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7 giugno 2024
Nullo il licenziamento del lavoratore disabile quando si utilizza la stessa durata del comporto per tutti

La contrattazione collettiva che stabilisce un identico periodo di comporto per tutti i lavoratori, senza prendere in specifica considerazione la posizione di svantaggio del disabile e senza adottare accorgimenti ragionevoli come prescritti dalla normativa UE, realizza una discriminazione indiretta.

di La Redazione

Il Giudice di seconde cure respingeva l'appello della società confermando la nullità del licenziamento perché discriminatorio intimato per superamento del comporto.
In sintesi, alla lavoratrice era stato diagnosticato un cancro alla mammella, motivo per il quale era stata sottoposta ad un intervento chirurgico che la aveva costretta a rimanere assente dal lavoro per parecchi giorni, nello specifico 373 nel triennio.
Va precisato che la società era a conoscenza delle condizioni della lavoratrice grazie alla certificazione ASL che attestava la grave patologia da cui ella era affetta.
Per tati ragioni, la Corte territoriale aveva ritenuto integrata una discriminazione indiretta nel licenziamento a lei intimato per il fatto che il datore non avesse attuato un regime differenziato nei suoi confronti ai fini del computo del periodo di comporto con riferimento alle malattie connesse allo stato di disabilità. In particolare, la società non aveva escluso dal calcolo del comporto i giorni di assenza per malattia connessi allo stato di disabilità della lavoratrice.
La società impugna la decisione mediante ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che i Giudici avessero escluso che le previsioni del contratto collettivo, il quale prevede un periodo di comporto particolarmente lungo (pari a 365 giorni nell'arco di 36 mesi) fossero compatibili con la normativa sovranazionale, costituendo detta previsione un accomodamento ragionevole a tutela dei disabili.

Con l'ordinanza n. 15723 del 5 giugno 2024, gli Ermellini rigettano il ricorso.
Riprendendo i recenti approdi giurisprudenziali, i Giudici affermano che la tutela contro la discriminazione fondata sulla disabilità trova fondamento in diverse fonti sovranazionali e che diverse pronunce della Corte di Giustizia sono intervenute in materia definendo anzitutto la condizione di handicap/disabilità che può così riassumersi:

giurisprudenza

una limitazione derivante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, insieme a barriere di diversa natura, sono in grado di ostacolare la piena ed effettiva partecipazione dell'interessato alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.

Dall'esame della giurisprudenza della CGUE emerge poi che il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in considerazione nell'assetto dei rispettivi diritti e obblighi in materia; di conseguenza, la sua obliterazione in concreto (attraverso l'applicazione del periodo di comporto breve al pari dei lavoratori non disabili) determina una condotta vietata al datore di lavoro perché indirettamente discriminatoria.
Ora, con riferimento al caso di specie la Corte d'Appello ha correttamente ritenuto integrata una discriminazione indiretta nella condotta del datore che ha applicato nei confronti della dipendente disabile la stessa previsione di durata del periodo di conservazionedel posto di lavoro valida per i lavoratori non affetti da disabilità. Non è infatti la durata del periodo di comporto che può eliminare o ridurre la condizione di svantaggio del lavoratore disabile, ma la differenziazione di trattamento che è in grado di scongiurare il rischio che il lavoratore disabile possa trovarsi in una condizione sfavorevole rispetto al tertium comparationis.
Alla luce di tali argomentazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.

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