Non basta affermare che uno dei due ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, ma è necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno al fine di verificare se tale rinuncia abbia determinato una riduzione delle sue possibilità di guadagno e di lavoro.
In un giudizio avente ad oggetto la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, Caia ricorre per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello deducendo l'errata esclusione del suo diritto a ricevere l'assegno divorzile.
Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe deciso in modo conforme alla disciplina applicabile al caso di specie, laddove ha ritenuto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, per mancanza della prova che le scelte di vita familiare avessero comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative.
Per l'attribuzione dell'assegno divorzile, però, occorrerebbe «solamente valutare se la sperequazione reddituale sia conseguenza, come nel caso in esame, della scelta di un coniuge, condivisa dall'altro per le economie di vita, di dedicarsi esclusivamente alla famiglia», senza doversi fare in alcun modo riferimento alla effettiva dimostrazione della perdita di concrete opportunità di lavoro.
Nel caso in esame si osserva che, oltre alla durata ultra trentennale del rapporto coniugale, la coppia ha avuto quattro figli di cui uno è affetto da grave disturbo schizofrenico. Dunque, la scelta di rinunciare ad entrare nel mondo del lavoro, anche a costo del sacrificio delle proprie aspettative professionali reddituali, è stata conseguente e necessaria rispetto a quella di dedicarsi completamente alla cura della casa e dalla gestione di quattro figli. Inoltre, non vi erano stati «eventi particolari» o «singole offerte di lavoro od occasioni cui la predetta abbia dovuto rinunciare durante la vita matrimoniale», semplicemente perché la ricorrente, di comune accordo con il marito, non aveva cercato alcuna occupazione durante il matrimonio.
Per la Cassazione il motivo è infondato.
Ripercorrendo la giurisprudenza in tema di concessione e determinazione dell'assegno di divorzio tema, la Corte ha posto in rilievo proprio l'intervenuta rinuncia a prospettive lavorative e di carriera da parte del coniuge nel corso della vita matrimoniale. A tal proposito, ha ribadito che «si è affermato che il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi - che costituisce solo una precondizione fattuale per l'applicazione dei parametri di cui all'
Alla luce di tale principio, dunque, non spetta alla moglie l'assegno divorzile se non dia prova concreta della rinuncia a specifiche occasioni lavorative e se a seguito della separazione sia stata in grado di trovare un'occupazione a tempo pieno e indeterminato che le garantisca un reddito mensile.
Ciò detto, la Cassazione ritiene che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi ribaditi, avendo accertato, con piena valutazione di merito, non solo che la ricorrente non aveva dato la prova concreta della rinuncia a specifiche occasioni lavorative, ma anche che, a seguito della separazione, era stata in grado di trovare una occupazione, che le aveva garantito un reddito mensile di 20mila euro.
Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso con ordinanza n. 13919 del 20 maggio 2024.
Svolgimento del processo
1. M.C. ha chiesto al tribunale dell’Aquila la pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto con M.M., chiedendo la conferma delle condizioni stabilite dai coniugi in sede di separazione, ad esclusione dell’obbligo a suo carico di corrispondere l’assegno di mantenimento di euro 400,00 mensili in favore della coniuge. Quest’ultima, invece, ha evidenziato che «con estremo amore e dedizione, si è sempre, costantemente, dedicata alla cura della famiglia e dei figli» ed ha chiesto al tribunale di porre a carico del marito un assegno di mantenimento di euro 1200,00, di cui euro 800,00 per due dei quattro figli nati dal matrimonio, ed euro 400,00 per essa.
2. Il tribunale dell’Aquila, per quel che qui rileva, ha evidenziato che la M. era stata assunta a tempo determinato, con uno stipendio annuo di circa euro 20.000,00 lordi, e che il C. aveva un reddito di circa euro 35.000,00 lordi; il giudice di prime cure ha poi, sottolineato che «la M. ha dedicato quasi tutta la sua vita alla famiglia (4 figli), con la conseguenza che ha iniziato a lavorare molto tardi, valutata la durata del matrimonio (dal 1986 al 2012)», ed ha accolto la domanda di assegno divorzile quantifellcato in euro 100,00 al mes
3. La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui ancora rileva, ha accolto il motivo di ricorso del marito con riguardo alla eliminazione dell’assegno di divorzio.
In particolare, la corte territoriale ha richiamato i principi di cui alla sentenza di questa Corte, a sezioni unite, n. 18287 del 2018, per cui si è abbandonata la distinzione rigida tra criteri retributivi e determinativi dell’assegno, con una interpretazione dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, più coerente con i principi costituzionali di riferimento di cui agli articoli 2,3 e 29 della Costituzione.
Ha messo in evidenza la struttura dell’assegno di divorzio, che si compone di un contenuto perequativo-compensativo, che discende dal principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tenere conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, ma, in concreto, «di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente».
Tale giudizio di adeguatezza avrebbe dunque anche un «contenuto prognostico» declinato nella «concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso».
Peraltro, secondo la prospettazione del giudice di merito, «la funzione perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio non deve tenere conto solo dell’eventuale rilevante squilibrio reddituale- patrimoniale tra gli ex coniugi e valorizzare […] di per sé l’attività endo-familiare svolta dal coniuge economicamente più debole, facendo derivare da tale situazione il diritto automatico dell’assegno di divorzio».
Infatti, dopo la pronuncia di questa Corte a sezioni unite n. 18287 del 2018, si è chiarito che deve essere maggiormente valorizzata la funzione perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio, «in presenza di specifica prospettazione del sacrificio sopportato dal coniuge economicamente più debole per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali reddituali al fine di contribuire ai bisogni della famiglia ed alla formazione del patrimonio della famiglia e dell’ex coniuge».
Occorrerebbe, dunque, la prova, da parte del coniuge richiedente, «di aver rinunciato a realistiche occasioni professionali e reddituali», mentre non sarebbe sufficiente «che l’ex moglie si sia dedicata ai figli e alla gestione della vita domestica essendo necessario che tutto ciò abbia comportato il sacrificio di specifiche aspettative professionali e la rinuncia di concrete occasioni lavorative produttive di reddito».
Pertanto, ha proseguito il giudice di merito, è vero che la M., durante la vita coniugale, «allietata dalla nascita di quattro figli», ha impegnato tutto il proprio tempo e le proprie risorse alla cura della famiglia, decidendo di non svolgere attività lavorativa, per potersi dedicare completamente ai figli, alla casa e al marito, ma, ciononostante, «non vi [è] prova alcuna, da parte della M. Marisa che tali scelte abbiano comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative, da intendersi in modo specifico legate da eventi particolari e singole offerte di lavoro od occasioni cui la predetta abbia dovuto rinunciare durante la vita matrimoniale, cosicché la sua professionalità possa dirsi danneggiata o svilita in modo tangibile».
Tanto più che - ha osservato la corte territoriale - «dopo la separazione la M. è riuscita, seppur in età non più giovane, ad inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro, venendo assunta dal 2018 a tempo pieno ed indeterminato presso l’Ufficio Territoriale Carabinieri per la Biodiversità di Pescara con sede in Barisciano […] percependo un reddito annuo lordo di circa euro 20.000,00».
È mancata, allora, la prova «di una sacrificio concreto e specifico della professionalità della predetta tale da essere la causa di un percorso lavorativo inferiore o meno appagante di quello che avrebbe potuto avere se non si fosse dedicata alla vita familiare durante la convivenza coniugale».
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M., che ha anche depositato memoria scritta.
5. Ha resistito con controricorso M.C..
Motivi della decisione
1. Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. della legge n. 898 del 1970, art. 5 comma 6, in tema di riconoscimento, determinazione e quantificazione dell’assegno di divorzio-errata esclusione del diritto della signora M.M. ad assegno divorzile».
La Corte d’appello avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, nella interpretazione di questo fornita dalla sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 18287 dell’11 luglio 2018.
In particolare, si è ritenuto con tale pronuncia che l’assegno divorzile ha carattere non solo assistenziale ma, in pari misura, anche perequativo-compensativa, quale declinazione del principio costituzionale di solidarietà, dovendosi tenere conto delle aspettative professionali sacrificate.
Pertanto, il criterio assistenziale dell’inadeguatezza di mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve essere applicato in maniera del tutto equiordinata agli altri criteri, dovendosi tenere conto «del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto».
Ma ciò – e qui si radicherebbe l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di merito- «indipendentemente dalla prova della perdita di concrete opportunità di lavoro perché quest’ultimo non è un requisito imprescindibile ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, ma eventualmente un elemento rilevante ai fini della sua determinazione in senso più favorevole del coniuge debole».
La sentenza impugnata avrebbe, dunque, deciso in modo non conforme alla disciplina applicabile al caso di specie, laddove ha ritenuto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, per mancanza della prova che le scelte di vita familiare avessero comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative.
Per l’attribuzione dell’assegno divorzile, però, occorrerebbe «solamente valutare se la sperequazione reddituale sia conseguenza, come nel caso in esame, della scelta di un coniuge, condivisa dall’altro per le economie di vita, di dedicarsi esclusivamente alla famiglia», senza doversi fare in alcun modo riferimento alla effettiva dimostrazione della perdita di concrete opportunità di lavoro.
Del resto, risulta pacificamente la durata di oltre 30 anni del rapporto coniugale, contratto il 5 agosto 1986, i cui effetti civili sono cessati con la sentenza del tribunale dell’Aquila del 14 ottobre 2020; altrettanto pacifico è che la coppia ha avuto quattro figli, a brevissima distanza l’uno dall’altro, ed uno di essi, Andrea, è affetto da grave disturbo schizofrenico paranoide cronico. La scelta di rinunciare ad entrare nel mondo del lavoro, anche a costo del sacrificio delle proprie aspettative professionali reddituali, è stata conseguente e necessitata rispetto a quella di dedicarsi completamente alla cura della casa e dalla gestione di quattro figli.
Non vi erano stati «eventi particolari» o «singole offerte di lavoro od occasioni cui la predetta abbia dovuto rinunciare durante la vita matrimoniale», semplicemente perché la M., di comune accordo con il marito, non aveva cercato alcuna occupazione durante il matrimonio dovendo provvedere, da sola, all’onerosa gestione della numerosa famiglia e della casa.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Infatti, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, seguendo il costante orientamento di legittimità in ordine al riconoscimento dell’assegno divorzile.
3. Questa Corte, a sezione unite (sentenza n. 18287 del 2018, cit.), ha superato il contrasto tra la pronunzia della Corte n. 11490 del 1990 (sempre a sezioni unite), che aveva affermato che l’assegno aveva carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto della sua concessione doveva essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, da intendersi quale mancato raggiungimento del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di rapporto coniugale, e la successiva sentenza n. 11504 del 2017, che ha, invece, individuato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi la non autosufficienza economica del coniuge richiedente, con valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno dei coniugi, indipendentemente dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Nella sentenza n. 18287 del 2018, questa Corte, a sezioni unite, ha indicato un nuovo percorso interpretativo, che tiene conto sia della esigenza riequilibratrice posta a base dell’orientamento proposto dalle sezioni unite con la la sentenza n. 11490 del 1990, sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standard europei, abbandonandosi la rigida distinzione tra criteri retributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, con una interpretazione più coerente del quadro costituzionale di riferimento costituito dagli articoli 2,3 e 29 Cost.
Il parametro dell’adeguatezza dei mezzi va valutato in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniale delle parti, ma tale verifica deve essere collegata causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo «sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endo-familiare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro».
A maggiore chiarimento, si è affermato che deve essere assicurata la dovuta importanza alla funzione perequativo- compensativa dell’assegno, che discende dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, pur muovendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tenere conto anche «delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente»; in tal senso, il giudizio di inadeguatezza dei mezzi ha anche «un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso» e «sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro».
Deve, allora, operarsi una valutazione equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, con esame «del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future», dovendosi tenere conto dei «ruoli endo-familiari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c».
3.1. Questi principi sono stati di recente ribaditi dalla sentenza di questa Corte, a sezioni unite, 18 dicembre 2023, n. 35385, che ha ritenuto che, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di “fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi; occorre dunque vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, l’accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio.
La Corte di cassazione si è quindi soffermata sul criterio della durata del matrimonio che risulta «cruciale», per due aspetti concorrenti: a) la valutazione del contributo che ciascun coniuge, per tutto il periodo in cui l’unione matrimoniale è stata esistente, ha dato alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge; b) in relazione all’età del coniuge richiedente e alla conformazione del mercato del lavoro, per considerare le effettive potenzialità professionali e reddituali alla fine della relazione matrimoniale.
Va computato, dunque, ai fini dell’assegno divorzile, anche il periodo della convivenza prematrimoniale «ai fini della verifica dell’esistenza di scelte condivise dalla coppia durante la convivenza prematrimoniale, che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare sacrifici o rinunce alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».
4. Del resto, anche la giurisprudenza di legittimità successiva alla prima pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 18287 del 2018, ha posto in rilievo, ai fini della concessione e della determinazione dell’assegno di divorzio, proprio l’intervenuta rinuncia a prospettive lavorative e di carriera da parte del coniuge nel corso della vita matrimoniale.
In particolare, si è affermato che il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi - che costituisce solo una precondizione fattuale per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, l.
n. 898 del 1970 - essendo invece necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente - nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che, in presenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, aveva attribuito l'assegno divorzile in ragione dell'attività domestica svolta dalla ex moglie, a prescindere dall'allegazione e dalla prova della perdita di concrete prospettive professionali e di potenzialità reddituali conseguenti alla scelta di dedicarsi alle cure della famiglia ed omettendo, altresì, di considerare che il patrimonio della richiedente era formato in misura prevalente da attribuzioni compiute da parte dell'ex coniuge – (Cass., sez. 1, ordinanza, 13 ottobre 2022, n. 29920; in tal senso anche Cass., sez. 1, 28 luglio 2022, n. 23583; Cass., sez. 1, 8 settembre 2021, n. 24250).
In motivazione si è precisato che «ai fini della funzione compensativa dell’assegno divorzile, quella scelta [di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare] assume rilievo nei limiti in cui sia all’origine di aspettative professionali sacrificate (SU n. 18287 del 2018) e della rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare in concreto» (nel caso scrutinato dalla Corte – in cui si è escluso il diritto all’assegno - la moglie aveva svolto prima del matrimonio ed aveva continuato a svolgere dopo la separazione l’attività lavorativa part-time).
Tale ordinanza (n. 29920 del 2022) è stata successivamente richiamata nelle pronunce successive di questa Corte (Cass., sez. 1, 15 giugno 2023, n. 17144; in precedenza anche Cass., sez. 1, 31 marzo 2023, n. 9144), con l’affermazione per cui l’assegno divorzile non spetta alla moglie che non ha dimostrato «di avere rinunciato a migliori occasioni di lavoro o progressioni in carriera a causa della propria dedizione alla vita coniugale e alla famiglia».
Va, insomma, data continuità al principio di diritto per cui, in tema di attribuzione dell'assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte "manente matrimonio", idonee a condurre l'istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova prova in giudizio spetta al richiedente (Cass., n. 9144 del 2023; Cass. Sez.U., n. 35385 del 2023).
4.1. Anche l’ordinanza di questa Corte n. 11832 del 2023, richiamata nel ricorso per cassazione, si conforma ai principi di cui alla pronuncia n. 29920 del 2022, laddove precisa che debba essere accertato, ai fini del riconoscimento dell’assegno, «che la donna nel corso del matrimonio, in esso compreso il periodo di separazione, si fosse dedicata alla famiglia ed ai figli ed in che misura, in ipotesi anche prevalente all’impegno profuso dall’altro coniuge, e se ciò aveva determinato una riduzione delle sue possibilità di guadagno e lavoro».
5. La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte a sezioni unite, con la sentenza n. 18287 del 2018 e con le successive, avendo accertato, con piena valutazione di merito, non solo che la M. non aveva dato la prova concreta della rinuncia a specifiche occasioni lavorative, ma anche che, a seguito della separazione, era stata in grado di trovare una occupazione, che le aveva garantito un reddito mensile di euro 20.000,00.
La Corte territoriale ha affermato che «non vi [è] prova alcuna, da parte della M. Marisa che tali scelte abbiano comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative, da intendersi in modo specifico legate a eventi particolari e singole offerte di lavoro od occasioni cui la predetta abbia dovuto rinunciare durante la vita matrimoniale, cosicché la sua professionalità possa dirsi danneggiata o svilita in modo tangibile», aggiungendo che «dopo la separazione la moglie era riuscita, seppure in età non più giovane, ad inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro, venendo assunta dal 2018 a tempo pieno ed indeterminato […] percependo un reddito annuo lordo di circa euro 20.000,00».
5.1. L’ordinanza di questa Corte del 21 febbraio 2023, n. 5395, - richiamata nella memoria della M. - resta nella linea delle Sezioni unite di questa Corte del 2018, e respinge il ricorso del marito, anche in quanto vi era una profonda differenza reddituale tra i coniugi, in quanto la ex moglie era «occupata solo stagionalmente come cameriera o collaboratrice domestica». Anche la sentenza di questa Corte n. 35434 del 2023 - pure citata nella memoria della ricorrente
- non si discosta dall’orientamento di cui alla pronuncia delle sezioni unite della Corte n. 18287 del 2018, ed ha rigettato il ricorso del marito, in una fattispecie in cui il divario reddituale era notevole tra i due coniugi (il marito ginecologo e titolare di una impresa individuale di gestione di un centro di Medicina della Riproduzione e la moglie insegnante precaria).
Si tratta, pertanto di decisioni che non giovano alla tesi della ricorrente, poichè fondate su vicende fattuali ben diverse da quella oggetto del presente giudizio.
5.2. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve, di conseguenza, essere rigettato.
6. Le spese del giudizio di legittimità, in ossequio al principio della soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-
bis, dello stesso art. 1, se dovuto.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati.