Infatti, è sufficiente che sussista il rapporto causale tra la rinuncia e l'impegno familiare, che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che attraverso di essa il patrimonio comune o dell'altro coniuge si sia incrementato proprio grazie alla dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, a prescindere dalle motivazioni che hanno condotto a tale scelta.
Il Tribunale di Lodi disponeva l'affido condiviso della figlia e il suo collocamento presso la madre, alla quale era stata assegnata la casa coniugale, regolamentando le visite paterne e il mantenimento diretto del padre verso la figlia.
In relazione alla misura del mantenimento, il Giudice ha tenuto conto della durata del matrimonio (14 anni), della stabile occupazione lavorativa della ex moglie, dell'età della stessa (49 anni) e dell'apporto da lei fornito durante la vita familiare, per questo rinunciando al proprio percorso professionale, fissando a 800euro l'importo mensile.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello rideterminava l'assegno in 600euro mensili, tenendo conto dello squilibrio significativo tra le posizioni economico-patrimoniali delle parti: l'ex marito infatti era imprenditore individuale e libero professionista con un volume d'affari di una certa portata, proprietario di diversi immobili e di molti conti correnti, oltre ad essere titolare di quote societarie. L'ex moglie, al contrario, percepiva redditi da lavoro dipendente di insegnante, era proprietaria di un immobile e dalla CTU era emerso che ella si era sempre impegnata per l'accudimento delle figlie.
La decisione viene impugnata in Cassazione.
Con l'ordinanza n. 18506 dell'8 luglio 2024, la Cassazione ripercorre la giurisprudenza più recente e rilevante in tema di assegno divorzile, partendo dalla funzione che gli è assegnata, ovvero quella di equilibrare il reddito degli ex coniugi che è funzionale a riconoscere il ruolo e il contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
In tale contesto, il giudice di merito investito della domanda ha il compito di accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere dignitosamente e autonomamente, oltre alla necessità di compensarlo per il contributo particolare che ha fornito alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge quando erano sposati.
La Cassazione ha inoltre affermato che la funzione perequativo-compensativa dell'assegno divorzile presuppone che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita dal punto di vista professionale allo scopo di dedicarsi alla famiglia, essendo irrilevanti le motivazioni che hanno portato a ciò quando la scelta sia stata accettata e condivisa dal coniuge, tenendo conto che l'assegno punta a compensare lo squilibrio economico derivante dall'impiego delle proprie energie dedicate alla famiglia, piuttosto che in attività di lavoro o di crescita professionale.
In ossequio a tali principi, può affermarsi che ai fini dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non hanno rilievo le motivazioni alla base delle rinunce professionali ai fini della dedizione alla famiglia, in quanto non è richiesto che tale rinuncia sia espressamente motivata in funzione dell'impegno per la famiglia. Basta infatti che sussista il rapporto causale tra detta rinuncia e l'impegno familiare, che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che attraverso di essa il patrimonio comune o dell'altro coniuge si sia incrementato proprio grazie alla dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, a prescindere dalle motivazioni che hanno condotto a tale scelta.
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16.8.21 il Tribunale di Lodi, su ricorso di A.A. - richiamata la sentenza definitiva del 28.11.18 che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con B.B. - così pronunciava: disponeva l'affido condiviso della figlia C.C., con collocamento presso la madre cui era assegnata la casa coniugale e regolamentazione delle visite paterne; disponeva che C.C. intraprendesse un percorso di tipo consultoriale relativo ai bisogni emotivi ed evolutivi della minore; poneva a carico dell'ex marito il versamento dell'assegno divorzile a favore dell'ex moglie per la somma mensile di Euro 800,00 e della somma mensile di Euro 1000,00 quale contributo al mantenimento della figlia, da corrispondere alla madre; disponeva che il padre provvedesse al mantenimento diretto della figlia D.D., maggiorenne ma non economicamente sufficiente, oltre al 70% delle spese straordinarie dal febbraio 2020.
In particolare, il Tribunale evidenziava che: la condizione economica del A.A. non aveva subito modifiche rispetto a quanto accertato in sede di separazione, ritenendo non documentato l'asserito suo peggioramento, anche perché il suo reddito sarebbe risultato aumentato rispetto a quello dichiarato al momento della separazione, non rilevando la patologia cardiaca da cui era affetto il ricorrente in quanto la relativa certificazione medica era risalente; il ricorrente era proprietario di diversi immobili, mentre la ex moglie risultava proprietario di un immobile inagibile e disponeva di reddito di insegnante.
Pertanto, tenuto conto della durata del matrimonio (14 anni), della stabile occupazione lavorativa della ex moglie, dell'età della stessa (49 anni) e dell'apporto da lei fornito durante la vita familiare e della sua rinuncia alla propria professionalità specifica per dedicarsi alla famiglia, l'assegno divorzile era determinato nella somma mensile di Euro 800,00.
Avverso tale sentenza proponeva appello il A.A., chiedendo la revoca dell'assegno divorzile con decorrenza dalla domanda o, in subordine, dalla data della sentenza parziale di divorzio, adducendo che tale assegno non assolveva né alla funzione assistenziale, né a quella perequativa - compensativa, non avendo l'ex moglie sacrificato alcuna professionalità specifica in nome di un condiviso disegno familiare, atteso che, oltre a svolgere l'attività d'insegnante di ruolo, aveva conseguito la laurea in ingegneria, con l'iscrizione nell'ordine professionale, mentre il ricorrente aveva subito una riduzione dei propri redditi, per la crisi economica e per problemi di salute.
Con sentenza del 22.5.2023 la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rideterminato l'assegno divorzile nella somma di Euro 600,00 mensile a far data dalla pubblicazione della sentenza, confermandola nel resto, facendo applicazione dei principi di cui alle SU n. 18287/18, osservando che: risultava un significativo squilibrio fra le posizioni economico - patrimoniali delle parti, come desumibile dalla documentazione prodotta dalle parti; l'ex marito era imprenditore individuale e libero professionista, con volume d'affari di Euro 180.000,00 nel 2014 e redditi per Euro 78.000,00 circa, proprietario di vari immobili, titolare di molti conti correnti sui quali erano state registrate movimentazioni di ingenti importi di denaro, nonché titolare di quote societarie; era emersa una solida consistenza economico-patrimoniale dell'ex marito, maggiore di quella risultante dalle dichiarazioni dei redditi, mentre non era stata provata la riduzione dei redditi subiti, né la compromissione della capacità lavorativa; l'ex moglie percepiva redditi da lavoro dipendente di insegnante, era proprietaria di un immobile e della quota del 10% di altro immobile inagibile; l'appellante aveva potuto, durante il matrimonio, dedicarsi pienamente alle sue attività, che ne avevano accresciuto il patrimonio grazie all'aiuto della moglie che si dedicava alla cura dei figli; dalla c.t.u. era emerso che l'ex marito si dedicava al lavoro anche nei fine settimana, anche con trasferte fuori sede, mentre l'ex moglie si era sempre impegnata per l'accudimento delle due figlie, tanto che, alla nascita della secondogenita, i coniugi avevano cercato di impostare una nuova organizzazione familiare che implicasse un maggior impegno del padre; era emerso altresì che l'ex moglie avesse contribuito con le proprie competenze professionali alla costituzione della G.E., che costituiva la più redditizia attività dell'appellante; a riprova del sacrificio della professionalità della B.B., per lo svolgimento dei compiti familiari, era richiamato il fatto che la stessa aveva sottoscritto, nel settembre 2022, due contratti con il Politecnico di Milano per collaborazioni nell'attività didattica per un semestre di lezioni.
Avverso la suddetta sentenza A.A.Ma. ricorre in cassazione, con cinque motivi, illustrati da memoria.
B.B. resiste con controricorso e memoria.
La Prima Presidente ha rigettato l'istanza del ricorrente di assegnazione della causa alle Sezioni Unite.
Motivi della decisione
Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione dell'art. 115 c.p.c., per travisamento della c.t.u., espletata nel giudizio di separazione e richiamata a supporto probatorio dalla Corte d'appello.
In particolare, il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente percepito il contenuto oggettivo della c.t.u., con specifico riferimento alla suddivisione dei ruoli endofamiliari assunti dagli ex coniugi in costanza di matrimonio, in quanto dalla stessa consulenza si desumeva che la B.B. avesse riconosciuto il contributo fornito dal padre alla famiglia, accudendo i figli, a nulla rilevando le contrarie affermazioni della figlia D.D., conseguenza del patto di lealtà con la madre.
Il secondo motivo denunzia violazione dell'art. 5, c.4, l. n. 898/70, per aver la Corte d'appello erroneamente presunto il nesso causale tra il contributo fornito dall'ex moglie alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale dei coniugi, attraverso la rinuncia ad occasioni professionali, e la sperequazione tra le risorse reddituali e patrimoniali della coppia.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che l'ex moglie non ha provato di aver rinunciato ad occasioni professionali in funzione della famiglia, a beneficio della formazione del patrimonio dell'ex marito, avendo la Corte territoriale desunto il predetto nesso causale dalla sola organizzazione familiare scelta dai coniugi in costanza di matrimonio, ovvero dall'impegno profuso dalla ex moglie per la vita familiare e l'accudimento delle figlie.
Il terzo motivo denunzia violazione dell'art. 5, c. 6, l. n. 898/70, per omesso esame dell'asserita rinuncia dell'ex moglie ad opportunità professionali e per contraddittorietà della motivazione su tale questione, in quanto, da un lato, la Corte d'appello ha affermato la sussistenza del sacrificio professionale subito dalla B.B., dall'altro ha invece addotto, quale prova dello stesso, la sottoscrizione, nel 2022, da parte di quest'ultima, di due contratti con il Politecnico di Milano per collaborazioni nell'attività didattica.
Al riguardo, il ricorrente lamenta l'inconciliabilità di tali affermazioni, dato che se la segnalata rinuncia fosse avvenuta da parte dell'ex moglie, la stessa non avrebbe svolto le suddette collaborazioni universitarie di maggior prestigio rispetto all'attività ordinaria e costante di insegnante in istituto scolastico; pertanto, il ricorrente assume che dal matrimonio non sia derivato alcun pregiudizio per l'ex moglie, che non ha mai smesso di lavorare, ricorrendo sotto questo profilo anche la violazione dell'art. 2729 c.c., nel senso che non emerge la gravità degli indizi circa il nesso causale tra la stipula dei predetti contratti e la rinuncia a concrete occasioni di lavoro.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto che, in mancanza di contestazione da parte del ricorrente, sia provato che l'ex moglie abbia messo a disposizione dell'ex marito le proprie competenze professionali per la costituzione della G. E. che costituiva l'attività più redditizia dello stesso ricorrente, il quale assume altresì di aver invece contestato quanto affermato dal giudice di secondo grado, lamentando che la controparte non abbia allegato i fatti costitutivi del diritto azionato.
Il quinto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo e violazione dell'art. 5, c. 6, l. n. 898/70, per aver la Corte territoriale rigettato le istanze istruttorie, non ammesse in primo grado, ritenendo comunque provato il contributo della ex moglie all'incremento del patrimonio dell'ex coniuge, circa la costituzione della suddetta impresa, sebbene il fatto fosse stato contestato, e senza tenere conto che i testimoni indicati erano collaboratori storici del ricorrente.
Il primo motivo è inammissibile. La Corte d'appello ha valorizzato il ruolo della ex moglie sulla base della c.t.u., né ciò appare contestato dal ricorrente il quale, però, invoca un passo della stessa c.t.u. (nel quale si legge che "la madre..dice anche che in passato la figlia D.D. giocava con il padre e che lui preferiva divertirsi con le figlie anziché occuparsi dei compiti..") quale dichiarazione confessoria.
Tuttavia, tale dichiarazione non appare escludere quanto accertato dal consulente d'ufficio in ordine alla dedizione alla famiglia manifestata dalla controricorrente, nel senso che tale condotta non può essere esclusa dal fatto che il padre giocava con le figlie (fatto che, peraltro, non è inconciliabile con il suo intenso impegno lavorativo, anche nei fine settimana).
Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.
La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (SU, n. 18287/18).
Sulla scorta di tale pronuncia delle Sezioni Unite, è stato poi affermato che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l'assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali - reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).
In tema di determinazione dell'assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell'ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall'uno all'altro coniuge, "ex post" divenuto ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo - perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali - reddituali, che il richiedente l'assegno ha l'onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., n. 23583/22).
E' stato altresì affermato che la funzione perequativo - compensativa dell'assegno divorzile presuppone che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, restando irrilevanti le motivazioni soggettive che abbiano portato a compiere tale scelta, che è stata comunque accettata e condivisa dal coniuge, perché l'assegno di divorzio, sotto l'aspetto in esame, mira a compensare lo squilibrio economico conseguente all'impiego delle proprie energie e attitudini in seno alla famiglia, piuttosto che in attività lavorative, o in occasioni di crescita professionale produttive di reddito, indipendentemente dal fatto che alla base di tale scelta vi fossero ragioni affettive o di semplice opportunità economico - relazionale (Cass., n. 27945/23).
Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, può dunque affermarsi che, ai fini del diritto all'assegno divorzile in funzione perequativo - compensativa non è attribuito rilievo specifico alle motivazioni delle rinunce professionali per la dedizione alla famiglia, come intende asserire l'istante; cioè, a tal fine, non è richiesto che la suddetta rinuncia da parte dell'ex coniuge sia espressamente motivata in funzione dell'impegno per la famiglia, essendo sufficiente che vi sia il rapporto causale tra tale rinuncia e l'impegno familiare, che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che, attraverso essa, il patrimonio comune o dell'altro coniuge si sia incrementato in ragione della dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, indipendentemente dalle motivazioni che hanno indotto alla stessa scelta.
Premesso ciò, nella specie, è stato accertato lo squilibrio tra la posizione reddituale e patrimoniale tra le parti; la Corte d'appello ha ritenuto che la funzione perequativa dell'assegno derivi dalla dedizione dell'ex moglie alla famiglia, desumendo la prova della rinuncia ad occasioni professionali dalla stipula di due contratti con il Politecnico di Milano nel settembre 2022, e dal contributo professionale che l'ex moglie ha apportato ai fini della costituzione dell'impresa G. E..
Il punto è censurato espressamente dal ricorrente che, al motivo quinto, lamenta la mancata ammissione delle prove testimoniali aventi ad oggetto proprio la questione della costituzione della suddetta impresa, mentre il quarto critica la motivazione sulla mancata contestazione dell'ex marito circa il predetto contributo della controricorrente.
Entrambi i motivi risultano inammissibili perché volti a conseguire il riesame del merito.
Al riguardo, il ricorrente ha formulato la sola prova contraria e dunque non può dolersi della mancata ammissione delle prove orali dedotte da controparte sulla predetta questione.
Va osservato ancora che l'assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l'accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico - patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l'assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali - reddituali - che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico - patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo prettamente assistenziale (Cass., n. 35434/23).
Inoltre, la sentenza impugnata è adeguatamente motivata sulla rinuncia della controricorrente ad occasioni lavorative professionali, considerando che il riferimento ai due citati contratti di collaborazione universitaria, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ne costituisce un elemento di prova, nel senso che la dedizione alla famiglia ha verosimilmente precluso all'ex moglie più numerosi impegni lavorativi.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 3.200,00 oltre alla maggiorazione del 15 quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Dispone che ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.