La conciliazione sindacale, per essere qualificata tale, deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 151/2019, in riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Pistoia, ha dichiarato la nullità del verbale di conciliazione stipulato tra R. F. e la S. srl datato il 22.3.2010; ha dichiarato tra le parti intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2000 al 2010, con diritto del F. all’inquadramento nel livello B, profilo B2 del CCNL Carta e Cartotecnici Industria, oltre a disporre la regolarizzazione della posizione contributiva; ha, quindi, condannato la società datrice al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di euro 47.348,43, di cui euro 20.581,90 a titolo di TFR, oltre accessori; in accoglimento parziale della domanda riconvenzionale, proposta dalla società, ha condannato R. F. al pagamento della somma di euro 5.000,00 oltre interessi legali dal 25.5.2010 al saldo; ha condannato, infine, la società al pagamento di tre quarti delle spese del doppio grado, compensando il restante quarto.
2. I giudici di seconde cure hanno ritenuto la nullità del verbale di conciliazione perché stipulato senza una effettiva assistenza sindacale del lavoratore; hanno, inoltre, rilevato che dalle risultanze istruttorie era emersa la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata procedendo, poi, attraverso una consulenza tecnica di ufficio contabile, al conteggio del dare e dell’avere tra le parti.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la S. srl in liquidazione e in concordato preventivo affidato a cinque motivi cui ha resistito con controricorso R. F..
4. La società ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 411 co. 3 cpc e 2113 co. 4 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere considerato la Corte territoriale che ciò che rileva, ai fini della regolarità di una intercorsa transazione, è l’assistenza sindacale concreta prestata al lavoratore che, nel caso di specie, vi era stata in un contesto in cui, peraltro, il F. non aveva mai dedotto che i termini della transazione non fossero rispondenti alla propria volontà negoziale, né che vi fosse stato un vizio del consenso in proprio danno.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc e degli artt. 2727 e 2729 cc nonché degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione agli artt. 411 co. 3 cpc e 2113 co. 4 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per avere la Corte di merito, con un giudizio di verosimiglianza e in violazione dell’art. 2697 cc, ritenuto che il F. aveva sottoscritto un verbale già predisposto, sul presupposto che il rappresentante sindacale della UIL non fosse presente al momento della sottoscrizione dell’atto e che al medesimo non fosse stato conferito idoneo mandato.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 215 cpc e 2702 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere rilevato la Corte territoriale che era onere del lavoratore fornire la prova contraria rispetto alla evidenza di entrambi i documenti e, cioè, il verbale sindacale e il mandato sindacale.
5. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 1418 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché della nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, anche sotto il profilo dell’omessa pronuncia, per avere la Corte territoriale rilevato la nullità del verbale di conciliazione senza esaminare il profilo della sua annullabilità in relazione alla quale era stata sollevata una relativa eccezione.
6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per avere la Corte di appello riconosciuto al F. gli importi a titolo di differenze retributive e di TFR applicando malamente il disposto di cui all’art. 2948 cc in quanto, nel 2010, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, essa società occupava venti dipendenti.
7. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, il primo ed il quarto motivo devono essere esaminati congiuntamente.
8. Essi sono infondati.
9. Una conciliazione sindacale, per essere qualificata tale ai fini degli artt. 411, comma terzo, cod. proc. civ. e 2113, comma quarto, cod. civ., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore (Cass. n. 13910/1999).
10. Ciò perché, al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale, occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (Cass. n. 4370/2020).
11. Nella fattispecie, la Corte distrettuale, con un accertamento di fatto argomentato con una motivazione esente dai vizi di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità, ha rilevato che la conciliazione intercorsa tra le parti non era stata conclusa in sede sindacale e con l’effettiva assistenza del sindacato, per cui non l’ha ritenuta valida e ha proceduto all’accertamento della qualificazione del rapporto.
12. Quanto alle conseguenze, i giudici di seconde cure hanno ritenuto la stessa affetta dal vizio della nullità: la soluzione è corretta sia avendo riguardo alla ravvisata violazione formale di una norma imperativa (mancanza di assistenza sindacale), sia con riguardo al contenuto invalidato della stessa transazione concernente la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata che può implicare, necessariamente, anche la rinuncia a connessi diritti futuri.
13. Dalla declaratoria di nullità della conciliazione consegue, inoltre, che ogni questione, oggetto delle doglianze, in ordine al profilo della eccezione del vizio di annullabilità (e non di nullità) da cui sarebbe stata affetta (sia con riguardo alla tempestività della impugnazione, che nel caso in esame era avvenuta comunque nel termine di sei mesi, sia relativamente alla omessa pronuncia sulla relativa eccezione) è inammissibile perché non determinante nell’economica dell’impianto decisorio.
14. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per la loro interferenza, non sono meritevoli di accoglimento perché, al di là delle denunciate violazioni di legge, tendono ad una rivisitazione del merito della vicenda e ad una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentite in sede di legittimità.
15. E’ un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
16. In particolare, infondata è la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020).
17. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014; Cass. n. 20867/2020).
18. Analogamente, non è ravvisabile alcun vizio del ragionamento presuntivo posto a base della decisione in quanto, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cc, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (Cass. n. 1163/2020).
19. Nel caso in esame la Corte territoriale, con adeguata e logica motivazione, ha sottolineato, attraverso un esame accurato della documentazione e delle risultanze istruttorie, che la conciliazione tra le parti non era stata sottoscritta il 22.3.2010 presso lo studio T. ad Arzignano, ma successivamente a Pescia il 13.4.2010, quando il ricorrente aveva firmato anche i documenti relativi alla nuova assunzione da parte della affittuaria OMISSIS srl: ciò lo si è desunto considerando che, nel bonifico di euro 5.000 ricevuto dalla S. srl, si parlava di acconto accordo “13.4.2010”, oltre alle anomalie fattuali rilevate nel verbale di conciliazione in cui si indicava nella parte iniziale, quale luogo, Arzignano, mentre nella parte finale, prima delle sottoscrizioni, si indicava Pescia; che il giorno 22.3.2010 il rappresentante della società OMISSIS si trovava ad Arzignano per la sottoscrizione del contratto di affitto di azienda mentre il F. aveva sostenuto di essere stato regolarmente al lavoro a Pescia; secondo l’assunto della Corte territoriale era, pertanto, verosimile che il 13.4.2010 a Pescia, insieme ai documenti per la assunzione, fu fatto firmare al lavoratore anche un verbale di conciliazione già predisposto in sede sindacale, ove veniva indicata la presenza di un sindacalista che sicuramente non era presente il 13.4.2010 e al quale il F. non aveva conferito alcuno specifico mandato ai fini della conciliazione, essendo stato prodotto solo il mandato di rappresentanza e delega per la riscossione dei contributi.
20. Il quinto motivo, infine, è inammissibile per difetto di allegazione in ordine alla questione sottoposta a questa Corte.
21. Invero, a fronte di un ricorso notificato nel gennaio 2011, la mera allegazione che risultava provato il fatto che nel 2010 la società impiegasse più di 15 dipendenti non è sufficiente ai fini di censurare la individuazione della decorrenza del termine prescrizionale per fare valere i propri diritti, perché, secondo il recente orientamento di questa Corte (Cass. n. 26246/2022), la ricorrente avrebbe dovuto precisare e dimostrare che anche negli anni pregressi l’entrata in vigore della legge n.
92 del 2012, in particolare dal 2009 a ritroso, tale circostanza fosse sussistente; possono, infatti, ritenersi prescritti solo quei diritti che, assistiti da un regime di stabilità del rapporto di lavoro, lo erano già alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012; per gli altri la decorrenza del termine prescrizionale va correttamente individuata nella data di cessazione del rapporto.
22. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
23. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
24. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.