Spetta all'arbitro dirimere la controversia tra amministratore e società, se la soppressione della clausola compromissoria sia stata deliberata dopo la cessazione dalla carica dell'amministratore e non sia intervenuto un accordo tra lo stesso e la società volto a privare di effetti la clausola stessa.
L'attuale ricorrente, chiamato in giudizio dalla società di cui era stato amministratore fino al 2016, eccepiva l'incompetenza del Tribunale adito invocando la clausola arbitrale prevista dall'art. 28 dello statuto societario. Tale clausola risultava essere peraltro soppressa per effetto di una delibera...
Svolgimento del processo
1. Con citazione notificata il 19 maggio 2017 GFT s.r.l. ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Bologna M.B., amministratore della società fino al 26 settembre 2016: ha esercitato, nei confronti del medesimo, l’azione di responsabilità.
L’evocato in causa, nel costituirsi, ha eccepito l’incompetenza del Tribunale adito, invocando la clausola arbitrale prevista dall’art. 28 dello statuto societario: clausola che risultava essere stata peraltro soppressa per effetto di una delibera intervenuta dopo la cessazione della qualità di amministratore da parte dello stesso B..
Il Tribunale emiliano ha disatteso l’eccezione di incompetenza: ha osservato come trovasse nella fattispecie applicazione l’art. 5 c.p.c., in forza del quale, ai fini della determinazione della competenza, si deve aver riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda; il Giudice del merito ha attribuito quindi rilievo il fatto che la clausola arbitrale fosse venuta meno allorquando fu introdotto il giudizio.
2. Ha proposto ricorso per regolamento di competenza B.. Resiste G.F.T., che ha depositato l’atto difensivo di cui all’art. 47, ultimo comma c.p.c. nonché, in prossimità dell’adunanza, la memoria di cui all’art. 380 ter, comma 2, c.p.c.. Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del ricorso e quindi per l’affermazione della competenza arbitrale.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1372 c.c., 808 c.p.c., 34 d.lgs. n. 5/2003 e 5 c.p.c.. Deduce, in sintesi, non essergli opponibile la soppressione della clausola compromissoria, che è intervenuta dopo la sua cessazione dalla carica di amministratore di GFT.
2. Il ricorso per regolamento è anzitutto ammissibile.
Come è noto, la sentenza del giudice di merito affermativa o negatoria della propria competenza sulla convenzione di arbitrato è impugnabile con regolamento di competenza, necessario o facoltativo (artt. 42 e 43 c.p.c.) a seconda che sia stata decisa solo la questione di competenza, ovvero questa insieme col merito (Cass. 8 novembre 2021, n. 32528; Cass. 8 marzo 2011, n. 5510).
3. Il detto ricorso è pure fondato.
Merita condivisione il rilievo svolto dal Pubblico Ministero, incentrato sul principio, affermato da questa Corte, per cui, non essendo la clausola compromissoria un patto accessorio del contratto nel quale è inserita, avendo essa individualità ed autonomia, nettamente distinta da quella del contratto cui accede, rientrano nella sua sfera di operatività anche le controversie che insorgono dopo la cessazione del contratto, quando siano dipendenti da fatti pregressi (così Cass. 26 giugno 1992, n. 8028). In tal senso, la cessazione del rapporto che lega l’amministratore alla società non è idonea a determinare l’inapplicabilità, alle controversie relative a fatti insorti in costanza di quel rapporto, della clausola compromissoria che era deputata a regolare i rapporti tra la società e il suo organo.
4. Il tema merita qualche precisazione.
La vincolatività della clausola compromissoria rispetto agli amministratori, liquidatori e sindaci, con riguardo alle controversie promosse nei confronti di tali soggetti, poggia sull’accettazione dell’incarico da parte dei medesimi (art. 34, comma 4, d.lgs. n. 5/2003). Si tratta di una vincolatività che trae origine da un atto di volontà a contenuto negoziale: infatti, come è stato osservato in dottrina, con l’accettazione dell’incarico i soggetti che vengono a impersonare gli organi sociali manifestano implicitamente l’intendimento di compromettere in arbitri le controversie che li riguardano, ove l’atto costitutivo contenga una clausola compromissoria che ricomprenda le controversie in questione; tramite l’accettazione dell’incarico essi approvano la «legge del gruppo», in cui è ricompresa la scelta dello strumento arbitrale.
La competenza arbitrale relativa alle controversie che riguardano amministratori, liquidatori e sindaci ha, dunque, un preciso fondamento pattizio: con l’accettazione dell’incarico gli indicati soggetti prestano adesione alla clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo e consentono che la lite che li riguarda sia sottratta alla cognizione del giudice ordinario (salve, ovviamente, le specifiche limitazioni poste dalla legge alla compromettibilità in arbitri della controversia stessa). E’ in ragione di tale connotazione della competenza arbitrale nei confronti dei richiamati soggetti che sono stati fugati i dubbi di legittimità costituzionale che pure una parte della dottrina aveva avanzato quanto alla disposizione di cui all’art. 34, comma 4, d.lgs. n. 5/2003: si è osservato, infatti, che quanti sono nominati amministratori, liquidatori e sindaci possono sempre rifiutarsi di assumere la carica ove non intendano assoggettarsi alla clausola compromissoria.
In ambito societario il principio consensualistico conserva, del resto, un proprio, seppur più limitato, margine applicativo anche con riguardo alle clausole arbitrali che vincolano i soci. Vero è, infatti, che con riguardo ai soci opera la regola maggioritaria (onde dette clausole possono essere modificate con una deliberazione, assunta da una maggioranza qualificata dei soci ¿ pari alla rappresentanza dei due terzi del capitale sociale ¿, la quale è vincolante per la minoranza); è altrettanto vero, però, che, in base all’espressa previsione contenuta nell’art. 34, comma 6, d.lgs. n. 5/2003, a fronte delle delibere modificative dell’atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie, i soci assenti e dissenzienti possono, entro un determinato termine, esercitare il diritto di recesso. Tale disposizione sta a significare che i soci che non abbiano votato la delibera possono prestarvi acquiescenza, ove manchino di recedere nel termine di legge, ma anche sottrarvisi, esercitando tempestivamente il recesso. I termini dell’opzione sono qui predeterminati dal legislatore per far salvo il principio maggioritario (il quale verrebbe meno se si consentisse al singolo socio di inibire alla determinazione assunta dai soci che rappresentano i due terzi del capitale sociale di produrre i suoi effetti): è in definitiva rimessa al singolo socio solo la scelta se aderire, o meno, a un assetto societario che presenta elementi di novità, rispetto al passato, quanto alle modalità con cui saranno definite le controversie tra soci o tra soci e società.
Può essere utile qui ricordare, in replica al rilievo svolto, sul punto, dalla difesa della parte controricorrente in memoria, come si sia coerentemente ipotizzato, in dottrina, che a fronte di una modificazione dell’atto costitutivo incidente sulla clausola compromissoria, analoga facoltà dovrebbe essere accordata agli amministratori, liquidatori e sindaci, consentendo ai medesimi di rinunciare all’incarico. E ciò proprio per far salva la volontà di tali soggetti nell’evenienza in discorso.
5. Tale quadro d’insieme suggerisce le considerazioni che seguono.
Anzitutto, su di un piano generale, risulta non conforme al richiamato fondamento convenzionale della competenza arbitrale l’idea che una modifica dell’atto costitutivo nel senso dell’introduzione della clausola compromissoria, o della soppressione di essa, sia opponibile a chi, socio, amministratore, liquidatore o sindaco, non vi abbia prestato adesione (sebbene l’espressione attenuata del principio consensualistico si traduca, nell’assetto regolatorio di cui al richiamato comma 6 dell’art. 34, nel fatto che detta adesione debba avvenire nella forma tipizzata legalmente).
In secondo luogo, proprio la disciplina contemplata per le modifiche dell’atto costitutivo nei confronti del socio chiarisce che l’inopponibilità di tali modifiche a tale soggetto si attua attraverso il recesso: recedendo dalla società il socio esclude che abbia effetto, nei propri confronti, quel mutamento del contratto sociale cui egli non intende aderire. Se, dunque, il recesso rende inopponibile la modifica dell’atto costitutivo al socio, a maggior ragione non avrà motivo di operare, nei confronti del medesimo, una modifica che si attui dopo che il recesso è stato esercitato. E, per una elementare esigenza di coerenza del sistema, deve ritenersi che analoga modifica non possa operare nei confronti dell’amministratore, liquidatore o sindaco che sia cessato dall’incarico.
Il fondamento pattizio della competenza arbitrale ammette, certamente, che l’ex socio, l’ex amministratore, l’ex liquidatore e l’ex sindaco possano aderire alla modifica relativa alla competenza arbitrale che sia intervenuta dopo il recesso (del socio) o la cessazione dalla carica (degli altri soggetti sopra indicati).
Ma poiché, tornando alla fattispecie che interessa, a seguito del venir meno del rapporto organico tra l’amministratore e la società, non risulta sia concretamente intervenuta tra le parti alcuna pattuizione volta a derogare alla competenza arbitrale fondata sulla clausola compromissoria (operante nel periodo in cui l’odierno ricorrente svolgeva le funzioni di amministratore), questa continua ad essere la fonte regolatrice della competenza relativa alle controversie insorte tra i predetti soggetti.
Non è allora concludente la decisione del Tribunale di Bologna laddove conferisce rilievo decisivo, ai fini del radicamento della competenza, alla circostanza per cui, al momento della proposizione della domanda giudiziale, la clausola compromissoria era venuta meno.
6. Il ricorso per regolamento va conseguentemente accolto con declaratoria della competenza arbitrale: esito, questo, che si impone alla luce del principio per cui la controversia tra l’amministratore e la società resta soggetta alla competenza arbitrale convenuta, per tale lite, con la clausola compromissoria, ove la soppressione di questa sia stata deliberata dopo la cessazione dalla carica del detto amministratore e non sia intervenuto un accordo tra lo stesso e la società volto a privare di effetti la clausola stessa.
7. Le spese del giudizio di legittimità e quelle del giudizio di merito sono poste a carico della società.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e dichiara che la causa è devoluta alla competenza arbitrale; condanna GFT al pagamento, in favore di Bertolotti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, oltre che alle spese del giudizio di merito, liquidate in euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.