati, accogliendo il reclamo dell'Amministrazione senza considerare che la condizione di detenuto (nella specie vissuta da moglie e figlia del ricorrente, rispettivamente presso le carceri di Lecce e Piacenza) - contrariamente a quanto affermato, in modo del tutto apodittico, dal giudice a quo - determina, di per sé, l'impossibilità di accedere a un colloquio in presenza con altro familiare detenuto, tra l'altro sottoposto, come nel caso del F., al regime differenziato di cui all'art. 41-bis Ord. pen.; né può ritenersi appagante, sul piano della logica, il riferimento, operato dal giudice di merito, alla possibilità, per le due congiunte del ricorrente, di fruire di permessi premio utili a raggiungere il proprio familiare, trattandosi di una mera eventualità futura e incerta, oltretutto soggetta a valutazione discrezionale del Magistrato di sorveglianza.
Deve, quindi, ribadirsi il principio affermato da Sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, dep. 19/2/2015, Trigila, Rv. 262417, secondo il quale "La sottoposizione al regime carcerario differenziato di un detenuto non esclude, in via di principio, che lo stesso possa essere autorizzato ad avere colloqui visivi con altro detenuto sottoposto al regime dell'art. 41-bis ord. pen. legato a questo da rapporti genitoriali o familiari, mediante forme di comunicazione controllabili a distanza (come la videoconferenza), tali da consentire la coltivazione della relazione parentale e, allo stesso tempo, da impedire il compimento di comportamenti fra presenti, idonei a generare pericolo per la sicurezza interna dell'istituto o per quella pubblica".
Tale principio è stato, in seguito, riaffermato anche con riguardo al caso di colloquio in video-conferenza tra detenuto sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis Ord. pen. e la moglie sottoposta a misura di prevenzione (Sez. 1, n. 23819 del 22/6/2020, Ministero della Giustizia c. Madonia, Rv. 279577).
6. Per le esposte considerazioni, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Milano, che si atterrà ai principi enunciati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Milano.