Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva accolto la domanda della lavoratrice volta a dichiarare inefficace la conciliazione in sede sindacale poiché ella non era stata assunta dalla società subentrante, condizione che era stata posta alla base dell’accordo da parte di entrambe le parti seppur non espressamente.
La Corte d’Appello di Catania riformava la pronuncia di primo grado e di conseguenza rigettava la domanda di assunzione proposta dalla lavoratrice verso la società che era poi subentrata alla precedente in seguito alla cessazione di una convenzione stipulata con la Regione. Accoglieva invece la domanda proposta dalla medesima verso la seconda società volta a dichiarare...
Svolgimento del processo
1. la Corte di Appello di Catania, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato “la domanda di assunzione proposta da A. G. nei confronti di S. scpa”, subentrata alla S. Spa in seguito alla cessazione della convenzione in forza della quale quest’ultima gestiva il servizio 118 per la Regione Sicilia e la Croce Rossa;
ha, invece, accolto la domanda proposta dalla lavoratrice nei confronti della seconda società, dichiarando “inefficace la conciliazione stipulata in data 4.8.2011 tra A. G. e S. Spa” in sede sindacale;
2. in estrema sintesi, circa il primo aspetto e per quanto qui rileva, la Corte ha negato che il diritto all’assunzione potesse scaturire dalla lettera del 16 maggio 2011 di risposta della S. alla lavoratrice richiedente, in quanto, con la stessa, “chiaramente la disponibilità della società” veniva “subordinata al rispetto dei requisiti dell’accordo sindacale del 15.3.2010, uno dei quali, l’essere a tale data occupati dalla società S. con contratto a tempo indeterminato”, nella specie mancante;
3. per quanto riguarda, invece, “la domanda proposta nei confronti della S., rimasta assorbita e riproposta con la memoria difensiva nel presente grado, avente ad oggetto la nullità della transazione stipulata in sede sindacale dall’A., in data 4.8.2011, in funzione dell’assunzione da parte di S.”, la Corte territoriale l’ha accolta alla stregua dell’istituto della “presupposizione”, considerando ricorrenti nella specie più elementi che inducevano “a ritenere che entrambe le parti della conciliazione sindacale del 4.8.2011 si siano determinate alla stipula in considerazione della futura assunzione dell’A. da parte di S., considerata certa”, ma successivamente non realizzata;
4. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione innanzitutto la società S. Spa in liquidazione, soccombente rispetto a tale domanda, con sei motivi; successivamente ha impugnato la medesima sentenza anche la A., affidandosi a due motivi di gravame per il mancato riconoscimento del diritto all’assunzione presso la S.; l’intimata lavoratrice ha anche resistito con controricorso al ricorso principale; la società S. ha resistito con controricorso ad entrambi i ricorsi;
solo la società S. ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Motivi della decisione
1. i motivi del ricorso della S. Spa possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. col primo motivo si denuncia, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., la violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c., sostenendo che erroneamente la Corte siciliana avrebbe ritenuto sussistente “la riproposizione della domanda avente ad oggetto la nullità del verbale di conciliazione”, pronunciandosi oltre i limiti della domanda proposta dalla lavoratrice;
1.2. con il secondo mezzo, lamentando la violazione di plurime disposizioni sempre ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., si deduce che, “anche volendo ritenere che la lavoratrice avesse riproposto la domanda sulla nullità del verbale di conciliazione del 4.8.2011”, la Corte territoriale avrebbe errato ad esaminarla “senza considerare che non era stata veicolata mercè la proposizione di un rituale e tempestivo appello incidentale”;
1.3. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto in considerazione “il valore inoppugnabile del verbale di conciliazione redatto in sede sindacale”;
1.4. il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo: “l’assenza di collegamento sinallagmatico tra il verbale di conciliazione del 4.8.2011 e le pretese della lavoratrice ad essere assunta dalla S.”;
1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 n. 2, 1464, 1467 e 2697 del codice civile, assumendo che la sentenza impugnata avrebbe applicato l’istituto della “presupposizione” in carenza dei relativi presupposti, in particolare non considerando che: “a) non si evinceva dal contratto, né da altre circostanze, la sussistenza della cd. condizione inespressa; b) non emergeva la conoscibilità di tale condizione inespressa da parte della S., né tale conoscibilità era stata provata da parte della lavoratrice”;
1.6. il sesto motivo eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale “deciso in assenza di prove certe ed inequivoche sul collegamento sinallagmatico tra il verbale di conciliazione del 4.8.2011 e le pretese vantate dalla lavoratrice nei confronti della S.”;
2. i motivi del successivo ricorso della A., da qualificarsi incidentale, riguardano il rigetto della domanda volta all’assunzione presso la S. Spa e sono i seguenti;
2.1. il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1354 c.c. per non avere la Corte di Appello rilevato d’ufficio “la nullità della clausola che prevedeva una condizione impossibile” nella lettera della S. del 16 maggio 2011, la quale subordinava la disponibilità della società ad assumere la A. “all’essere a tale data (ndr. quella dell’accordo sindacale del 15.3.2010) occupata dalla società S. con contratto a tempo indeterminato”; si argomenta che “la S., alla data in cui si obbligò all’assunzione, era pienamente consapevole del fatto che la ricorrente non fosse occupata presso la S. alla data dell’accordo sindacale”;
2.2. il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., criticando diffusamente l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla lettera del 16.5.2011;
3. il ricorso principale della S. Spa non può trovare accoglimento;
3.1. i primi due motivi sono infondati;
invero, la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite, essendo soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (Cass. SS.UU. n. 13195 del 2018);
nella specie la Corte territoriale ha espressamente affermato che la domanda subordinatamente proposta dalla A. nei confronti della S. era “rimasta assorbita” in prime cure e l’ha considerata “riproposta con la memoria difensiva nel presente grado”;
in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l'appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice (tra molte, Cass. n. 25840 del 2020);
nella specie, non vi è stato un generico richiamo alle difese e conclusioni svolte in primo grado, ma una riproposizione della pretesa sufficientemente specifica contenuta nell’inciso della memoria difensiva in appello del 6.3.2019, dove la difesa della lavoratrice aveva dedotto: “in assenza di assunzione nel posto di lavoro presso la società odierna appellante, verrebbe meno anche la stessa validità del ripetuto verbale di conciliazione in sede sindacale […] e/o di ogni ulteriore atto posto in essere in adempimento dei due verbali sindacali […], che vanno impugnati per conseguente loro nullità”;
3.2. parimenti, non possono trovare accoglimento gli altri motivi del ricorso della società, scrutinabili congiuntamente in quanto contestano, sotto vari profili, l’applicazione dell’istituto della “presupposizione” operata dalla Corte territoriale; secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. SS.UU. n. 9909 del 2018, con ampi riferimenti giurisprudenziali; conf. Cass, n. 17615 del 2020; in precedenza v. Cass. n. 22580 del 2014; Cass. n. 20620 del 2016; Cass. n. 5112 del 2018), si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso - pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali come presupposto condizionante il negozio (cd. condizione non sviluppata o inespressa) - richiedendosi pertanto a tal fine: a) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; b) che l'evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (e in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); c) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall'attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all'oggetto di una specifica obbligazione; pertanto, la presupposizione è configurabile quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all'esistenza di una data situazione di fatto che assurga a presupposto comune e determinante della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi ì contraenti, non si sia fatto espresso riferimento; o, in altri termini, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo, essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività, sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto comune in modo da assurgere a fondamento - pur in mancanza di un espresso riferimento formale o testuale - dell'esistenza ed efficacia del contratto;
secondo la medesima giurisprudenza di legittimità, l'accertamento in merito alla ricorrenza della presupposizione, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici (cfr. Cass. n. 20245 del 2009; Cass. n. 40279 del 2021), vizi che nella specie il Collegio non ravvisa, atteso che la parte ricorrente avanza solo un diverso apprezzamento di merito;
non è di ostacolo all’operatività della presupposizione né che il negozio interessato sia una transazione (v. Cass. n. 9272 del 1987), né che riguardi una conciliazione sindacale (v. Cass. n. 20 del 1986); circa la pretesa violazione dell’art. 2113 c.c. opportuno aggiungere, in disparte il profilo di novità della questione, che l’inoppugnabilità del verbale redatto in sede sindacale non può evidentemente riguardare fatti sopravvenuti, quali il mancato avveramento della condizione inespressa che abbia costituito il presupposto comune e determinante della volontà negoziale, antecedentemente manifestata in sede protetta;
4. anche il ricorso incidentale della lavoratrice deve essere respinto;
4.1. per quanto riguarda la prima censura - concernente la pretesa nullità del negozio, contenuto nella lettera della S. del 16.5.2011, per impossibilità della condizione sospensiva apposta a mente del comma 2 dell’art. 1354 c.c. – la questione ha carattere di novità, in quanto pacificamente sollevata solo in sede di legittimità;
secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; più di recente: Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017).
nella specie la questione tardivamente sollevata postula accertamenti di fatto, quali la consapevolezza da parte della società che la A. “non era e non poteva essere considerata occupata dalla S. alla data del 15.3.2010”, ovvero, secondo la prospettazione della ricorrente, che “la nullità della predetta clausola non comporta la nullità dell’intero contratto tenuto conto che non risulta che i contraenti non lo avrebbe concluso senza quella parte del contenuto”;
peraltro, la sussistenza di un rapporto di lavoro tra la A. e la S. alla data del 15.3.2010 risultava questione oggettivamente controversa, stante l’impugnativa di un precedente licenziamento della lavoratrice, vicenda conclusa con una sentenza di reintegrazione nei confronti di S., tanto che proprio su tale pronuncia che aveva ricostituito il rapporto de iure la reintegrata aveva inizialmente azionato le sue pretese;
infine, il requisito dell’occupazione presso la S. alla data del 15.3.2010 era contenuto nell’accordo sindacale siglato in quella data, che aveva come beneficiari una pluralità di lavoratori, mentre la nota del 16 maggio 2011, unilateralmente indirizzata dalla S. alla A., era solo una manifestazione di disponibilità a dare attuazione a quell’accordo, in sé compiuto;
4.2. il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile in quanto propone un diverso esito interpretativo circa l’accertamento di una volontà negoziale;
infatti, l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all'esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, conf. Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del cd. “minimum costituzionale”; inoltre, per risalente insegnamento, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione - ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito - non potendo le censure risolversi, in contrasto con l'interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000); nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è la Corte distrettuale, parte ricorrente, nella sostanza, a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole in odine alla lettera del 16 maggio 2011;
5. conclusivamente sia il ricorso principale che il ricorso incidentale devono essere rigettati, con compensazione integrale delle spese tra la S. Spa e la A. per reciproca soccombenza; entrambe queste parti vanno invece condannate al pagamento delle spese sostenute dalla S., liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese tra la ricorrente principale e incidentale; condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente S. SCpA, liquidate per ciascuna in euro 3.500,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.