Questa la questione rimessa al Primo Presidente dalla sezione Lavoro, evidenziando che lo stato di incapacità naturale rileva nella misura in cui incide sulla possibilità di avere notizia, senza colpa del destinatario, dell'atto ricevuto.
La Corte d'Appello di Palermo confermava la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale era stata respinta l'impugnazione del licenziamento disciplinare intimato all'attuale ricorrente per assenza ingiustificata dal lavoro. Una breve ricostruzione dei fatti.
La dipendente, senza giustificare alcunché, non si presentava al lavoro per più giorni fino a quello in cui...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1187/2018, ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede con cui era stata respinta l’impugnazione del licenziamento disciplinare, intimato a G. A. dalla società M. spa con lettera del 4.9.2015, per assenza ingiustificata dal lavoro dall’1 al 18 agosto 2015.
2. In punto di fatto, nella gravata sentenza, è riportato che la dipendente, senza giustificare in alcun modo la sua assenza, non si era presentata al lavoro dall’1 al 18 agosto 2015, data in cui le era stata inviata la contestazione di addebito, mediante raccomandata a/r ricevuta il 21.8.2015 con contestuale invito a fornire giustificazioni entro il termine di cinque giorni; che, in carenza delle giustificazioni richieste, mediante lettera raccomandata a/r regolarmente ricevuta il 10.9.2015, le era stato intimato licenziamento disciplinare senza preavviso; che solo con lettera del 19.5.2016 la A. aveva contattato il datore di lavoro al fine di fornire spiegazioni sulla protratta ingiustificata assenza dal luogo di lavoro e, successivamente, aveva impugnato il licenziamento, nel dicembre 2016, sostenendo di essersi trovata in condizioni di incapacità tali da non consentirle di averne conoscenza.
3. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha sottolineato che il termine di decadenza dall’impugnativa di licenziamento non era suscettibile di interruzione o di sospensione e che la lavoratrice nulla aveva dedotto a proposito della mancata conoscenza del licenziamento, nonostante la certa ricezione al suo indirizzo della raccomandata, se non il suo stato di incapacità naturale al momento della ricezione stessa che non era idonea ad impedire la produzione degli effetti dell’atto recettizio.
4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G. A. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la R. spa (già M. F. M. spa).
5. La causa, con ordinanza n. 20857/2022, è stata fissata per la trattazione in pubblica udienza per il 21.12.2022, poi rinviata per l’impossibilità sopravvenuta, in quella data, del consigliere relatore.
6. Il Procuratore Generale ha rassegnato, in data 6.12.2022 conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l n. 137 del 2000 coordinato con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite rivestendo la questione oggetto del giudizio massima importanza: conclusioni, poi, reiterate all’odierna udienza.
7. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 e 1335 cod. civ., in relazione alla decorrenza del termine di decadenza previsto dall’art. 6 legge n. 604/66 e s.m.i. Sostiene, premesso di avere attraversato una grave crisi depressiva nel periodo oggetto di causa, confermata dalla consulenza tecnica di ufficio medico legale disposta dal Tribunale di Palermo, che l’aveva ridotta in uno stato di incapacità di intendere con riacquisto delle proprie funzioni mentali, grazie ai trattamenti sanitari cui si era sottoposta, solo nel maggio 2016, che l’impugnativa del recesso, con nota del 19.5.2016, era stata inoltrata nel termine di decadenza (60 gg) dalla effettiva conoscenza dell’atto. Deduce che, nella particolare ipotesi, si era verificata l’impossibilità di essa lavoratrice di avere conoscenza della lettera di licenziamento e che tale circostanza, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, era stata dimostrata a mezzo di prove documentali ed orali concordanti, oltre ad essere stata confermata dal consulente tecnico di ufficio medico- legale. Obietta che la presunzione di conoscenza, ex art. 1335 cod. civ., andava comunque rapportata con i diritti costituzionalmente garantiti alla salute e alla difesa nonché, per il caso specifico, alla tutela del lavoro.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla espletata consulenza tecnica di ufficio medico-legale, dalla quale era desumibile, contrariamente a quanto affermato dai giudici di seconde cure, l’impossibilità di avere avuto conoscenza della lettera di licenziamento.
4. Ritiene il Collegio che sia opportuno rimettere la questione, da considerarsi di massima importanza, come di seguito illustrato, al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite onde pervenire ad una soluzione sistematica sulla interpretazione e applicazione delle disposizioni di cui si denunzia la violazione.
5. Prima di richiamare le considerazioni già svolte con la ordinanza n. 20857/2022, è opportuno premettere che esulano dalla presente controversia tutte le problematiche (risolte dai precedenti di questa Corte n. 31845/2022 e n. 4795/2023) riguardanti la questione se, per operare la presunzione di conoscenza ex art. 1335 cod. civ., sia necessario solo l’invio a mezzo posta della comunicazione ovvero sia indispensabile anche la prova che il plico sia giunto a destinazione: prova che può essere ottenuta con qualsiasi mezzo pure con il meccanismo logico-giuridico delle presunzioni.
6. Nel caso in esame, infatti, non è in contestazione che la comunicazione del licenziamento sia giunta all’indirizzo della destinataria: il problema concerne il fatto se quest’ultima ne abbia avuto notizia per le sue condizioni di salute che le impedivano di avere un’esatta contezza della stessa.
7. Orbene, questa Corte ha in più occasioni affermato (Cass. n. 5545/2007; Cass. n. 2197/87), in tema di rapporti tra l’avvenuta decadenza dall’impugnazione del licenziamento e lo stato di incapacità naturale del destinatario, che il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione dell'atto di licenziamento, che l'art. 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604 fissa per l'impugnazione del licenziamento stesso da parte del lavoratore, è un termine di decadenza e come tale insuscettibile, a norma dell'art. 2964 cod. civ., sia di interruzione sia, in mancanza di disposizione contraria, di sospensione, senza che a termini dell'art. 1335 cod. civ. possano rilevare le condizioni soggettive del destinatario, ed in ispecie la sua capacità di intendere e di volere, salva la tutela nei limiti dell'art. 428 cod. civ. (Nella specie, nel primo precedente citato, l'impugnata sentenza, aveva ritenuto che, pur ammettendo lo stato di incapacità di intendere e di volere, la lavoratrice licenziata nulla aveva allegato in ricorso per ritenere tale stato sussistente anche successivamente, sussistendo, invece, la prova contraria per essere la lavoratrice rientrata al lavoro, nuovamente assentandosi, ingiustificatamente. La S.C., correggendo la motivazione, ha ritenuto irrilevante, ai fini della decadenza, la dedotta incapacità naturale, rilevando altresì che la lavoratrice non aveva affatto allegato, e tanto meno provato, di essere stata, senza sua colpa, impossibilitata ad avere conoscenza della lettera di licenziamento).
8. In particolare, poi, è stato anche affermato che la validità o l'efficacia degli atti recettizi (fra i quali rientra il licenziamento) prescinde dall'eventuale stato di incapacità naturale del soggetto cui sono rivolti, atteso che la disciplina di tali atti - in ordine ai quali il legislatore si è dato cura di dettare regole (art. 1335 cit.) che consentono di stabilire la certezza giuridica della loro conoscenza da parte dei destinatari indipendentemente dalla capacità degli stessi di apprezzarne il valore e di determinarsi in conseguenza - è informata al principio dell'affidamento e che l'art. 428 c.c. prevede l'annullabilità soltanto degli atti unilaterali posti in essere dallo stesso incapace naturale (v. Cass. 18.1.1979 n. 352; Cass. 25.10.1982 n. 5563; Cass. 15.6.1985 n. 3612; Cass. 2.3.1987 n. 2197; Cass. 1.12.1989 n. 5279). All'interno, poi, dello stesso quadro delle regole dettate dall'art. 1335 cit. (e della presunzione di conoscenza ivi prevista) è stato, per altro verso, precisato che il termine perentorio fissato per l'impugnazione del licenziamento decorre dal momento in cui la dichiarazione di licenziamento è pervenuta all'indirizzo del lavoratore, salva la dimostrazione, da parte del medesimo, che egli, senza sua colpa, fosse impossibilitato ad avere conoscenza della lettera di licenziamento (v. Cass. 23.4.1992 n. 4878, Cass. 2.7.1988 n. 4394; Cass. 10.1.1984 n. 197).
9. Ebbene, va osservato, da un lato, con riguardo alla problematica relativa al fatto che l’art. 428 cod. civ. disciplina soltanto gli atti unilaterali posti in essere dallo stesso incapace, che una recente ordinanza di questa Corte (Cass. n. 12658/2018) sembra paventare la possibilità che, qualora dalla comunicazione di un atto inizierebbe a decorrere un termine il cui inutile spirare potrebbe arrecare un pregiudizio al destinatario, l’incapacità del destinatario stesso dovrebbe trovare tutela, in un’ottica di equiparazione dell’atto commissivo dell’incapace naturale a quello omissivo pregiudizievole per il medesimo.
10. Dall’altro, deve rilevarsi che, in tema di carattere recettizio degli atti, in dottrina si sono confrontate due soluzioni: quella della effettiva conoscenza del destinatario (teoria della cognizione) e quella della semplice comunicazione dell’atto (teoria della spedizione).
11. Il nostro Codice civile ha adottato il criterio della ricezione, nel senso che è necessario che l’atto sia stato ricevuto dal destinatario, cioè sia pervenuto al suo indirizzo, sebbene la regola sia stata poi temperata con il consentire che il destinatario possa provare di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di prendere conoscenza dell’atto pervenuto al suo indirizzo.
12. In questi termini si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità (per tutte Cass. n. 6645/1995).
13. Ora, se è vero che l’elemento psichico (dolo o colpa imputabile al destinatario) non rileva ai fini della conoscenza e, quindi, della efficacia dell’atto, tuttavia, qualora la conoscenza soggettiva della ricezione dipenda da uno stato di incapacità naturale temporaneo, dimostrato processualmente, non può escludersi una lettura delle norme che operi un bilanciamento tra il diritto al legittimo affidamento dei contraenti nello svolgimento dei rapporti negoziali e il diritto alla salute (art. 32 Cost.) dei soggetti interessati, costituzionalmente garantito.
14. Tale esigenza appare ancora più pressante lì dove l’atto recettizio abbia una particolare configurazione teleologica, quando cioè, come accade per il verificarsi di una decadenza che precluda l’impugnativa del licenziamento, sia finalizzato all’esercizio del diritto di difesa connesso alla tutela del posto di lavoro e, quindi, l’applicazione rigida della presunzione di conoscenza degli atti recettizi posta dall’art. 1335 cod. civ. risulterebbe in contrasto con gli artt. 24 e 35 Cost.
15. Ciò, è importante ribadire, in un contesto in cui lo stato di incapacità naturale, al momento dell’arrivo dell’atto all’indirizzo del destinatario, risulta acclarato processualmente e non solo allegato e dedotto.
16. Per le considerazioni svolte, ritenuto che la decisione della fattispecie oggetto di causa assuma rilevante importanza nella interpretazione e conseguente applicazione degli artt. 428 e 1335 cod. civ., si reputa opportuno sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite la seguente questione: “se uno stato di incapacità naturale, processualmente dimostrato e non contestato, sussistente nel momento in cui l’atto sia giunto all’indirizzo, rilevi ai fini del superamento, da parte del destinatario, della presunzione di conoscenza ex art. 1335 cc in quanto incidente sulla possibilità di averne notizia, senza sua colpa”.
17. La soluzione della questione di massima importanza consentirà, altresì, come giustamente sottolineato dall’Ufficio della Procura Generale, di chiarire a livello sistematico la portata del principio dell’affidamento per tutta la generalità degli atti recettizi e non solo per la comunicazione del licenziamento, rilevante nel caso di specie.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 co. 2 cod. proc. civ.