In questo caso, la responsabilità del cessionario non ha limiti temporali ed è presunta iuris tantum.
Un contribuente, titolare di una ditta individuale e cessionario di una società unipersonale in liquidazione, riceveva tre avvisi di accertamento in relazione alle obbligazioni tributarie della cedente per l'anno della cessione e per le due annualità pregresse.
La CTP rigettava le ragioni del contribuente, conseguendone il ricorso per...
Svolgimento del processo
Dalla sentenza impugnata si evince che l'Agenzia delle entrate notificò al ricorrente, quale titolare di ditta individuale, tre avvisi d'accertamento, relativi agli anni d'imposta 2004/2006, per il pagamento di Irpef, Iva ed Irap. Il ricorrente risultava cessionario della società-s.r.l. unipersonale in liquidazione e come tale era chiamato quale obbligato in solido, ai sensi dell'art. 14, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a rispondere delle obbligazioni tributarie della cedente per l'anno della cessione e per le due annualità pregresse.
Nel contenzioso seguitone la Commissione tributaria provinciale di Brescia rigettò le ragioni del contribuente con sentenza n. 95/08/12. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, respinse l'appello dello- con sentenza n. 5213/64/14.
Il giudice regionale, dopo aver riportato le rispettive posizioni difensive, ha confermato la pronuncia di primo grado, respingendo l'eccezione di decadenza dell'Amministrazione finanziaria dal potere accertativo, trovando applicazione il raddoppio dei termini per la rilevanza penale delle violazioni fiscali commesse dalla società cedente; ha rigettato le censure formulate in ordine ai vizi degli atti impositivi; ha ritenuto accertata con pronuncia passata in giudicato la cessione del ramo d'azienda con trasferimento frazionato dei singoli beni; ha evidenziato che lo rispondeva quale obbligato solidale e che il caso di specie era da inquadrarsi nella cessione di ramo d'azienda finalizzata a frodare i crediti tributari. Ha pertanto respinto tutte le ragioni d'appello.
Il ricorrente ha censurato la sentenza, affidandosi a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso l'Agenzia delle entrate.
All'udienza pubblica del 19 dicembre 2023, dopo la discussione la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 132 c.p.c. e all'art. 36 D.L.gs 546/92 per mancanza/contraddittorietà/illogicità della motivazione e per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 c.p.c.), in ordine al rigetto dell'eccezione di nullità degli avvisi di accertamento relativi agli anni 2004 e 2005 per intervenuta decadenza della potestà impositiva».
Il ricorrente, che ha sostenuto nelle sue difese di non essere stato attinto da alcun procedimento penale per i fatti contBstati, ritiene che fosse inapplicabile nei suoi confronti la disciplina sul raddoppio dei termini d'accertamento, previsti dall'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Il motivo è infondato per le ragioni appresso chiarite.
In disparte la sovrapposizione dei parametri di censura utilizzati nel formulare il motivo (in cui si è unitariamente invocato tanto l'errore nell1nterpretazione giuridica delle norme sostanziali, quanto la nullità della sentenza per errori di regole processuali, nonché il vizio di motivazione), senza che le critiche risultino ben distinte, nel caso di specie il giudice d'appello ha esplicitamente trattato la questione, respingendo le ragioni del contribuente. A tal fine ha rilevato che lo - era il titolare e proprietario della-cessionaria derlamo d'azienda da parte della s.r.l., la cui amministratrice fu denunciata alla Procura della Repubblica, così che era legittimo il raddoppio dei termini per gli accertamenti nei confronti della cedente e del cessionario debitore solidale.
Deve rammentarsi che l'art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in I. 4 agosto 2006, n. 248, integrando il terzo comma dell'art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, aveva previsto, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, che gli ordinari termini di decadenza per l'accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. L'art. 37, co. 25 del d.l. n. 223 cit. ha introdotto analoga disposizione in materia di Iva, con modifica dell'art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Sono queste le disposizioni applicabili al caso di specie, benché esso sia relativo agli anni 2004/2006, cioè al periodo di imposta durante il quale la normativa è stata introdotta. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 37, comma 26, del d.l. citato, il raddoppio dei termini si applicava dal periodo d'imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, fossero ancora pendenti i termini ordinari per l'accertamento.
Deve invece escludersi l'applicabilità delle modifiche introdotte dall'art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia fosse stata effettivamente presentata e trasmessa all'autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento; nonché quelle introdotte dall'art. 1, commi 130, 131 e 132, della I. 28 dicembre 2015, n. 208, con cui infine è stata soppressa la disciplina relativa al raddoppio dei termini ordinari.
Quanto alla prima modifica, in virtù dell'apposita norma di salvaguardia prevista dall'art. 2 del d.lgs. n. 128 cit., lastessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quale quella per cui è causa (notifica nel 2011). Quanto alla seconda, il regime transitorio previsto dalla I. n. 208 cit. per i periodi d'imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 - secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall'Amministrazione Finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 - riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell'art. 2 comma 3, del d.lgs. n.
128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l'Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728).
Individuata la disciplina applicabile al caso di specie, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia, dall'inizio dell'azione penale e dall'accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l'azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (cfr. cass., 13 settembre 2018, n. 22337; 30 maggio 2016, n. 11171; 2 luglio 2020, n. 13481).
Il principio trova riscontro nella sentenza 20 luglio 20, n. 247 della Corte Costituzionale, secondo cui l'unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllareJ se richiesto con i motivi di impugnazioneJ la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denunciaJ compiendoJ al riguardoJ una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma>>) circa la loro ricotrenza ed accertandoJ quindiJ se l'amministrazione finanziaria abbia agito con impatzialità od abbiaJ inveceJ fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» (cfr. anche cass., 30 ottobre 2018, n. 27629).
Il raddoppio infatti attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch'essi fissati direttamente dalla legge, come tali operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, senza che all'Ufficio sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. Non vi è obbligo, pertanto neppure di esternare le ragioni in base alle quali l'Agenzia ritenga operante il raddoppio del termine, esulando l'applicazione da scelte discrezionali.
Nel caso di specie i fatti contestati erano astrattamente penalmente rilevanti e attingevano l'intero triennio interessato dall'accertamento.
La censura va in conclusione rigettata.
Con il secondo motivo si duole della «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 132 c.p.c., all'art. 36 D.L.gs. 546/92 e all'art. 10
L. 212/2000, per mancanza/contraddittorietà/illogicità della motivazione e per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in ordine all'eccezione di nullità degli avvisi di accertamento ex art. 42 DPR 600/73 e art. 56 DPR 633/72 per vizio della motivazione quanto alla ragione di notificazione degli atti impositivi a
Il ricorrente sostiene che il giudice d'appello non ha attribuito rilievo alla circostanza che negli avvisi d'accertamento relativi alle annualità 2004 e 2005 loa-. non fosse indicato come destinatario dell'atto impositivo, né che il suo nome fosse riportato nelle pagine dedicate alla motivazione degli atti. Tanto meno egli era mai stato socio dell s.r.l ,attinta dall'attività accertativa.
Sul punto la commissione regionale si era invece limitata ad affermare che il ricorrente rispondeva nella qualità di debitore solidale della cedente l'azienda (o di un suo ramo), senza alcun'altra considerazione.
Il motivo è infondato.
A parte la solita indistinta sovrapposizione dei parametri di censura, il motivo non tiene conto della ragione giuridica per la quale l'amministrazione finanziaria ha proceduto aIla notifica degIi atti impugnati. Essi, infatti trovano fondamento nella responsabilità solidale riconosciuta in capo al cessionario, così come prevista dall'art. 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 in tema di cessione d'azienda.
La commissione regionale, nell'avvertire che il ricorrente rispondeva quale coobbligato solidale, ha correttamente pronunciato sulla questione, risultando del tutto irrilevanti le critiche mosse in punto di motivazione o di intestazione degli atti notificati alla••P·r.l.
e.on il terzo motivo lamenta la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 132 c.p.c., per mancanza/contraddittorietà/illogicità della motivazione e per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ed all'art. 36 D.L.gs. 546/92, in ordine all'eccezione di nullità dell'avviso di accertamento per l'anno 2006 per vizio della motivazione e violazione dell'art. 7 L. 212/2000 e degli artt. 42 DPR 600/73 e 56 DPR 633/72».
Il ricorrente ritiene erronea la decisione del giudice d'appello, che non avrebbe preso in considerazione le ragioni con cui il contribuente, con riferimento all'accertamento relativo al 2006, aveva sostenuto la nullità dell'atto perché fondato su un processo verbale di constatazione mai notificato allo-- né allegato all'atto impositivo.
Il motivo non tiene conto della motivazione, sintBtica ma parimenti esaustiva della sentenza, che in merito ha affermato come gli atti impositivi fossero sufficientemente chiari nella rappresentazione delle ragioni della pretesa avanzata nei confronti dell'odierno ricorrente, e, quanto all'eccepita mancata allegazione del processo verbale notificato alla - «in quanto l'atto impositivo [notificato alla-ne richiama il contenuto essenziale,
precludendo eventuali vizi di motivazione».
La motivazione della commissione regionale è corretta alla luce proprio dell'art. 7 della I. 27 luglio 2000, n. 212, invocato dallo Z., così come soddisfa la prescrizione dell'art. 42, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 56, comma 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui la motivazione che faccia riferimento ad altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente impone la sua allegazione all'atto che lo richiama
«salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».
Si tratta, con evidenza, di un accertamento in fatto operato dal giudice d'appello.
Se poi la difesa dell'odierno ricorrente avesse voluto contestarne la rispondenza al vero, il motivo sarebbe comunque inammissibile, per difetto di specificità, imponendosi in tal caso al ricorrente l'onere di riportare nell'atto difensivo i passaggi significativi dell'avviso d'accertamento da cui evincere la mancata riproduzione del contenuto essenziale dell'atto richiamato.
Anche questo motivo va dunque rigettato.
e.on il quarto motivo il ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 32 c.p.c., per contraddittorietà/illogicità della motivazione nonché omesso esame circa un fatto decisivo per iI giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 c.p.c.), in ordine all'accertamento di una cessione di ramo d'azienda tra -
s.r.l. e -di . ,
C.on il quinto motivo lamenta la «violazione e faIsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.), nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 32 c.p.c. e all'art. 36 D.L.gs. 546/92, per mancanza/contraddittorietà/illogicità della motivazione nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 c.p.c.), in ordine all'applicazione nel caso di specie dell'art. 14 D.L.gs. 472/97».
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, trovano invece accoglimento nei termini appresso chiariti.
e.on essi il contribuente denuncia la natura giuridica delle cessioni intervenute tra la- s.r.I. e la sua- insistendo nella identificazione della mera cessione di beni strumentali, laddove l'ipotesi contestata daIl'Agenzia delle entrate, e condivisa in sede di merito dal giudice di primo grado e poi, per quanto qui di interesse, d'appello, era quella della cessione d'azienda (o di un suo ramo). Contesta inoltre -con il quinto motivo- la ricostruzione del rapporto negoziale intercorso, soprattutto in riferimento alle finalità con esso perseguite, ossia l'intento frodatorio, mirante ad impedire al fisco di aggredire i beni della società cedente. A tal fine rileva che in sentenza la commissione regionale avrebbe avvallato la prospettazione erariale.
Sul punto in sentenza si afferma che «nel caso di specie, i frazionati e numerosi trasferimenti degli elementi (contratti leasing, dipendenti, clienti), di cui si componeva l'azienda facente capo ad ., vanno senz'altro inquadrati in una cessione di ramo d'azienda, finalizzata a impedire al fisco l'aggressione dei beni della società - rimasta priva del suo patrimonio, rimanendo solo titolare di debiti nei confronti dell'Erario e a permettere alla ditta i incrementare in modo consistente i ricavi».
La motivazione è inequivoca nel riconoscere un intento non già finalizzato ad ottenere un qualche vantaggio economico dalla scelta formale delle vendite frazionate dei beni strumentali di una azienda, ossia un risparmio d'imposta, non spettante invece nell'ipotesi della cessione d'azienda. La motivazione invece va oltre, sostenendo che la finalità era quella frodatoria, tesa a sottrarre beni della - alle garanzie di crediti erariali.
La differenza è sostanziale, essendo ben diverse le ipotesi disciplinate dall'art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, in ragione dei presupposti, e dello spettro della responsabilità solidale gravante sul cessionario in caso di cessione d'azienda.
A tal fine l'art. 14, nella formulazione ratione temporis vigente, prevedeva che «1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. 2. L'obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza
4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni. 5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penaimente rilevante».
Dalla mera lettura risulta evidente la previsione di differenti ipotesi - esistenti anche nell'attuale formulazione della norma- di esecuzione di cessioni d'azienda, pur dissimulate da vendite frazionate, laddove si accompagni o meno da intenti frodatori.
La giurisprudenza di legittimità ha a tal fine evidenziato come l'art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 introduce misure antielusive a tutela dei crediti tributari, disposizioni speciali rispetto all'art. 2560, comma 2, e.e., dirette ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell'azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell'interesse pubblico. Ne consegue che, nell'ipotesi di cessione conforme a legge, viene valorizzata la diligenza del cessionario nell'assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, cosi assumendo il primo una responsabilità sussidiaria, con beneficium excussionis, limitata nel "quantum" (entro il valore della cessione) e nell'oggetto ( con riferimento alle imposte e sanzioni relative al triennio prima del contratto ovvero anche anteriori, ma irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari); diversamente, nell'ipotesi di cessione in frode al fisco, la responsabilità del cessionario non ha limiti temporali ed è presunta iuris tantum, "quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante" (cass., 29 dicembre 2020, n. 29722; cfr. anche 23 luglio 2021, n. 21161; 31 marzo 2022, n. 10377).
Dunque, alle differenti ipotesi corrispondono differenti conseguenze, in termini di responsabilità del cessionario, che risponde in forma più o meno ampia, a seconda che con l'operazione siano stati perseguiti pecificatamente frodatori in danno dell'Erario. Ciò impone una valutazione ponderata da parte del giudice.
Nel caso di specie non risulta evincibile da quali elementi, anche solo accennati o anche solo riportati nell'esposizione del fatto, la commissione regionale abbia potuto affermare che l'operazione di cessione di un ramo d'azienda dalla -alla-del ricorrente fosse connotata da finalità di frode fiscale.
Sul punto la decisione ha falsamente applicato la disciplina dettata dall'art. 14.
Ne discende che nei termini chiariti la sentenza va cassata, perché il giudice d'appello avrebbe dovuto spiegare ed identificare gli elementi dai quali far discendere la finalità frodatoria della cessione del ramo d'azienda e la partecipazione del cessionario.
Alla cassazione della decisione segue il rinvio della causa alla Corte di giustizia di II grado della Lombardia, sez. staccata di Brescia, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità, procederà in diversa composizione al riesame della parte cassata della sentenza, tenendo conto del principio di diritto dispensato.
P.Q.M.
Accoglie il quarto ed il quinto motivo nei termini e limiti chiariti in motivazione, rigetta gli altri. cassa la sentenza nei limiti di quanto accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, sez. smccata di Brescia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese di legittimità.