Il TAR Umbria ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 103, commi 4, 5 e 6, del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, in relazione agli artt. 3, 10, 35,76,97 e 113 Costituzione.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. – Le circostanze di fatto
1.1 – In data -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS-, in qualità di legale rappresentante della società cooperativa sociale “-OMISSIS-” con sede in Perugia, presentava nell’interesse del cittadino -OMISSIS- sig. -OMISSIS- istanza di emersione dal lavoro irregolare ai sensi dell’art. 103, c. 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.
Risulta dalla documentazione agli atti del giudizio che la suddetta società cooperativa inviava all’Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro (ARPAL) dell’Umbria la comunicazione di assunzione del sig. -OMISSIS- come -OMISSIS- con contratto di lavoro a tempo determinato, come da relativa ricevuta del -OMISSIS-.
Il sig. -OMISSIS- riceveva il pagamento della retribuzione relativa ai mesi di -OMISSIS-, come attestato dalle buste paga depositate in atti.
Il legale rappresentante della società datrice di lavoro si sarebbe poi reso irreperibile ed inadempiente rispetto al pagamento della retribuzione relativa al mese di -OMISSIS-, tanto da indurre il sig. -OMISSIS- a rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, come risulta dalla richiesta di intervento sottoscritta davanti al funzionario dell’Ispettorato il -OMISSIS-.
1.2. – Con provvedimento del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, lo Sportello unico per l’immigrazione di Perugia rigettava l’istanza di emersione sulla base del parere non favorevole dell’Ispettorato territoriale del lavoro motivato dal rilievo che «i redditi certificati risultano inferiori rispetto al parametro di legge (ex art. 9, comma 2, decreto interministeriale del 29.05.2020, in attuazione del d.l. n. 34/2020; cfr. circ. congiunta Min. Interno M.L.P.S. n. prot. n. 1395 del 20.05.2020) previsto per accogliere l’istanza di emersione in oggetto, tenuto anche conto del personale in forza».
1.3. – Con ricorso n. -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- impugnava dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il suddetto provvedimento e ne chiedeva l’annullamento, previa sospensione cautelare.
1.4. – Con ordinanza n. -OMISSIS-, resa nel ricorso di cui al punto che precede, questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare ai fini della verifica, da parte dell’Amministrazione intimata, delle condizioni per l’emissione di un permesso di soggiorno per attesa occupazione alla luce delle circolari ministeriali emanate in materia.
1.5. – Con atto del -OMISSIS-, la Prefettura di Perugia annullava in autotutela il provvedimento impugnato e disponeva il riavvio del procedimento amministrativo e la riapertura dell’istruttoria.
1.6. – Di conseguenza, con sentenza del -OMISSIS- questo Tribunale dichiarava l’improcedibilità del ricorso n. -OMISSIS- proposto dal sig. -OMISSIS-.
1.7. – Con provvedimento del -OMISSIS-, lo Sportello unico per l’immigrazione di Perugia concludeva il procedimento come sopra riavviato confermando il rigetto dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare presentata in favore del sig. -OMISSIS-.
Il nuovo diniego era motivato sulla base dei seguenti elementi:
- la conferma, da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro, con nota del -OMISSIS-, del parere precedentemente espresso, in considerazione della «mancanza di capacità economica idonea all’assunzione di tutti e 18 i lavoratori» per i quali era stata avanzata la richiesta di emersione;
- la considerazione della possibilità del rilascio di un titolo di soggiorno per attesa occupazione solo condizionatamente all’acquisizione del parere positivo dell’Ispettorato del lavoro, secondo quanto previsto dal comma 15 dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020;
- la circolare del Ministero dell’Interno n. 3020 del 21.04.2021, secondo la quale «nel caso in cui il datore di lavoro non abbia né l’intenzione di voler prorogare il rapporto, né di voler nuovamente assumere il lavoratore, il predetto Dipartimento non ritiene possibile rilasciare un permesso di soggiorno per attesa occupazione»;
- la circolare del Ministero dell’Interno e del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 2399 del 24.07.2020, che, nel disciplinare le ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro per causa di forza maggiore, stabilisce che «[r]ientrano in tale ipotesi il caso di decesso dell’assistito o del datore di lavoro (per i settori di cui all’art. 103, comma 3, lett. b e c) o quello della cessazione o fallimento dell’azienda (per i settori di cui all’art. 103, comma 3, lett. a). Nei casi di interruzione del rapporto di lavoro per sopravvenuta causa di forza maggiore, è consentito il subentro di un componente del nucleo familiare del defunto o di un altro datore di lavoro, eventualmente anche modificando il rapporto di lavoro, purché si resti nell’ambito dei settori previsti dall’articolo 103, comma 3, e sussistano gli altri requisiti previsti dalla norma», tra cui quelli relativi alla capacità reddituale in capo al datore di lavoro;
- la circolare del Ministero dell’Interno n. 4623 del 17.11.2020, secondo la quale «[a]l lavoratore, vista l’interruzione del rapporto di lavoro, potrà essere rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione, previa una valutazione da parte degli Sportelli Unici volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente, proprio per far ottenere al cittadino straniero il permesso di soggiorno» così confermando l’indefettibilità del requisito reddituale ai fini del rilascio anche del permesso per attesa occupazione;
- la circolare del Ministero dell’Interno n. 3625 del 11.05.2021, che, nel confermare la possibilità del rilascio di un permesso per attesa occupazione laddove non sia possibile il subentro di un diverso datore di lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, ribadisce la necessità degli «opportuni accertamenti ai fini di una valutazione volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente e che il rapporto di lavoro si sia instaurato in modo fittizio», stabilendo che è comunque «necessario procedere alla convocazione presso lo Sportello sia del datore di lavoro che aveva avanzato istanza di emersione che del lavoratore per il perfezionamento della procedura di sottoscrizione del contratto relativo al rapporto di lavoro cessato», con conferma, seppur implicita, della indispensabilità del possesso da parte del datore di lavoro dei requisiti, anche reddituali, richiesti ai fini della procedura di emersione;
- la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. III, 17 dicembre 2021, n. 8422) restrittiva in relazione alla possibilità del rilascio di un permesso per attesa occupazione, atteso che la disciplina della emersione di rapporti lavoro irregolari dettata dall’art. 103 del d.l. n. 34/2020, a differenza di quella di cui all’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109/2012, limita l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998 al solo caso di “cessazione” del rapporto di lavoro e non contempla la possibilità di rilasciare il permesso in esame nel diverso caso in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili al solo datore di lavoro, con il corollario che il carattere eccezionale della disciplina de qua, derogatoria di quella ordinaria, impone un’applicazione restrittiva, nel rispetto dei casi e dei tempi in essa contemplati (anche TAR Campania, Napoli, sez. IV, 25 marzo 2022, n. 2026; TAR Toscana, sez. II, 14 gennaio 2022, n. 15; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 4 novembre 2021, n. 2424);
- la considerazione, in conclusione, che alla luce della normativa vigente, della recente giurisprudenza in merito e delle circolari ministeriali sopra richiamate, non possono ritenersi sussistenti i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione nel caso in cui il datore di lavoro che ha presentato istanza di emersione da lavoro irregolare risulti privo dei requisiti reddituali richiesti.
2. – Lo svolgimento del processo
2.1. – Con il ricorso oggi in esame, notificato il -OMISSIS- e depositato il -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale il provvedimento da ultimo citato e ne ha chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare.
A sostegno del gravame il ricorrente ha articolato i motivi di seguito sintetizzati.
Con i primi due motivi di ricorso, il sig. -OMISSIS- ha denunciato l’eccesso di potere per errata e travisata o comunque incompleta valutazione dei fatti e per contraddittorietà ed illogicità della motivazione, deducendo che l’Amministrazione avrebbe posto a fondamento del diniego impugnato l’insussistenza del requisito della previa instaurazione del rapporto di lavoro, nonostante nella motivazione del medesimo provvedimento si darebbe conto degli accertamenti ispettivi compiuti dal Nucleo dei Carabinieri dell’Ispettorato territoriale del lavoro, dai quali si evincerebbe l’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa del ricorrente.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 e dell’art. 22 del d.lgs. n. 286/1998 e l’eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici, deducendo che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per il mancato rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, dovendo applicarsi la disposizione di cui all’art. 103, c. 4, del d.l. n. 34/2020 (secondo la quale «se il rapporto di lavoro cessa, anche nel caso di contratto a carattere stagionale, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 22, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, al fine dello svolgimento di ulteriore attività lavorativa») quale che sia il motivo della cessazione del rapporto di lavoro e senza che debba necessariamente ricorrere una causa di forza maggiore, il decesso del datore di lavoro o il fallimento dell’azienda, come invece richiesto dalla circolare n. 4623 del 2020.
Con il quarto motivo è denunziata la perplessità dell’azione amministrativa: secondo il ricorrente, il nuovo provvedimento, successivo all’annullamento d’ufficio del precedente diniego disposto dall’Amministrazione, sarebbe stato emesso sulla base di valutazioni pienamente sovrapponibili a quelle già svolte, eludendo l’ordinanza cautelare emessa da questo Tribunale, che esigeva la verifica delle condizioni per l’emissione di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Con il quinto ed ultimo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 per omessa comunicazione al lavoratore dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di emersione o di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.
2.2. – Il Ministero intimato si è costituito in giudizio per resistere al ricorso sostenendo la correttezza del proprio operato.
2.3. – Con ordinanza del -OMISSIS- questo Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, le esigenze cautelari del ricorrente potessero essere adeguatamente soddisfatte mediante la fissazione della discussione del merito ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm. ed ha provveduto di conseguenza.
2.4. – All’udienza pubblica del 24 gennaio 2023, viste le conclusioni delle parti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
3. – I presupposti processuali e le condizioni dell’azione del giudizio a quo
3.1. – Secondo la giurisprudenza costituzionale, la verifica della sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione compete al giudice rimettente. I presupposti processuali, infatti, sono oggetto del giudizio di rilevanza dell’incidente di costituzionalità e, ove la loro ritenuta sussistenza sia sorretta da una motivazione non implausibile, non sono suscettibili di riesame (ex plurimis Corte cost. n. 262 del 2015; n. 200 del 2014).
3.2. – Ciò premesso, il Collegio ritiene che la questione oggetto della presente ordinanza rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Con il ricorso di cui trattasi, infatti, è stata esercitata, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione di annullamento, per violazione di legge ed eccesso di potere, di un provvedimento amministrativo di rigetto dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare. Detta azione è riservata alla cognizione del giudice amministrativo in quanto rivolta avverso un provvedimento rispetto al quali il cittadino straniero è titolare di una posizione di interesse legittimo. Nessuna eccezione in rito è stata sollevata dall’Amministrazione resistente.
Il ricorso, stante la ritualità della notifica e, più in generale, il rispetto dei termini processuali, è da ritenersi ammissibile.
4. – Il quadro normativo di riferimento
4.1. – Per quanto di rilievo ai fini della decisione, si riporta l’art. 103 del d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77/2020, in materia di “Emersione di rapporti di lavoro”, nel testo vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato.
«1. Al fine di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da -COVID-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, possono presentare istanza, con le modalità di cui ai commi 4, 5, 6 e 7, per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri. A tal fine, i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 ovvero devono aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici; in entrambi i casi, i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020.
[omissis].
3. Le disposizioni di cui al presente articolo, si applicano ai seguenti settori di attività:
a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;
b) assistenza alla persona per il datore di lavoro o per componenti della sua famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;
c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
4. Nell’istanza di cui al comma 1 sono indicate la durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta, non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, se il rapporto di lavoro cessa, anche nel caso di contratto a carattere stagionale, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, al fine dello svolgimento di ulteriore attività lavorativa.
5. Le istanze di cui ai commi 1 e 2 sono presentate dal 1° giugno 2020 al 15 agosto 2020, con le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali da adottarsi entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso:
a) l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per i lavoratori italiani o per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea;
b) lo sportello unico per l’immigrazione, di cui all’art. 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni per i lavoratori stranieri, di cui al comma 1;
c) la Questura per il rilascio dei permessi di soggiorno, di cui al comma 2.
6. Con il medesimo decreto di cui al comma 5 sono altresì stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per l’instaurazione del rapporto di lavoro, la documentazione idonea a comprovare l’attività lavorativa di cui al comma 16 nonché le modalità di dettaglio di svolgimento del procedimento. Nelle more della definizione dei procedimenti di cui ai commi 1 e 2 la presentazione delle istanze consente lo svolgimento dell’attività lavorativa; nell’ipotesi di cui al comma 1 il cittadino straniero svolge l’attività di lavoro esclusivamente alle dipendenze del datore di lavoro che ha presentato l’istanza.
[omissis].
15. Lo sportello unico per l’immigrazione, verificata l’ammissibilità della dichiarazione di cui al comma 1 e acquisito il parere della questura sull’insussistenza di motivi ostativi all’accesso alle procedure ovvero al rilascio del permesso di soggiorno, nonché il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro in ordine alla capacità economica del datore di lavoro e alla congruità delle condizioni di lavoro applicate, convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l’archiviazione del procedimento.
[omissis]».
4.2. – Con decreto ministeriale del 27 maggio 2020, emanato in attuazione dei commi 5 e 6 dell’art. 103, sono state definite le modalità di presentazione dell’istanza di emersione di rapporti di lavoro.
L’art. 9 del decreto, dedicato ai “Requisiti reddituali del datore di lavoro”, stabilisce quanto segue.
«1. L’ammissione alla procedura di emersione è condizionata all’attestazione del possesso, da parte del datore di lavoro persona fisica, ente o società, di un reddito imponibile o di un fatturato risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio precedente non inferiore a 30.000,00 euro annui, salvo quanto previsto al comma 2.
2. Per la dichiarazione di emersione di un lavoratore addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare o all’assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza, il reddito imponibile del datore di lavoro non può essere inferiore a 20.000,00 euro annui in caso di nucleo familiare composto da un solo soggetto percettore di reddito, ovvero non inferiore a 27.000,00 euro annui in caso di nucleo familiare inteso come famiglia anagrafica composta da più soggetti conviventi. Il coniuge ed i parenti entro il secondo grado possono concorrere alla determinazione del reddito anche se non conviventi.
3. Nella valutazione della capacità economica del datore di lavoro può essere presa in considerazione anche la disponibilità di un reddito esente da dichiarazione annuale e/o CU (es: assegno di invalidità). Tale reddito deve comunque essere certificato.
4. In caso di dichiarazione di emersione presentata allo Sportello unico dal medesimo datore di lavoro per più lavoratori, ai fini della sussistenza del requisito reddituale di cui ai commi 1 e 2, la congruità della capacità economica del datore di lavoro in rapporto al numero delle richieste presentate, è valutata dall’Ispettorato territoriale del lavoro, ai sensi del comma 8 dell’art. 30-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, sulla base dei contratti collettivi di lavoro indicati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e delle tabelle del costo medio orario del lavoro emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali adottate ai sensi dell’art. 23, comma 16 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Nel caso in cui la capacità economica del datore di lavoro non risulti congrua in relazione alla totalità delle istanze presentate, le stesse possono essere accolte limitatamente ai lavoratori per i quali, in base all’ordine cronologico di presentazione delle istanze, i requisiti reddituali risultano congrui. Per l’imprenditore agricolo possono essere valutati anche gli indici di capacità economica di tipo analitico risultanti dalla dichiarazione IVA, prendendo in considerazione il volume d’affari al netto degli acquisti, o dalla dichiarazione Irap e i contributi comunitari documentati dagli organismi erogatori.
5. La verifica dei requisiti reddituali di cui al comma 2 non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza, il quale effettua la dichiarazione di emersione per un unico lavoratore addetto alla sua assistenza».
5. – I dubbi di costituzionalità
5.1. – Il Collegio dubita della legittimità costituzionale delle norme contenute nell’art. 103 del d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 77/2020, ritenendole, nei termini che si esporranno, in contrasto con gli artt. 3, 10, 35, 76, 97 e 113 della Costituzione.
5.2. – In sintesi, viene in primo luogo in considerazione la possibile illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 35 Cost., nei sensi che saranno meglio precisati al paragrafo 7, della disposizione di cui al comma 4 dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 nella parte in cui non prevede che l’amministrazione, in caso di esito sfavorevole della procedura di emersione dovuto esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro (quale il mancato possesso del requisito reddituale minimo di cui all’art. 9 del d.m. 27.05.2020), debba rilasciare al lavoratore un permesso di soggiorno per attesa occupazione o un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa – anche sopravvenuta – che l’interessato riesca a comprovare, alle stesse condizioni di cui all’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109/2012.
5.3. – Inoltre, il Collegio esprime il dubbio della legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 10, 76, 97 e 113 Cost., delle disposizioni di cui al comma 6 del medesimo art. 103, rilevante anche ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, nella parte in cui, nel prevedere che con il decreto di cui al comma 5 sono «stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per l'instaurazione del rapporto di lavoro», non indica le norme generali regolatrici della materia, né i principi direttivi o, comunque, una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in merito alle modalità di individuazione del reddito minimo per l’accesso alla procedura di emersione.
6. – La rilevanza della questione di legittimità costituzionale
6.1. – In punto di rilevanza, deve evidenziarsi che il rigetto dell’istanza di emersione presentata nell’interesse del ricorrente è motivato dalla conferma della mancanza di idonea capacità reddituale in capo al datore di lavoro e dalla conseguente ritenuta inaccoglibilità della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.
I primi due motivi di ricorso non appaiono fondati, dal momento che non si ravvisano nella motivazione del provvedimento impugnato gli elementi di contraddittorietà denunziati da parte ricorrente.
Le determinazioni dell’Amministrazione resistente riguardanti l’impossibilità del rilascio del titolo di soggiorno per attesa occupazione costituiscono oggetto del terzo e del quarto motivo di ricorso. Al riguardo si osserva che, qualora i dubbi di costituzionalità espressi da questo Tribunale fossero condivisi dalla Corte costituzionale, l’annullamento delle disposizioni qui in esame determinerebbe una pronuncia favorevole all’odierno ricorrente, dovendo in tal caso l’Amministrazione resistente procedere alla rivalutazione della sua posizione quanto meno al fine di verificare la sussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Il quinto motivo di ricorso (relativo alla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990) appare al Collegio fondato, ma ciò non toglie rilevanza alla questione di legittimità costituzionale, essendo dovere del giudice, in ossequio al principio dell’effettività della tutela (art. 1 cod. proc. amm.), pronunciarsi su tutti i motivi e non fermarsi a quello riguardante un vizio meramente formale o procedimentale, il cui scrutinio in senso favorevole al ricorrente, ove accompagnato dall’assorbimento delle censure relative a vizi di natura sostanziale, lascerebbe comunque l’Amministrazione libera di confermare l’esito finale del procedimento, limitandosi ad emendare il vizio di mera forma rilevato con la sentenza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).
6.2. – Sempre in punto di rilevanza della questione qui sollevata, è necessario evidenziare che, con ordinanza n. 680 del 14 novembre 2022 (reg. ord. n. 149 del 2022, pubbl. su G.U. del 21.12.2022, n. 51), il TAR per le Marche ha sollevato la quesitone di legittimità costituzionale delle stesse disposizioni qui in esame.
Il TAR Marche, però, ha posto la questione di costituzionalità della mancata previsione della possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno per attesa occupazione solo in via subordinata rispetto a quella della omissione, da parte del legislatore primario, dei principi direttivi ai fini della determinazione, con decreto ministeriale, delle soglie minime di reddito in capo al datore di lavoro per l’accesso alla procedura di emersione.
Di conseguenza, nell’esame dell’incidente costituzionalità promosso dal TAR Marche, lo scrutinio della questione della legittimità delle norme che precludono la possibilità del rilascio di un titolo di soggiorno per attesa occupazione, che qui maggiormente interessa, sarà solo eventuale.
Occorre, pertanto, che quest’ultima questione sia specificamente esaminata dalla Corte costituzionale, essendo essa di immediata rilevanza ai fini della definizione del presente giudizio.
7. – La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
7.1. – La catena di rimandi contenuta nelle diverse disposizioni dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 fa sì che la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione in caso di esito sfavorevole del procedimento di emersione sia soggetta a stringenti condizioni, che l’Amministrazione resistente ha ritenuto non sussistenti nel caso che forma oggetto di giudizio.
In particolare, il comma 4 dell’art. 103 stabilisce che, «se il rapporto di lavoro cessa, anche nel caso di contratto a carattere stagionale, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (che consentono al lavoratore straniero che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, di iscriversi nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito, qualora superiore), e ciò «al fine dello svolgimento di ulteriore attività lavorativa».
L’applicazione del citato art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998 è però limitata ai «casi di cui ai commi 1 e 2» dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020.
Per quanto qui interessa, il comma 1 richiede una serie di condizioni relative alla pregressa presenza dello straniero sul territorio dello Stato («i cittadini stranieri devono essere stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 ovvero devono aver soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data, in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68 o di attestazioni costituite da documentazione di data certa proveniente da organismi pubblici; in entrambi i casi, i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020»); inoltre, l’istanza di emersione deve essere finalizzata a concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale o a dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri; infine, l’istanza deve essere presentata «con le modalità di cui ai commi 4, 5, 6 e 7».
Il contenuto dei commi 4, 5 e 6 e del decreto ministeriale di attuazione, con il quale sono state definite le soglie di reddito del datore di lavoro necessarie per l’accesso alla procedura di emersione, è stato riportato sopra al paragrafo 4, dedicato al quadro normativo di riferimento.
7.2. – La giurisprudenza amministrativa che si è confrontata con l’applicazione delle disposizioni adesso all’esame ha interpretato in senso rigoroso le condizioni poste dal legislatore per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione in caso di esito sfavorevole della procedura di emersione.
In particolare, è stato negato (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 25 marzo 2022, n. 2026) che alle fattispecie di emersione ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 possa applicarsi quanto disposto dal comma 11-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 109/2012 (la c.d. “emersione 2012”), che stabilisce, con riferimento alla sanatoria degli stranieri irregolari ivi disciplinata, che «nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l’immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione». Infatti, secondo detta giurisprudenza, a tale ultima previsione – al pari delle norme disciplinanti sanatorie e/o condoni – deve riconoscersi carattere eccezionale e, pertanto, essa non può applicarsi oltre i casi e i tempi da esse considerati. D’altro canto, la mancanza nell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 di una disposizione analoga a quella appena sopra citata e la previsione nel comma 4 dell’articolo 103 della possibilità di concessione del permesso per attesa occupazione solo nel caso di interruzione del rapporto di lavoro, troverebbe la sua giustificazione – oltre che nella circostanza che la “emersione 2020” trova applicazione anche nel caso di datore di lavoro che intenda sottoscrivere un contratto di lavoro con uno straniero (che potrebbe oltretutto essere regolarmente presente nel territorio nazionale e titolare di un permesso di soggiorno che permetta lo svolgimento di attività lavorativa e che non sia convertibile in permesso di soggiorno per lavoro dipendente) – nella volontà del legislatore del 2020 di prevenire facili abusi dello strumento in esame.
Inoltre, dalla normativa e dalle succitate circolari emanate per disciplinare la sanatoria del 2020 dovrebbe desumersi che la titolarità in capo al datore di lavoro di reddito nella misura indicata dall’art. 9 del d.m. 27.05.2020 costituisce un presupposto indefettibile per la definizione in senso positivo della procedura, dato che la titolarità di tali redditi ha la funzione di dimostrare l’effettività e/o sostenibilità del rapporto di lavoro da parte di colui che si afferma datore di lavoro ovvero si propone come tale.
A ciò dovrebbe aggiungersi:
- che la possibilità di rilasciare il permesso per attesa occupazione nel caso di interruzione del rapporto di lavoro prevista dal comma 4 dell’articolo 103 e dalle circolari ha comunque come presupposto una istanza di emersione presentata da un datore di lavoro in possesso dei requisiti richiesti;
- che la circolare del 24.07.2020, nel disciplinare gli effetti della cessazione del rapporto di lavoro “per causa di forza maggiore”, identifica la forza maggiore con la morte dell’assistito o del datore di lavoro (per i settori dell’assistenza ai disabili e del lavoro domestico) e con la cessazione o fallimento dell’azienda (per i settori dell’agricoltura, dell’allevamento e zootecnia e della pesca e acquacoltura e attività connesse) e prevede la possibilità di subentro di altro datore, espressamente subordinandola alla condizione che “sussistano gli altri requisiti previsti dalla norma” (tra cui evidentemente il reddito);
- che solo nel caso in cui il subentro non sia possibile per fatto non dipendente dalla volontà del lavoratore, tale circolare prevede la possibilità di richiedere il permesso per attesa occupazione;
- che la circolare 17.11.2020 conferma la indefettibilità del requisito reddituale ai fini anche del rilascio del permesso per attesa occupazione.
L’art. 103, comma 4, del d.l. n. 34/2020, dunque, a differenza della precedente normativa di cui all’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109/2012, limita la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998 al solo caso di cessazione del rapporto di lavoro e non contempla il diverso caso in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, dato il carattere eccezionale della disciplina, derogatoria di quella ordinaria, che ne impone un’applicazione restrittiva, e la conseguente necessità della sussistenza ab origine delle condizioni poste dall’art. 103 del d.l. n. 34/2020 per il perfezionamento della procedura (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 11 gennaio 2023, n. 224; Cons. Stato, sez. III, 15 settembre 2022, n. 8006; TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 20 ottobre 2022, n. 302; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 15 aprile 2022, n. 2610).
7.3. – Il Collegio dubita che la normativa cui si è fatto riferimento al paragrafo 7.1, nel suo rigore, sia conforme ai canoni costituzionali di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.) ed alle esigenze di tutela costituzionale del lavoro (art. 35 Cost.).
Deve premettersi che la procedura di cui all’art. 103, c. 1, del d.l. n. 34/2020 è stata congegnata dal legislatore non soltanto per la regolarizzazione di rapporti irregolari già in essere ad una certa data («per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri»), ma anche («ovvero») per consentire la regolarizzazione della presenza di cittadini extracomunitari attraverso la stipulazione di contratti di lavoro («per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale»).
Al di là delle diverse finalità perseguite nelle due ipotesi sopra indicate, la distinzione assume specifico rilievo in relazione alle condizioni dell’emersione.
Infatti, laddove il rapporto di lavoro sia ancora da iniziare è certamente necessario che il datore di lavoro dimostri la “sostenibilità” dell’assunzione, mentre, per converso, non viene logicamente in rilievo la possibile fittizietà del rapporto, che ancora deve essere instaurato.
Ma se il rapporto di lavoro è già in essere, in forma irregolare e/o con cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio dello Stato, assume centrale rilievo l’accertamento della sua effettiva esistenza e non fittizietà, essendo la ratio della disciplina quella di fare “emergere” rapporti di lavoro irregolari con cittadini italiani o cittadini stranieri.
7.4. – Quanto sopra considerato, il Tribunale dubita della legittimità costituzionale dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 nella parte in cui il legislatore, a differenza di quanto era accaduto per la c.d. “emersione 2012”, non ha previsto che, laddove il rigetto della dichiarazione di emersione sia dovuta esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro (quale è, con riferimento al caso di specie, il mancato possesso del requisito reddituale minimo di cui all’art. 9 del d.m. 27.05.2020) e per di più laddove il rapporto di lavoro abbia avuto un inizio di esecuzione (con tanto di pagamento delle retribuzioni per alcuni dei mesi pattuiti) ma si sia interrotto per l’inadempimento datoriale, al lavoratore vada comunque rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione o un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa – anche sopravvenuta – che l’interessato riesca a comprovare.
Al riguardo va evidenziato che:
- nel caso dell’emersione del 2012 tale previsione fu introdotta ad opera dell’art. 9, comma 10, del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 (si veda il comma 11-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 109/2012, il quale, per la parte di interesse, dispone che «[n]ei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l’immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione»);
- il Tribunale, in ciò concordando con la giurisprudenza sopra citata, non ritiene che il giudice abbia il potere di introdurre ex officio nell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 una disposizione analoga, sia perché, in generale, non è ammissibile tale opera di creazione pretoria, sia perché la norma in questione non è evincibile dal contesto normativo del 2020, essendo a tale fine eventualmente necessaria una sentenza additiva della Corte costituzionale;
- l’“addizione” della possibilità del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione laddove il rigetto della dichiarazione di emersione ex art. 103 del d.l. n. 34/2020 sia dovuto esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro avrebbe, a parere di questo Tribunale, precisi punti di riferimento normativo già rinvenibili nel sistema legislativo (Corte cost. n. 236 del 2016) e, in particolare, nel citato art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109/2012, come aggiunto dall’art. 9, comma 10, del d.l. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/2013;
- le norme contenute nelle disposizioni da ultimo evocate, non direttamente applicabili alla fattispecie in esame per il carattere di eccezionalità che le connota secondo quanto considerato dalla giurisprudenza sopra citata, costituiscono cionondimeno preciso punto di riferimento normativo – anche quale tertium comparationis – ai fini della valutazione di ragionevolezza della disciplina di cui all’art. 103 del d.l. n. 34/2020, convertito dalla legge n. 77/2020;
- diversamente opinando, laddove il rigetto della dichiarazione di emersione ex art. 103 del d.l. n. 34/2020 fosse dovuta al mancato possesso del requisito reddituale minimo di cui all’art. 9 del d.m. 27.05.2020, per di più in presenza dell’avvio del rapporto di lavoro, il mancato riconoscimento del diritto del lavoratore al rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione o di un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa anche sopravvenuta si tradurrebbe infatti in un irragionevole pregiudizio per il lavoratore determinato esclusivamente da fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro, non essendo il lavoratore straniero in condizione di verificare se il proprio datore di lavoro sia o meno in possesso del requisito reddituale minimo, per cui egli verrebbe a subire (oltretutto in un momento in cui ha accettato di rivelare all’autorità di P.S. la propria posizione di irregolare) le conseguenze sfavorevoli di una vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del datore di lavoro.
7.5. – Sotto altro punto di vista, sempre per quanto di rilievo al fine di escludere la possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione (profilo in relazione al quale, come si è visto, la parte ricorrente ha articolato motivi di impugnazione), deve inoltre dubitarsi della legittimità costituzionale delle disposizioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020, convertito dalla legge n. 77/2020.
Rileva a tal fine l’assenza, nei suddetti commi dell’art. 103 e, in particolare, nel comma 6, di qualsiasi criterio direttivo per il legislatore secondario delegato ai fini della definizione delle soglie minime di reddito del datore di lavoro per l’ammissione alla procedura di emersione.
Al riguardo deve osservarsi che la materia di cui trattasi è coperta dalla riserva relativa di legge di cui all’art. 10, c. 2, Cost., che assegna alla fonte primaria la regolamentazione della condizione giuridica dello straniero.
Ciò premesso, la Corte costituzionale ha affermato, in più occasioni, «l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente “l’assoluta indeterminatezza” del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una “totale libertà” al soggetto od organo investito della funzione (sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa». Anche laddove la riserva di legge abbia carattere relativo, tale carattere «non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad una prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (Corte cost. n. 115 del 2011).
L’art. 103, comma 6, del d.l. n. 34/2020, nel prevedere che con il decreto di cui al comma 5 sono «stabiliti i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per l'instaurazione del rapporto di lavoro» senza indicare le norme generali regolatrici della materia o, quantomeno, i principi direttivi o, comunque, una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in merito alle modalità di individuazione del reddito minimo per l’accesso alla procedura di emersione, appare dunque in contrasto con il principio di legalità sostanziale, desumibile dall’art. 97 Cost., nonché dall’art. 113 Cost., in base al quale l’azione della pubblica amministrazione deve trovare nella legge non solo il proprio fondamento, ma anche i limiti sostanziali volti a garantire il soddisfacimento, da parte della pubblica amministrazione, del pubblico interesse secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento, in un ambito coperto, come si è detto, dalla riserva di legge di cui all’art. 10, c. 2, Cost.
Per le stesse ragioni la succitata disposizione di cui all’art. 103, c. 6, del d.l. n. 34/2020 appare inoltre in contrasto con il principio generale desumibile dall’art. 76 Cost. (oltre che dall’art. 17, commi 2 e 3, della legge n. 400/1988), secondo il quale, laddove l’organo titolare del potere legislativo decida di delegare tale potere all’esecutivo, devono pur sempre essere imposti limiti all’esercizio della delega, pena altrimenti il rischio di arbitrarietà delle norme delegate.
8. – Conclusioni
Alla stregua delle precedenti considerazioni, deve disporsi, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del giudizio e la rimessione alla Corte costituzionale delle sopra formulate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 4, 5 e 6, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, per contrasto con gli artt. 3, 10, 35, 76, 97 e 113 Cost., non potendo la presente controversia essere definita indipendentemente dalla risoluzione delle stesse.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), visto l’art. 134 della Costituzione e visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 10, 35, 76, 97 e 113 Cost., la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell’art. 103, commi 4, 5 e 6, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Riserva ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese.
Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte ricorrente.