In merito al mandato fiduciario, nello specifico, come riportato nella sentenza, «si attribuisce la titolarità formale dei beni oggetto di mandato nonché la legittimazione all'esercizio di diritti normalmente spettanti al proprietario ad un soggetto diverso dal proprietario stesso (appunto la società fiduciaria)» e, il titolare effettivo rimane il fiduciante.
Il rischio concreto è quindi che si vada a creare «quell'effetto pratico di mascheramento che è esattamente ciò che il legislatore europeo vuole contrastare con la previsione degli esposti obblighi informativi e comunicativi riguardanti la titolarità effettiva». Deve pertanto concludersi che «il mandato fiduciario, sotto il profilo appena evidenziato, presenti criticità analoghe al trust», proprio in considerazione che, come detto, non vi è mai corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale.
La scelta quindi di includere il mandato fiduciario nella nozione di istituti giuridici affini ai
Sulla prospettata questione di incostituzionalità sollevata dai ricorrenti, il TAR dichiara infondata tale doglianza, dovendo escludere che l'art. 22 (comma 5-bis) della normativa antiriciclaggio lasci incertezze in ordine all'individuazione degli istituti giuridici affini al trust nel nostro ordinamento.
In ultimo, i Giudici ritengono corretta la possibilità di consentire l'accesso alle informazioni a chiunque possa dimostrare un interesse legittimo, richiamando il considerando n. 14 della direttiva UE 2015/849, la quale parla espressamente di «legittimo interesse in relazione al riciclaggio, finanziamento del terrorismo e ai reati presupposto associati, quali la corruzione, i reati fiscali e la frode, rendendo quindi evidente che l'accesso possa essere consentito quando l'interesse ad esso sotteso sia coerente ed omogeneo con le finalità previste dalla normativa antiriciclaggio».
E ora: appello o comunicazione al registro? Stay tuned.
TAR Lazio, sez. IV, sentenza (ud. 27 marzo 2024) 9 aprile 2024, n. 6845
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Unione Fiduciaria s.p.a. - Società Fiduciaria e di Servizi delle Banche Popolari Italiane (di seguito anche solo “Unione Fiduciaria” o “Società”) contesta il contenuto degli atti normativi ed amministrativi adottati dalle resistenti amministrazioni in attuazione della direttiva UE n. 2015/849 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e dalla direttiva UE n. 2018/843 del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica della predetta direttiva (di seguito anche solo “direttive antiriciclaggio”), per quel che attiene, in particolare, l’imposizione agli “istituti giuridici affini ai trust” dell’obbligo, presidiato da sanzione, di iscriversi in una sezione speciale del registro delle imprese e di comunicare al predetto registro una serie di informazioni e dati personali, accessibili anche al pubblico in presenza dei determinati presupposti.
Parte ricorrente, in particolare, impugna:
- il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’11 marzo 2022, n. 55 (di seguito anche solo DM 55/2022), ove stabilisce che “I dati e le informazioni sulla titolarità effettiva dei trust e degli istituti giuridici affini al trust tenuti all'iscrizione nella sezione speciale […] sono resi disponibili a qualunque persona fisica o giuridica, ivi compresa quella portatrice di interessi diffusi, che sia legittimata all'accesso ai sensi dell'articolo 21, comma 4, lettera d-bis), primo e secondo periodo, del decreto antiriciclaggio, sulla base della presentazione alla Camera di commercio territorialmente competente di una richiesta motivata di accesso, che attesti la sussistenza dei presupposti di cui alla medesima lettera d-bis), primo e secondo periodo”;
- il decreto direttoriale del 29 settembre 2023 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 236 del 9 ottobre 2023 (di seguito anche solo DD MIMIT n. 236/2023), il quale attesta l’operatività del sistema di comunicazione dei dati e delle informazioni sulla titolarità effettiva delle persone giuridiche;
- il “Manuale operativo per l’invio telematico delle comunicazioni del titolare effettivo agli uffici del registro delle imprese” ove richiama la definizione di “istituti giuridici affini al trust” fornita dall’art. 22, comma 5 bis, del d.lgs. n. 231/2007, ribadendo che il mandato fiduciario deve considerarsi istituto giuridico affine al trust;
- tutti gli atti presupposti, connessi e attuativi come in epigrafe individuati.
2. Le censure sono affidate a quattro motivi di ricorso come di seguito rubricati:
“I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, par. 1 e par. 10 della Direttiva UE n. 2015/849. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21, co. 3 e dell’art. 22, co. 5 bis del D.lgs. n. 231/2007. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza. Eccesso di potere per sviamento. Carenza assoluta di attribuzione.”;
“II. In subordine. Disapplicazione dell’art. 22, co. 5 bis del D.lgs. n. 231/2007 in quanto incompatibile con l’art. 31, par. 1 della Direttiva UE n. 2015/849 ss.mm.ii. Istanza di rinvio pregiudiziale di interpretazione alla CGUE ex art. 267, par. 1, lett. a) TFUE. Ancora in subordine, istanza di rinvio pregiudiziale di validità alla CGUE ex art. 267, par. 1, lett. b) TFUE”;
“III. In ulteriore subordine. Illegittimità dei provvedimenti impugnati in via derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 22, co. 5 bis del D.lgs. n. 231/2007 per contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 41, 97 e 117 Cost.”;
“IV. Illegittimità dell’art. 7, co. 2 DM MEF n. 55/2022 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, co. 4, lett. d bis) del D.lgs. n. 231/2007 e dell’art. 31, par. 4 della Direttiva UE n. 2015/849 ss.mm.ii.. In subordine, illegittimità dell’art. 7, co. 2 DM MEF n. 55/2022 in via derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 21, co. 4, lett. d bis) del D.lgs. n. 231/2007 per contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 41, 97 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 7 e 8 CDFUE”.
3. L’Amministrazione si è costituita per resistere al ricorso deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.
4. A seguito della camera di consiglio del 6 dicembre 2023, con ordinanza n. 8132 dell’11 dicembre 2023 di questa Sezione, è stata accolta l’istanza cautelare presentata da parte ricorrente “tenuto conto della rilevanza delle situazioni giuridiche suscettibili di essere incise, in modo irreparabile, dall’imminente scadenza del termine per l’adempimento degli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 21, comma 3, del d.lgs. n. 231/2007”.
5. All’esito dell’udienza pubblica del 27 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
In via preliminare occorre esaminare le eccezioni in rito sollevate dall’Amministrazione resistente.
5.1. La difesa erariale, sotto un primo profilo, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica dello stesso alla “camera di commercio nella cui circoscrizione territoriale si trova la sede dell’impresa”. L’eccezione è priva di fondamento. Nel caso di specie, difatti, non sono stati impugnati atti della camera di commercio, né la stessa può dirsi controinteressata rispetto all’accoglimento del gravame. Come ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, difatti, non può essere qualificato controinteressato "il soggetto la cui posizione sia incisa solo in modo indiretto e riflesso, e tantomeno chi non può subire alcuna sorta di pregiudizio" ma solo chi dall’atto impugnato tragga “in via diretta una situazione giuridica di vantaggio" (così Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2016, n. 4346; in senso conforme, cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VII, 2 gennaio 2024, n. 58). Nel caso di specie, le camere di commercio non ricavano alcun beneficio diretto dai provvedimenti impugnati e dunque non possono considerarsi controinteressate nel presente giudizio. A fini di completezza, occorre evidenziare che, in data 7 dicembre 2023 (entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione del DD MIMIT n. 236/2023), parte ricorrente ha provveduto a notificare il ricorso alla camera di commercio di Milano, versando in atti la prova della relativa notifica effettuata via PEC. L’eccezione di inammissibilità, pertanto, oltre che infondata, è comunque superata, in fatto, dalla successiva notifica del gravame al predetto soggetto.
5.2. Sotto diverso profilo la difesa erariale sostiene che il ricorso risulti tardivamente proposto per via della mancata tempestiva impugnazione degli “atti precedenti al decreto dirigenziale oggetto in via primaria del ricorso all’esame”, che già chiarivano che anche gli istituti riconducibili al mandato fiduciario fossero soggetti agli obblighi di comunicazione impugnati.
Tale eccezione è priva di pregio. L’attualità della lesione degli interessi di parte ricorrente, difatti, si è manifestata solo con la pubblicazione in gazzetta ufficiale del DD MIMIT n. 236/2023, che ha reso operativo il contestato sistema di comunicazione dei dati sulla titolarità effettiva e ha fissato il termine entro cui la comunicazione avrebbe dovuto essere effettuata dalle società fiduciarie, sotto pena di sanzioni. Non sussisteva quindi un onere di immediata impugnazione dei presupposti atti amministrativi generali e regolamenti indicati in epigrafe, atteso che gli stessi, sino all’adozione del DD MIMIT n. 236/2023, erano idonei a produrre effetti nei confronti della parte ricorrente. Ciò, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui gli amministrativi generali e regolamenti “non sono normalmente autonomamente impugnabili, mentre potrà formare oggetto di impugnazione l’atto applicativo, che è l’atto che effettivamente realizza il pregiudizio della sfera soggettiva e, quindi, rende attuale l’interesse a ricorrere” (Cons. Stato, sez. I, parere 26 giugno 2019, n. 2046; cfr. pure Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2010, n. 9406: “I regolamenti e gli atti generali dell'Amministrazione, infatti, sono impugnabili in via diretta solo in presenza di disposizioni che ledano in via immediata le posizioni soggettive dei destinatari, mentre negli altri casi l'interesse a ricorrere si radica solo in presenza di atti applicativi, e non in base a potenzialità lesive solo ipotetiche o future. In altre parole, i vizi degli atti amministrativi generali risultano immediatamente contestabili solo quando di per sé preclusivi del soddisfacimento dell'interesse protetto, mentre altrimenti sono deducibili come fonte di illegittimità derivata dell'atto consequenziale, quando sia quest'ultimo a venire impugnato - con l'atto presupposto - in quanto concretamente lesivo (C.d.S., Sez. I, 7 giugno 2010, n. 3041)”; conf. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2014, n. 1448; nello stesso senso, T.a.r. Lombardia - Miliano, sez. IV, 1° aprile 2019, n. 698; T.a.r. Toscana - Firenze, sez. I, 8 settembre 2015, n. 1218; e, da ultimo, T.a.r. Sicilia - Palermo, sez. I, 8 maggio 2023, n. 1514: «Sussiste l’onere di impugnare tempestivamente i regolamenti e gli atti amministrativi generali … solo nella “ipotesi in cui la disciplina regolamentare contiene disposizioni immediatamente precettive per il destinatario, che incidono sulla sua sfera giuridica indipendentemente da un atto applicativo”, essendo viceversa da escludersi l’impugnabilità di “un atto generale che necessita di una fase concretamente attuativa, per mezzo dell'attività che deve essere svolta” dall’Amministrazione»).
6. Il ricorso, nel merito, è infondato.
7. In premessa allo scrutinio dei motivi di ricorso si rende preliminare ricostruire il quadro normativo di riferimento.
7.1. Il quadro normativo europeo
La direttiva UE n. 2015/849 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, per come modificata dalla direttiva UE n. 2018/843 (di seguito anche solo direttiva UE n. 2015/849), dispone quanto segue:
Articolo 31:
“1. Gli Stati membri assicurano che il presente articolo si applichi ai trust e ad altri tipi di istituti giuridici, quali, tra l'altro, fiducie, determinati tipi di Treuhand o fideicomiso, quando tali istituti hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust. Gli Stati membri definiscono le caratteristiche in base alle quali determinare se un istituto giuridico ha assetto o funzioni affini a quelli dei trust per quanto riguarda tali istituti giuridici disciplinati ai sensi del diritto nazionale.
Ciascuno Stato membro prescrive che i fiduciari di trust espressi amministrati nel proprio territorio nazionale ottengano e mantengano informazioni adeguate, accurate e attuali sulla titolarità effettiva del trust. Tali informazioni includono l'identità:
a) del costituente o dei costituenti;
b) del «trustee» o dei «trustee»;
c) del guardiano o dei guardiani (se esistono);
d) dei beneficiari o della classe di beneficiari;
e) delle altre persone fisiche che esercitano il controllo effettivo sul trust.
Gli Stati membri garantiscono che le violazioni del presente articolo siano soggette a misure o sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.
2. Gli Stati membri provvedono affinché i trustee, o le persone che ricoprono posizioni equivalenti negli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 del presente articolo, rendano noto il proprio stato e forniscano prontamente ai soggetti obbligati le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo quando, in veste di trustee o di persona che ricopre una posizione equivalente in un istituto giuridico affine, instaurano un rapporto d'affari o eseguono un'operazione occasionale d'importo superiore alla soglia di cui all'articolo 11, lettere b), c) e d).
3. Gli Stati membri prescrivono che le autorità competenti e le FIU abbiano prontamente accesso alle informazioni di cui al paragrafo 1.
3 bis. Gli Stati membri prescrivono che le informazioni sulla titolarità effettiva di trust espressi e istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 siano contenute in un registro centrale dei titolari effettivi istituito dallo Stato membro in cui è stabilito o risiede il trustee del trust o la persona che ricopre una posizione equivalente in un istituto giuridico affine.
(...).
4. Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine siano accessibili in ogni caso:
a) alle autorità competenti e alle FIU, senza alcuna restrizione;
b) ai soggetti obbligati, nel quadro dell'adeguata verifica della clientela a norma del capo II;
c) a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse;
d) a qualunque persona fisica o giuridica che faccia una richiesta scritta in relazione a un trust o a un istituto giuridico affine che detiene una partecipazione di controllo in una società o in un altro soggetto giuridico diverso da quelli di cui all'articolo 30, paragrafo 1, attraverso il possesso, diretto o indiretto, anche tramite azioni al portatore, o attraverso il controllo con altri mezzi.
Le informazioni accessibili alle persone fisiche o giuridiche di cui al primo comma, lettere c) e d), comprendono il nome, il mese e anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo, così come la natura e l'entità dell'interesse beneficiario detenuto.
Gli Stati membri possono, alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, garantire l'accesso a informazioni aggiuntive che consentano l'identificazione del titolare effettivo. Tali informazioni aggiuntive contengono almeno la data di nascita o le informazioni di contatto, conformemente alle norme sulla protezione dei dati. Gli Stati membri possono concedere accesso più ampio alle informazioni contenute nel registro in conformità del loro diritto nazionale.
Le autorità competenti che hanno accesso al registro centrale di cui al paragrafo 3 bis sono le autorità pubbliche cui sono attribuite responsabilità in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro o il finanziamento del terrorismo, nonché le autorità fiscali, le autorità di vigilanza dei soggetti obbligati e le autorità che hanno il compito di indagare o perseguire i casi di riciclaggio, i reati presupposto associati e il finanziamento del terrorismo, e di tracciare, sequestrare o congelare e confiscare i proventi di reato.
(…).
7 bis. In circostanze eccezionali stabilite dal diritto nazionale, qualora l'accesso di cui al paragrafo 4, primo comma, lettere b), c) e d), esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione, o qualora il titolare effettivo sia minore di età o altrimenti incapace, gli Stati membri possono prevedere una deroga a tale accesso a tutte o parte delle informazioni sulla titolarità effettiva, caso per caso. Gli Stati membri assicurano che tali deroghe siano concesse previa una valutazione dettagliata della natura eccezionale delle circostanze. È garantito il diritto a un ricorso amministrativo contro la decisione di deroga nonché il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo. Gli Stati membri che concedono deroghe pubblicano dati statistici annuali circa il numero delle deroghe concesse e le motivazioni fornite e comunicano i dati alla Commissione.
Le deroghe accordate a norma del primo comma non si applicano agli enti creditizi, agli istituti finanziari e ai soggetti obbligati di cui all'articolo 2, paragrafo 1, punto 3), lettera b), che sono funzionari pubblici.
Qualora uno Stato membro decida di istituire una deroga a norma del primo comma, esso non limita l'accesso alle informazioni da parte delle autorità competenti e delle FIU.
(…)
Gli Stati membri adottano misure adeguate per assicurare che siano rese disponibili attraverso i rispettivi registri nazionali e attraverso il sistema di interconnessione dei registri soltanto le informazioni di cui al paragrafo 1 che sono aggiornate e corrispondono realmente alla titolarità effettiva, e che l'accesso a tali informazioni sia conforme alle norme sulla protezione dei dati.
(…)
10. Gli Stati membri notificano alla Commissione le categorie, la descrizione delle caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica dei trust e degli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 entro il 10 luglio 2019. La Commissione pubblica l'elenco consolidato di tali trust e istituti giuridici affini nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea entro il 10 settembre 2019.
Entro il 26 giugno 2020 la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio in cui valuta se tutti i trust e gli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 disciplinati ai sensi del diritto degli Stati membri siano stati debitamente individuati e assoggettati agli obblighi stabiliti nella presente direttiva. Ove opportuno, la Commissione adotta le misure necessarie per intervenire in base alle conclusioni di detta relazione”.
In ottemperanza alle previsioni di cui all’art. 31, par. 10 della direttiva UE 2015/849, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha notificato alla Commissione europea l’esistenza nell’ordinamento italiano del “mandato fiduciario” e del “vincolo di destinazione”, quali istituti giuridici affini al trust e, conseguentemente, è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale UE (2019/C 360/05) un “Elenco dei trust e degli istituti giuridici affini disciplinati ai sensi del diritto degli Stati membri quali notificati alla Commissione”, dal quale risulta che, nell’ordinamento italiano, gli istituti giuridici affini al trust sono il (a) “mandato fiduciario” e (b) il “vincolo di destinazione”.
Con la relazione del 16 settembre 2020 presentata al Parlamento europeo e al Consiglio (recante “valutazione della debita individuazione e del debito assoggettamento agli obblighi della direttiva (UE) 2015/849, da parte degli Stati membri, di tutti i trust e gli istituti giuridici affini disciplinati dai rispettivi diritti”) la Commissione ha compiuto la valutazione prevista dall’art. 31, par. 10, secondo periodo della direttiva – volta ad accertare “se tutti i trust e gli istituti giuridici affini … siano stati debitamente individuati e assoggettati agli obblighi stabiliti nella presente direttiva”.
Per quanto di interesse, la Commissione ha affermato che: “Tre Stati membri hanno notificato istituti di questo tipo che sono disciplinati direttamente dal diritto nazionale. È il caso delle fiducies francesi (articolo 2013 del codice civile francese), dei contrats fiduciaires del Lussemburgo (legge del 27 luglio 2003) e della fiducia della Romania (articoli da 773 a 791 del codice civile rumeno).
In altri casi, un istituto affine si basa sul principio generale dell'autonomia delle parti contraenti ed è delimitato dalle sentenze e dalla dottrina dei tribunali. Questo è il caso, ad esempio, del mandato fiduciario notificato dall'Italia. Sebbene non vi siano disposizioni nazionali che disciplinano questo tipo di contratto, esso di norma assume la forma di un regime che corrisponde a quello di una fiducia, con gli stessi effetti per quanto riguarda la separazione e il trasferimento di beni a un fiduciario a vantaggio di uno o più beneficiari”.
7.2. Il quadro normativo e regolamentare nazionale
A livello nazionale, il legislatore, in attuazione della direttiva UE n. 2015/849, con l’articolo 21 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, rubricato “Comunicazione e accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di persone giuridiche e trust”, per come modificato dall’articolo 2, comma 1, lett. h), n. 1) e n. 2), del d.lgs. n. 125/2019”, ha stabilito quanto segue:
“1. Le imprese dotate di personalità giuridica tenute all'iscrizione nel Registro delle imprese di cui all'articolo 2188 del codice civile e le persone giuridiche private tenute all'iscrizione nel Registro delle persone giuridiche private di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, comunicano le informazioni relative ai propri titolari effettivi, per via esclusivamente telematica e in esenzione da imposta di bollo, al Registro delle imprese, ai fini della conservazione in apposita sezione. L'omessa comunicazione delle informazioni sul titolare effettivo è punita con la medesima sanzione di cui all'articolo 2630 del codice civile.
2. L'accesso alla sezione è consentito:
a) al Ministero dell'economia e delle finanze, alle Autorità di vigilanza di settore, all'Unità di informazione finanziaria per l'Italia, alla Direzione investigativa antimafia, alla Guardia di finanza che opera nei casi previsti dal presente decreto attraverso il Nucleo Speciale Polizia Valutaria senza alcuna restrizione;
b) alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo;
c) all'autorità giudiziaria, conformemente alle proprie attribuzioni istituzionali;
d) alle autorità preposte al contrasto dell'evasione fiscale, secondo modalità di accesso idonee a garantire il perseguimento di tale finalità, stabilite in apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;
e) ai soggetti obbligati, a supporto degli adempimenti prescritti in occasione dell'adeguata verifica, previo accreditamento e dietro pagamento dei diritti di segreteria di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580;
f) al pubblico, dietro pagamento dei diritti di segreteria di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580. L'accesso ha ad oggetto il nome, il cognome, il mese e l'anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo e le condizioni, di cui all'articolo 20, in forza delle quali il titolare effettivo è tale. In circostanze eccezionali, l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva può essere escluso, in tutto o in parte, qualora l'accesso esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione ovvero qualora il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d'età, secondo un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze. I dati statistici relativi al numero delle esclusioni deliberate e alle relative motivazioni sono pubblicati e comunicati alla Commissione europea con le modalità stabilite dal decreto di cui al comma 5.
3. I trust produttivi di effetti giuridici rilevanti a fini fiscali, secondo quanto disposto dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986 n. 917 nonché gli istituti giuridici affini stabiliti o residenti sul territorio della Repubblica italiana, sono tenuti all'iscrizione in apposita sezione speciale del Registro delle imprese. Le informazioni di cui all'articolo 22, comma 5, relative alla titolarità effettiva sono comunicate, a cura del fiduciario o dei fiduciari, di altra persona per conto del fiduciario o della persona che esercita diritti, poteri e facoltà equivalenti in istituti giuridici affini, per via esclusivamente telematica e in esenzione da imposta dio bollo, al Registro delle imprese, ai fini della relativa conservazione. L'omessa comunicazione delle informazioni sul titolare effettivo è punita con la medesima sanzione di cui all'articolo 2630 del codice civile.
4. L'accesso alle informazioni di cui all'articolo 22, comma 5, relative alla titolarità effettiva dei medesimi trust è consentito:
(…) lett. d-bis) (…) ai soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, qualora abbiano evidenze concrete e documentate della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale. L'interesse deve essere diretto, concreto ed attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non deve coincidere con l'interesse di singoli appartenenti alla categoria rappresentata. In circostanze eccezionali, l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva può essere escluso, in tutto o in parte, qualora l'accesso esponga il titolare effettivo a un rischio sproporzionato di frode, rapimento, ricatto, estorsione, molestia, violenza o intimidazione ovvero qualora il titolare effettivo sia una persona incapace o minore d’età, secondo un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze”.
L’art. 22, comma 5 bis d.lgs. n. 231/2007 (inserito dall’art. 2, comma 1, lett. i), n. 5) d.lgs. n. 125/2019), per quanto interessa in questa sede, a sua volta, prevede che “Per le finalità di cui al presente decreto, si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine”.
Venendo, nello specifico, all’esame delle censure si osserva quanto segue.
8. Con il primo motivo parte ricorrente contesta che, con gli atti impugnati, l’Amministrazione abbia incluso nella nozione di “istituti giuridici affini al trust”, rilevante ai fini dell’applicazione delle previsioni di cui al d.lgs. n. 231/2007, anche il c.d. mandato fiduciario.
La ricomprensione del mandato fiduciario tra gli istituti giuridici affini al trust sarebbe erronea per le seguenti ragioni:
- i provvedimenti impugnati avrebbero omesso di considerare che all’istituto del “mandato fiduciario” sono riconducibili, accanto al negozio fiduciario in senso stretto, in cui si realizza il trasferimento della proprietà dal fiduciante al fiduciario (sul modello della c.d. fiducia romanistica) anche forme di mandato che si caratterizzano per il trasferimento della sola legittimazione ad amministrare e non anche della proprietà e dei poteri di controllo sul bene (sul modello della c.d. fiducia germanistica); sotto tale profilo la riconduzione del mandato fiduciario agli “istituti affini” ai trust violerebbe l’art. 22, comma 5 bis, del d.lgs. n. 231/2007 il quale invece prevede che «“si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche he avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine” (…). Da ciò discende che tutt’al più le sole fiducie romanistiche, che prevedono come detto il pieno trasferimento del bene dal fiduciante al fiduciario, potrebbero essere avvicinate al trust, ma non anche le figure germanistiche che sono prive di tale definitivo effetto traslativo.» (pp. 23 e 24 del ricorso);
- non essendo il mandato fiduciario una categoria unitaria sotto il profilo dell’assetto e delle funzioni, sarebbe irragionevole assoggettare tutte le diverse forme negoziali cui esso può esplicarsi agli obblighi previsti per i trust;
- l’inclusione delle amministrazioni fiduciarie tra i destinatari degli obblighi di comunicazione e iscrizione previsti dall’articolo 21 del d.lgs. n. 231/2007 violerebbe “ogni canone di ragionevolezza e proporzionalità, tenuto conto dei penetranti meccanismi ispettivi e di controllo cui già sono ordinariamente soggette le società fiduciarie (…).” (cfr. sul punto p. 27 e 28 del ricorso cui si rinvia per ragioni di sintesi);
- è “irragionevole e violativo dei principi di tassatività e determinatezza, il meccanismo sanzionatorio ricollegato all’inadempimento degli obblighi di iscrizione e comunicazione de quibus: un meccanismo in base al quale l’irrogazione della sanzione dipende dalla sussistenza, in capo al soggetto sanzionato, di una qualità – quella di “affinità” rispetto al trust – che non ha alcun riscontro oggettivo all’interno dell’ordinamento (…)”;
- la portata della notifica effettuata dalla Repubblica Italiana, con riferimento al “mandato fiduciario” dovrebbe quindi intendersi limitata ai soli negozi a struttura fiduciaria che determinano il trasferimento della proprietà dal fiduciante al fiduciario e non la mera attribuzione al fiduciario di un diritto gestorio teso all’amministrazione del bene.
8.1. Lo scrutinio del primo motivo impone di stabilire se sia legittimo, alla luce dell’articolo 31, par. 1 e par. 10 della direttiva UE n. 2015/849, dell’art. 21, comma 3 e dell’art. 22, comma 5 bis del d.lgs. n. 231/2007, considerare il mandato fiduciario istituto giuridico affine al trust.
Per valutare la correttezza dell’assimilazione tra il trust e mandato fiduciario, ai fini in discussione, occorre soffermarsi sulla ratio della disciplina di riferimento, per come emergente dai considerando delle direttive antiriciclaggio, di seguito riportati:
- occorre contrastare gli “sforzi compiuti dai criminali e dai loro complici per mascherare l'origine dei proventi di attività criminose o per incanalare fondi di origine lecita o illecita a scopo di finanziamento del terrorismo” (considerando 2, direttiva UE 2015/849);
- le misure previste dalla direttiva devono affrontare “il mascheramento di fondi provenienti da forme gravi di criminalità e la raccolta di beni o di denaro a scopo di finanziamento del terrorismo” (considerando 5, direttiva UE 2015/849);
- si rivela necessario “identificare le persone fisiche che sono titolari ovvero esercitano il controllo di soggetti giuridici. Al fine di garantire un'effettiva trasparenza, gli Stati membri dovrebbero fare in modo che il più elevato numero possibile di soggetti giuridici costituiti o creati tramite altri meccanismi nel loro territorio siano sottoposti a tale obbligo” (considerando 12, direttiva UE 2015/849);
- “L'identificazione e la verifica dell'identità dei titolari effettivi dovrebbero, ove opportuno, essere estese ai soggetti giuridici che possiedono altri soggetti giuridici e i soggetti obbligati dovrebbero individuare la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, esercitano il controllo tramite la titolarità, o tramite altri mezzi, del soggetto giuridica cliente (…)” (considerando 13, direttiva UE 2015/849);
- “La necessità di informazioni accurate e aggiornate sul titolare effettivo è un elemento fondamentale per rintracciare criminali che potrebbero altrimenti occultare la propria identità dietro una struttura societaria. Gli Stati membri dovrebbero pertanto assicurare che i soggetti giuridici costituiti nel loro territorio in conformità del diritto nazionale ottengano e conservino informazioni adeguate, accurate e attuali sulla loro titolarità effettiva, oltre alle informazioni di base quali il nome della società, l'indirizzo e la prova dell'atto costitutivo e della titolarità legale. (…). Gli Stati membri dovrebbero inoltre provvedere affinché sia garantito l'accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati, ad altre persone che siano in grado di dimostrare un interesse legittimo in relazione al riciclaggio, al finanziamento del terrorismo e ai reati presupposto associati, quali la corruzione, i reati fiscali e la frode. Le persone che sono in grado di dimostrare un interesse legittimo dovrebbero avere accesso alle informazioni sulla natura e la portata dell'effettivo interesse detenuto, consistente nel suo peso approssimativo” (considerando 14, direttiva UE 2015/849);
- “A tal fine gli Stati membri dovrebbero poter consentire, ai sensi del diritto nazionale, un accesso più ampio di quello stabilito dalla presente direttiva” (considerando 15, direttiva UE 2015/849);
- “Per garantire condizioni di parità tra i vari tipi di assetti giuridici, anche i fiduciari dovrebbero essere tenuti a ottenere, mantenere e fornire informazioni sulla titolarità effettiva ai soggetti obbligati che adottano misure volte all'adeguata verifica della clientela, nonché a comunicare tali informazioni ad un registro centrale o una banca dati centrale e dovrebbero rivelare il loro status ai soggetti obbligati. Soggetti giuridici quali fondazioni e istituti giuridici analoghi ai trust dovrebbero essere sottoposti a disposizioni equivalenti” (considerando 17, direttiva UE 2015/849);
- “(…) occorre accrescere ulteriormente la trasparenza generale del contesto economico e finanziario dell'Unione. La prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo può essere efficace solo se l'ambiente circostante è ostile ai criminali che cercano di proteggere le loro attività finanziarie attraverso strutture non trasparenti. L'integrità del sistema finanziario dell'Unione dipende dalla trasparenza delle società e di altri soggetti giuridici, trust e [istituti] giuridici affini. L'obiettivo della presente direttiva è non solo quello di individuare i casi di riciclaggio di denaro e di indagare al riguardo, ma anche di evitare che essi si verifichino. Il rafforzamento della trasparenza potrebbe essere un potente deterrente” (considerando 4, direttiva UE 2018/843);
- “L'accesso pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva consente alla società civile, anche attraverso le sue organizzazioni e la stampa, di effettuare una valutazione più accurata di queste informazioni e contribuisce a mantenere la fiducia nell'integrità delle operazioni commerciali e del sistema finanziario. Inoltre può contribuire a combattere l'uso improprio di società, altri soggetti giuridici e istituti giuridici per riciclare denaro e finanziare il terrorismo sia favorendo le indagini che per i suoi effetti in termini di reputazione, dato che tutti coloro che potrebbero effettuare operazioni sono a conoscenza dell'identità dei titolari effettivi. Ciò facilita anche la tempestiva ed efficiente messa a disposizione delle informazioni agli istituti finanziari e alle autorità, comprese quelle dei paesi terzi, che si occupano del contrasto di tali reati. L'accesso a tali informazioni gioverebbe inoltre alle indagini sul riciclaggio di denaro, sui reati presupposto associati e sul finanziamento del terrorismo” (considerando 30, direttiva UE 2018/843);
- “La fiducia degli investitori e del grande pubblico nei mercati finanziari dipende in larga misura dall'esistenza di un preciso regime di comunicazione che offra trasparenza per quanto concerne la titolarità effettiva e le strutture di controllo delle società. (...) Il potenziale incremento della fiducia nei mercati finanziari dovrebbe essere considerato un effetto collaterale positivo e non lo scopo finale di una maggiore trasparenza, che è infatti quello di creare un ambiente meno suscettibile di essere utilizzato per le attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo” (considerando 31, direttiva UE 2018/843).
8.2. Orbene, dal quadro appena esposto, emerge come le delineate regole di trasparenza siano funzionali ad evitare che, attraverso il mascheramento dei titolari effettivi, venga facilitato il compimento di operazioni illecite e la loro impunità. Nella prospettiva europea, dunque, occorre che tutti gli istituti che, come il trust, sono in grado di occultare la titolarità effettiva siano soggetti alle misure previste dalle direttive antiriciclaggio.
Ciò premesso deve rimarcarsi che nel mandato fiduciario:
- si attribuisce la titolarità formale dei beni oggetto di mandato nonché la legittimazione all’esercizio di diritti normalmente spettanti al proprietario ad un soggetto diverso dal proprietario stesso (la società fiduciaria); ciò in virtù di un mandato senza rappresentanza che legittima la Società fiduciaria ad agire in nome proprio, senza spendita del nome del fiduciante, apparendo così come l’unico titolare di fronte ai terzi;
- il titolare effettivo rimane il fiduciante.
Si produce così quell’effetto pratico di mascheramento che è esattamente ciò che il legislatore europeo vuole contrastare con la previsione degli esposti obblighi informativi e comunicativi riguardanti la titolarità effettiva. Deve pertanto concludersi che il mandato fiduciario, sotto il profilo appena evidenziato, presenti criticità analoghe al trust.
Le conclusioni ora esposte non sono messe in discussione dal rilievo di parte ricorrente secondo cui al mandato fiduciario sono riconducibili due differenti modelli di gestione del bene e di trasferimento della titolarità (fiducia romanistica e fiducia germanistica). Difatti, ciò che rileva, ai fini dell’applicazione delle disposizioni richiamate, non è se la causa fiduciae venga attuata attraverso (o meno) il trasferimento della proprietà dal fiduciante al fiduciario, bensì se il congegno negoziale utilizzato in concreto dalle parti sia idoneo (o meno) a determinare un occultamento del titolare effettivo. Ebbene, nel caso delle società fiduciarie, è fuor di dubbio che si realizzi un’intestazione dei beni in favore di un soggetto diverso dal titolare effettivo e ciò è sufficiente, a giudizio del Collegio, ad integrare quella situazione di opacità che la normativa europea mira a contrastare, e, dunque, in ultima analisi, a ritenere che il mandato fiduciario sia un istituto giuridico affine al trust, con conseguente infondatezza delle doglianze sotto questo primo profilo.
8.3. Del pari priva di pregio è la tesi di parte ricorrente secondo la quale la notifica inviata dalla Presidenza del Consiglio in data 16 luglio 2019 alla Commissione ai sensi dell’art. 31, par. 10 direttiva UE 2015/849 (di seguito anche solo notifica) debba ritenersi riferita alle sole fattispecie riconducibili al modello di fiducia romanistica.
Va osservato, in primo luogo, che le caratteristiche del mandato fiduciario, descritte dal Governo nel suddetto atto di notifica, corrispondono esattamente alla definizione del mandato fiduciario di cui al d.m. 16 gennaio del 1995 recante “Elementi informativi del procedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza”, improntato allo schema della fiducia germanistica.
In secondo luogo occorre rilevare che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella notifica, al paragrafo 4, rubricato “Principali istituti giuridici affini al trust presenti nell’ordinamento italiano”, indica espressamente il mandato fiduciario (par. 4.1.) e il vincolo di destinazione (par. 4.2.). Inoltre proprio con riferimento al “mandato fiduciario di diritto continentale”, pur evidenziando la differenza strutturale tra i due istituti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri conclude nel senso che “il trust sia l’equivalente anglosassone del mandato fiduciario”, ritenendo così di valorizzare, sotto il profilo degli effetti dell’istituto e della ratio protettiva della direttiva, l’equivalenza tra trust e mandato fiduciario.
8.4. Parimenti privi di pregio sono gli argomenti spesi da parte ricorrente per sostenere che il mandato fiduciario non ponga i problemi di trasparenza, propri dei trust, atteso che, come già chiarito in precedenza, e peraltro affermato dalla stessa parte ricorrente (cfr. memoria parte ricorrente del 23 febbraio 2024, pp. 22 e 29) nel caso delle società fiduciarie non vi è mai corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale.
Ne deriva la legittimità della qualificazione, ad opera degli atti impugnati, del mandato fiduciario quale istituto affine/analogo al trust, dovendosi rimarcare che il concetto di analogia, tanto più in questa materia, presuppone non già una piena sovrapponibilità tra istituti, quanto piuttosto un raffronto circa l’assimilabilità degli effetti concretamente prodotti.
Le presenti conclusioni sono confermate anche dal contenuto della relazione del 16 settembre 2020 che la Commissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio, recante “valutazione della debita individuazione e del debito assoggettamento agli obblighi della direttiva (UE) 2015/849, da parte degli Stati membri, di tutti i trust e gli istituti giuridici affini disciplinati dai rispettivi diritti” ove:
- si afferma che un istituto giuridico affine al trust riguarda in generale “un meccanismo in cui i beni sono affidati a una persona, che ne detiene il diritto di proprietà o li gestisce a vantaggio di una o più persone terze o per uno scopo specifico”;
- si lamenta la mancata notifica, da parte di alcuni Stati, di istituti che la letteratura giuridica individua come affini al trust (in particolare, la fiducia per l’ordinamento spagnolo), in cui la titolarità fiduciaria è solo formale e non vi è alcun trasferimento di beni in senso stretto. Nella predetta relazione, in particolare, si afferma che: “Come il mandato fiduciario italiano, anche la fiducia spagnola si basa sull'autonomia delle parti contraenti di cui all'articolo 1255 del codice civile spagnolo. A norma di tale istituto, il fiduciario detiene un diritto di proprietà sui beni che non gli cede la titolarità ma gli consente di agire in qualità di titolare in relazione a terzi e di amministrare i beni con pieni poteri … tale istituto garantisce al fiduciario un diritto di proprietà effettivo, seppur limitato, sui beni, paragonabile a quello di altri istituti analoghi ai trust esaminati nella presente relazione (…) Tutte queste somiglianze suggeriscono che la fiducia spagnola presenti una funzione affine a quella di un trust”.
Il riferimento specifico da parte della Commissione non solo alle fattispecie traslative della proprietà dei beni, ma anche alle ipotesi di mera gestione per conto del fiduciante o per uno scopo specifico, quali istituti giuridici affini al trust, conferma ulteriormente la non condivisibilità della prospettazione di parte ricorrente.
8.5. Deve inoltre rilevarsi l’insussistenza della dedotta violazione del principio di proporzionalità, argomentata in ragione della vigenza nel nostro ordinamento di una serie di norme che già prevedevano meccanismi di controllo per risalire ai titolari effettivi. In senso contrario alla fondatezza del dedotto vizio, vale rimarcare la precipua finalità della nuova disciplina (il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo), che ha reso necessario, da un lato, ampliare la platea dei soggetti che possono accedere alle informazioni sui titolari effettivi (non solo l’autorità giudiziaria e le autorità di vigilanza, ma anche le categorie dei cc.dd. soggetti obbligati e legittimati), dall’altro, introdurre più puntuali e stringenti regole di conservazione dei predetti dati e un più agevole meccanismo di accesso agli stessi.
8.6. Parimenti priva di fondamento è la tesi secondo cui le previsioni impugnate, ove fanno riferimento ad un concetto, quello di “affinità”, indeterminato sarebbero violative dei principi di tassatività e determinatezza cui sono soggette le norme impositive di obblighi presidiati da sanzione. La dedotta violazione non sussiste in quanto il legislatore nazionale ha specificato il contenuto della predetta nozione nel senso che “si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine”.
E a tale definizione è univocamente riconducibile l’istituto del mandato fiduciario che trova la sua disciplina di riferimento nel d.m. del 16 gennaio 1995 recante “Elementi informativi del procedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza” e, prim’ancora, alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 recante la “Disciplina delle società fiduciarie e di revisione”.
Alla luce di quanto sin qui complessivamente esposto ne deriva l’infondatezza del primo motivo.
9. Con un secondo motivo di ricorso parte ricorrente, sotto un primo profilo, sostiene che «ove la norma nazionale fosse interpretata – come fanno gli atti e i provvedimenti impugnati – nel senso di ritenere che, per le finalità di cui al medesimo D.lgs. n. 231/2007, si considerano “istituti giuridici affini al trust” anche i “mandati fiduciari” e, in particolare, i rapporti relativi alle società fiduciarie” dovrebbe essere “disapplicato l’art. 22, co. 5 bis del D.lgs. n. 231/2007 per contrasto con l’art. 31, par. 1 della Direttiva UE n. 2015/849 ss.mm.ii».
9.1. Le considerazioni esposte nell’esaminare il primo motivo possono essere spese anche per rilevare l’infondatezza delle censure contenute nel secondo motivo. Difatti, una volta chiarito che, rispetto alla ratio protettiva delle direttive antiriciclaggio, il mandato fiduciario deve considerarsi un istituto giuridico affine al trust, deve escludersi che il citato 22, comma 5 bis, si ponga in contrasto con l’art. 31 della direttiva UE 2015/849; questa norma, difatti, richiede espressamente che gli obblighi informativi e comunicativi ivi previsti si applichino anche “altri tipi di istituti giuridici, quali, tra l'altro, fiducie, determinati tipi di Treuhand o fideicomiso, quando tali istituti hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust”, rimandando peraltro agli Stati membri la scelta di definire “le caratteristiche in base alle quali determinare se un istituto giuridico ha assetto o funzioni affini a quelli dei trust” ; prescrizione che, come chiarito al punto che precede, è stata correttamente adempiuta dall’ordinamento italiano con la notifica alla Commissione, ai cui contenuti si rimanda.
9.2. Il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento nemmeno per quel che attiene alla richiesta di «sottoporre alla CGUE la seguente questione pregiudiziale di interpretazione: «se l’art. 31, par. 1 della Direttiva UE n. 2015/849, come modificato dall’art. 1, par. 16 della Direttiva UE n. 2018/843, interpretato alla luce del principio di proporzionalità, osta ad una normativa nazionale che assimila l’istituto del “mandato fiduciario”, da intendersi nel senso sopra chiarito, ai trust e ad altri tipi di istituti giuridici che hanno un assetto o funzioni affini a quelli dei trust”».
Diversamente da quanto sostiene parte ricorrente, la scelta di includere il mandato fiduciario nella nozione di istituti affini ai trust non appare irragionevole né “sproporzionata”, ma si rivela del tutto coerente con l’esigenza di acquisire, anche per i mandati fiduciari, informazioni sulla titolarità effettiva in vista del perseguimento dell’interesse e delle finalità proprie della disciplina europea. Del resto, parte ricorrente non prospetta alcuna misura alternativa, meno invasiva e più in linea con l’invocato principio di proporzionalità, che il legislatore avrebbe potuto adottare per assicurare, anche in relazione al mandato fiduciario, il conseguimento degli obiettivi previsti dalle direttive antiriclaggio; né fornisce alcun argomento decisivo volto a contrastare la conclusione secondo cui anche il mandato fiduciario possa essere utilizzato per occultare fenomeni di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo.
9.3. Deve, infine, respingersi la richiesta, formulata in via di ulteriore subordine, di effettuare «il rinvio pregiudiziale per far dichiarare l’invalidità della predetta norma, “per contrasto con l’art. 5, parr. 1 e 4 TUE e con l’art. 288, par. 3 TFUE, in quanto irragionevolmente generica e non idonea a garantire l’armonizzazione delle disposizioni nazionali relative alle informazioni sulla titolarità effettiva dei trust e degli “istituti giuridici affini”, in contrasto con i principi di parità e di certezza del diritto, pure richiamati dalla Direttiva UE n. 2015/849 ss.mm.ii.»
Invero, la scelta di utilizzare una nozione, quale quella di “istituti giuridici affini ai trust”, di carattere generale, e per certi versi “indeterminata”, è l’effetto non già di una inadeguata tecnica legislativa, ma della consapevolezza, da parte del legislatore europeo, che gli ordinamenti nazionali utilizzano congegni e istituti giuridici diversi per conseguire le finalità proprie del trust. A fronte di questa consapevolezza, per evitare disparità di trattamento e assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, il legislatore europeo, in luogo di elaborare una categoria rigida, - cui difficilmente avrebbero potuto essere ricondotti i diversi istituti che perseguono l’effetto di mascheramento del titolare effettivo, del tutto ragionevolmente, ha deciso di dar rilievo all’assetto o alla funzione degli istituti che devono essere “affini” a quelli dei trust.
Occorre inoltre rimarcare che il legislatore europeo, per evitare possibili incertezze interpretative in merito alla nozione appena descritta, e nel doveroso rispetto delle differenze ordinamentali dei diversi Stati membri, ha comunque previsto l’obbligo per questi ultimi di “notificare alla Commissione le categorie, la descrizione delle caratteristiche, i nomi e, se del caso, la base giuridica dei trust e degli istituti giuridici affini di cui al paragrafo 1 entro il 10 luglio 2019”, rimettendo poi alla Commissione l’obbligo di pubblicare “l'elenco consolidato di tali trust e istituti giuridici affini nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea entro il 10 settembre 2019”; ciò che vale ad escludere che residuino margini apprezzabili di incertezza interpretativa per quel che concerne l’individuazione degli istituti giuridici affini ai trust.
Ne deriva l’infondatezza del secondo motivo in relazione a tutti i profili in cui è prospettato.
10. Con il terzo motivo, formulato in via di ulteriore subordine, «ove mai si ritenesse – anche all’esito del rinvio pregiudiziale di cui al par. II del presente Ricorso – che l’art. 31, par. 1 della Direttiva UE n. 2015/849 ss.mm.ii. non osti ad una disciplina nazionale, come quella introdotta dagli atti e dai provvedimenti impugnati, che assimili il “mandato fiduciario” agli “istituti giuridici affini ai trust espressi”, si deduce l’incostituzionalità dell’art. 22, co. 5 bis del D.lgs. n. 231/2007 in quanto formulato in modo evidentemente generico, in contrasto con il principio di prevedibilità degli effetti della legge».
La prospettata questione di incostituzionalità è manifestamente infondata, dovendosi escludere che l’art. 22, comma 5 bis, del d.lgs. n. 231/2007 lasci incertezze in ordine all’individuazione degli istituti giuridici affini al trust nel nostro ordinamento. Siffatta disposizione, infatti, specifica che “si considerano istituti giuridici affini al trust gli enti e gli istituti che, per assetto e funzioni, determinano effetti giuridici equivalenti a quelli dei trust espressi, anche avuto riguardo alla destinazione dei beni ad uno scopo ed al controllo da parte di un soggetto diverso dal proprietario, nell'interesse di uno o più beneficiari o per il perseguimento di uno specifico fine”. E tale definizione, come pure già chiarito nell’esaminare il primo motivo di ricorso, è univocamente riconducibile a quella del mandato fiduciario che trova la sua disciplina di riferimento nei citati d.m. del 16 gennaio 1995 e nella legge 23 novembre 1939, n. 1966. Tutto ciò esclude che possano ravvisarsi profili di indeterminatezza relativi all’applicazione della normativa censurata.
Ne deriva l’infondatezza anche del terzo motivo.
11. Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente censura la previsione contenuta nell’articolo 7 comma 2 del DM MEF n. 55/2022, ove prevede una forma di accesso, asseritamente “generalizzato”, alle informazioni sulla titolarità effettiva comunicate dai trust e dagli “istituti giuridici affini”.
11.1. Tale previsione, sotto un primo profilo, opererebbe una illegittima estensione del campo di applicazione dell’art. 21, comma 4, lett. d bis) del d.lgs. n. 231/2007, il quale consente l’accesso alle informazioni di cui all’articolo 22, comma 4, limitatamente ai dati e alle informazioni dei trust e non anche a quelle degli istituti giuridici affini.
La censura è priva di fondamento. Invero, sebbene l’articolo 21, comma 4, lett. d) bis non menzioni nuovamente, accanto al trust, anche gli istituti giuridici affini, la soggezione di tale istituto agli obblighi previsti in materia di accesso si ricava in modo inequivocabile da una lettura contestuale dei diversi commi dell’articolo 21.
Viene in rilievo, anzitutto, il comma 1, il quale prevede, in termini generali, per le persone giuridiche ivi indicate, senza distinguere tra trust ed istituti giuridici affini, l’obbligo di comunicare le informazioni relative ai propri titolari effettivi al registro delle imprese, ai fini della conservazione in apposita sezione.
Il comma 2 dell’articolo 21 precisa poi che l’accesso alla sezione, cui, per quanto in precedenza evidenziato, sono tenuti ad iscriversi sia i trust che gli istituti giuridici affini è consentito “f) al pubblico, dietro pagamento dei diritti di segreteria di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580. L'accesso ha ad oggetto il nome, il cognome, il mese e l'anno di nascita, il paese di residenza e la cittadinanza del titolare effettivo e le condizioni, di cui all'articolo 20, in forza delle quali il titolare effettivo è tale. (..)”.
L’articolo 21, comma 5 della disposizione in esame, a sua volta, nel delineare i contenuti del decreto da adottarsi dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, in attuazione delle previsioni normative primarie, si riferisce espressamente ai trust e agli istituti giuridici affini.
Ciò premesso la mancata menzione, all’interno del comma 4 dell’articolo 21, accanto ai trust, degli istituti giuridici ad esso affini (a questo punto verosimilmente dovuta ad un refuso del legislatore) in alcun modo intacca la legittimità dei decreti ministeriali di attuazione ove fanno riferimento ai mandati fiduciari; e ciò in quanto la base normativa degli obblighi ivi previsti per gli istituti affini al trust (e quindi anche per il mandato fiduciario) è già contenuta nei commi 1, 2 e 5 dell’articolo 21.
11.2. Sotto altro profilo, parte ricorrente evidenzia che l’art. 7, comma 2, del DM MEF n. 55/2022 sarebbe illegittimo in via derivata per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 4, lett. d-bis) del d.lgs. n. 231/2007, per contrasto con i principi espressi dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, del 22 novembre 2022, pronunciata nelle cause C-97/20; C-601/20, WM e Sovim SA c. Luxembourg Business Registers. Detta pronuncia, nell’affermare che l’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettera c), della IV Direttiva antiriciclaggio ove prevede un accesso in ogni caso al pubblico sulle informazioni sulla titolarità effettiva non rappresenti una misura “strettamente necessaria per prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo” impedirebbe agli ordinamenti nazionali di prevedere forme di accesso al pubblico al registro dei titolari effettivi.
Non sussiste la dedotta violazione. La Corte di Giustizia, difatti, non ha affermato l’illegittimità di qualsiasi forma di accesso al pubblico al registro dei titolari effettivi, ma si è limitata a dichiarare invalida la previsione di cui all’articolo 1, paragrafo 15, lettera c), della V Direttiva antiriciclaggio nella parte in cui detta norma ha modificato l’articolo 30, paragrafo 5, primo comma, lettera c), della IV Direttiva antiriciclaggio, eliminando il riferimento al legittimo interesse quale presupposto dell’accesso del pubblico.
La pronuncia della Corte, dunque, nel dichiarare invalida la richiamata previsione, ha determinato la “reviviscenza” nel diritto unionale di quanto originariamente previsto dalla IV Direttiva antiriciclaggio, che limitava l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, oltre che alle autorità competenti e ai soggetti obbligati, “a qualunque persona od organizzazione che possa dimostrare un legittimo interesse”.
Che la Corte abbia inteso censurare il regime sull’accesso introdotto dalla direttiva del 2018/843 e (per brevità di seguito anche solo “nuovo regime”) e non anche la precedente versione dell’articolo 30, oltreché dal contenuto della richiesta di rinvio, è confermato dal punto 85 della richiamata sentenza ove si afferma che: “rispetto a un regime come quello dell'articolo 30, paragrafo 5, della direttiva 2015/849 nella versione precedente all'entrata in vigore della direttiva 2018/843, che prevedeva, oltre all'accesso da parte delle autorità competenti e di determinate entità, quello da parte di qualunque persona od organizzazione che potesse dimostrare un legittimo interesse, il regime introdotto da quest'ultima direttiva, che prevede l'accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva, rappresenta una lesione considerevolmente più grave dei diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta, senza che tale aggravamento sia compensato dagli eventuali benefici che potrebbero derivare da quest'ultimo regime rispetto al primo, sotto il profilo della lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo”.
A ben vedere, quindi, ciò che la Corte ritiene non conforme al principio di proporzionalità è che venga consentito l’accesso “in ogni caso al pubblico” come è previsto dal “nuovo regime”; nessuna obiezione, invece, nemmeno incidenter tantum, viene mossa nei confronti del “vecchio regime” (ripristinato dalla pronuncia in questione), ove l’accesso al pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva è subordinato alla ricorrenza di un “interesse legittimo”.
A prescindere da quanto appena osservato in ordine reviviscenza delle previsioni di cui all’articolo 30, comma 5, della direttiva UE 849/2015, occorre rimarcare che tale disposizione si riferisce, genericamente, alle “società” e alle altre “entità giuridiche”, mentre la norma che disciplina specificamente i trust e gli istituti giuridici ad essi affini, è l’articolo 31 della direttiva UE 2015/849, il quale, al comma 4, prevede, anche a seguito delle modifiche operate dalla direttiva del 2018, che l’accesso è consentito “c) a qualunque persona fisica o giuridica che possa dimostrare un legittimo interesse”.
Alla luce di quanto precede deve concludersi che, stante il quadro normativo sovranazionale, sia senz’altro consentito l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva di un trust o di un istituto giuridico affine a chiunque possa dimostrare un “legittimo interesse”.
Con specifico riferimento a questa nozione vale la pena ricordare che il considerando n. 14 della direttiva del UE 2015/849 “parla” espressamente di “legittimo interesse in relazione al riciclaggio, al finanziamento del terrorismo e ai reati presupposto associati, quali la corruzione, i reati fiscali e la frode"; in ciò rendendo evidente che l’accesso possa (e debba) essere consentito solo allorquando l’interesse ad esso sotteso sia, per così dire, coerente ed omogeneo con le finalità previste dalla normativa antiriciclaggio.
Stante sin qui complessivamente esposto deve rilevarsi l’infondatezza del quarto motivo di ricorso per le seguenti ragioni:
- diversamente da quanto affermato da parte ricorrente, la CEG non escluso l’accesso al pubblico al registro dei titolari effettivi, del resto espressamente consentito dall’articolo 31, comma 4, della direttiva UE 2015/849 alle condizioni ivi indicate;
- il legislatore italiano, con l’articolo 21, comma 4, lett. d-bis, non ha previsto una forma di accesso generalizzato, sul modello di quello contenuto nella disposizione dichiarata invalida dalla richiamata pronuncia della CEG, ma ha subordinato la possibilità di accedere alle informazioni sul titolare effettivo alla ricorrenza delle seguenti stringenti condizioni:
1) il richiedente sia titolare di un interesse giuridico rilevante e differenziato;
2) l’accesso sia necessario per curare o difendere un interesse corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata;
3) vi siano evidenze concrete e documentate della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale.
11.3. Il Collegio, pur non essendo stato investito esplicitamente della questione, a fini di completezza e nell’ottica di favorire un’uniforme applicazione della normativa di nuova introduzione, non può far a meno di precisare – incidenter tantum - che la situazione giuridica differenziata cui fa riferimento l’articolo 21, comma 4, lett. d-bis, per legittimare l’accesso, deve essere pur sempre connessa alla tutela degli interessi che le direttive antiriciclaggio perseguono. A tale conclusione si perviene sia in ragione della collocazione della previsione impugnata all’interno del d.lgs. 231/2007, corpus normativo appositamente deputato all’attuazione delle direttive antiriciclaggio, sia alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale al diritto dell’Unione.
Come chiarito, il legislatore europeo, nel regolamentare il diritto di accesso al pubblico in questa materia, ha individuato il punto di equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali ed il perseguimento delle finalità delle direttive antiriciclaggio, nella previsione del “legittimo interesse” quale preliminare filtro all’accesso; nozione che il legislatore nazionale ha poi declinato con quella di “interesse giuridico rilevante e differenziato” (verosimilmente, per non ingenerare confusione con l’omonima nozione già presente nel nostro ordinamento).
L’articolo 21, comma 4, lett. d-bis, ove interpretato diversamente, nel senso di consentire l’accesso per la tutela di qualsivoglia situazione giuridica, anche non correlata alle finalità della normativa antiriciclaggio, si porrebbe in contrasto con il diritto unionale, e ne sarebbe imposta la disapplicazione.
12. Alla luce di quanto complessivamente esposto il ricorso va dichiarato infondato.
13. La complessità e la novità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.