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21 maggio 2024
Niente assegno di divorzio se il coniuge non dà prova della concreta rinuncia a specifiche occasioni lavorative

Non basta affermare che uno dei due ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, ma è necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno al fine di verificare se tale rinuncia abbia determinato una riduzione delle sue possibilità di guadagno e di lavoro.

di La Redazione

In un giudizio avente ad oggetto la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, Caia ricorre per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello deducendo l'errata esclusione del suo diritto a ricevere l'assegno divorzile.

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe deciso in modo conforme alla disciplina applicabile al caso di specie, laddove ha ritenuto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, per mancanza della prova che le scelte di vita familiare avessero comportato il sacrificio di aspettative professionali e lavorative.
Per l'attribuzione dell'assegno divorzile, però, occorrerebbe «solamente valutare se la sperequazione reddituale sia conseguenza, come nel caso in esame, della scelta di un coniuge, condivisa dall'altro per le economie di vita, di dedicarsi esclusivamente alla famiglia», senza doversi fare in alcun modo riferimento alla effettiva dimostrazione della perdita di concrete opportunità di lavoro.

Nel caso in esame si osserva che, oltre alla durata ultra trentennale del rapporto coniugale, la coppia ha avuto quattro figli di cui uno è affetto da grave disturbo schizofrenico. Dunque, la scelta di rinunciare ad entrare nel mondo del lavoro, anche a costo del sacrificio delle proprie aspettative professionali reddituali, è stata conseguente e necessaria rispetto a quella di dedicarsi completamente alla cura della casa e dalla gestione di quattro figli. Inoltre, non vi erano stati «eventi particolari» o «singole offerte di lavoro od occasioni cui la predetta abbia dovuto rinunciare durante la vita matrimoniale», semplicemente perché la ricorrente, di comune accordo con il marito, non aveva cercato alcuna occupazione durante il matrimonio.

Per la Cassazione il motivo è infondato.
Ripercorrendo la giurisprudenza in tema di concessione e determinazione dell'assegno di divorzio tema, la Corte ha posto in rilievo proprio l'intervenuta rinuncia a prospettive lavorative e di carriera da parte del coniuge nel corso della vita matrimoniale. A tal proposito, ha ribadito che «si è affermato che il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi - che costituisce solo una precondizione fattuale per l'applicazione dei parametri di cui all'art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970 - essendo invece necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente».

Alla luce di tale principio, dunque, non spetta alla moglie l'assegno divorzile se non dia prova concreta della rinuncia a specifiche occasioni lavorative e se a seguito della separazione sia stata in grado di trovare un'occupazione a tempo pieno e indeterminato che le garantisca un reddito mensile.

Ciò detto, la Cassazione ritiene che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi ribaditi, avendo accertato, con piena valutazione di merito, non solo che la ricorrente non aveva dato la prova concreta della rinuncia a specifiche occasioni lavorative, ma anche che, a seguito della separazione, era stata in grado di trovare una occupazione, che le aveva garantito un reddito mensile di 20mila euro.

Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso con ordinanza n. 13919 del 20 maggio 2024.

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