Caio, in proprio e quale socio accomandatario della s.a.s., ha proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza con cui la Corte territoriale di Firenze confermava la decisione del Tribunale di Livorno che dichiarava la carenza di legittimazione attiva della predetta società in relazione alla domanda di Caio avente a oggetto la restituzione di somme di denaro...
Svolgimento del processo
1. (omissis), in proprio e quale socio accomandatario della (omissis) (omissis)s.a.s., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Livorno aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva della predetta società in relazione alla domanda del (omissis) avente a oggetto la restituzione di somme di denaro corrispondenti a pagamenti da costui effettuati quale socio della G.D.A. di (omissis) (omissis)& C. s.n.c. e della (omissis) (omissis)& C. s.n.c., condannando pro quota i soci delle dette s.n.c., (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), a restituire al (omissis) gli importi dei prestiti effettuati alle s.n.c. in proporzione alle loro quote di partecipazione, al netto degli importi prescritti in relazione al debito del solo (omissis).
2. (omissis) ha resistito con controricorso, mentre (omissis), (omissis) e (omissis) sono rimasti intimati.
3. La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che la carenza di legittimazione della s.a.s. emergeva dalla considerazione che l’assunto del (omissis) di aver pagato personalmente i debiti delle s.n.c. era logicamente incompatibile con la formulazione della domanda anche nell’interesse della s.a.s. di cui era amministratore; inoltre, la circostanza che il (omissis) avesse pagato debiti delle s.n.c., di cui la s.a.s. non era socio, dimostrava con ogni evidenza che - del tutto a prescindere dalla correttezza giuridica dell’operazione - lo scopo del pagamento era individuabile nel solo interesse delle s.n.c. a vedere ripianati i propri debiti, e ciò del tutto a prescindere dalla legittimità dell’utilizzo all’uopo da parte del (omissis) di somme provenienti dalle casse sociali della s.a.s. che amministrava;
b) che l’operazione del (omissis) andava qualificata come finanziamento soci in favore delle s.n.c. e non già come credito personale del (omissis) in favore delle predette società; c) che l’ammontare della somma finanziata era stata accertata tramite consulenza tecnica di ufficio in primo grado, ciò che rendeva superflua la prova testimoniale articolata dal (omissis) il quale, del resto, non aveva compiutamente assolto all’onere della prova dei pagamenti che su di lui incombeva;
d) che le somme pretese in restituzione dal (omissis) erano prescritte per tutti i pagamenti per i quali, alla data della domanda, risultava trascorso il quinquennio previsto dall’art. 2949 cod. civ., risultando generica la messa in mora dedotta dal (omissis) per dimostrare l’interruzione del relativo decorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo «I. Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del c.p.c., dei principi previsti dagli artt. 1362-1371 del C.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato la domanda attorea in primo grado, laddove era evidente che il significato letterale e sistematico delle espressioni ivi utilizzate dimostrava che era solo il (omissis) ad avere effettuato personalmente i pagamenti, senza alcuna imputabilità dei medesimi alla s.a.s. che amministrava.
Il motivo è infondato, anche se occorre qualche precisazione motivazionale ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. La dichiarazione di carenza di legittimazione attiva della (omissis) (omissis)s.a.s., pronunciata dal Tribunale e confermata dalla Corte di appello, è corretta. Tuttavia, occorre chiarire che tale conclusione trova giustificazione nell’accertamento in fatto, riservato al giudice del merito e scevro da aporie motivazionali nel caso di specie, che l’assunto del (omissis) di aver pagato personalmente debiti delle due s.n.c. di cui era socio anche tramite la s.a.s. che amministrava escludeva in radice, in via logica ancor prima che giuridica, che la s.a.s. fosse legittimata a far parte del giudizio. E tale conclusione trova conferma nella stessa doglianza in esame: il (omissis) lamenta che la Corte territoriale non avrebbe considerato che i pagamenti da lui effettuati sarebbero stati fatti nell’esclusivo interesse personale quale socio delle due s.n.c. In realtà, la Corte di appello ha considerato tale deduzione proprio per giustificare la correttezza dell’affermazione di carenza di legittimazione attiva della s.a.s. Discorso diverso, riferibile alla prova del credito, è quello relativo all’utilizzazione da parte del (omissis) di denaro della s.a.s. per effettuare i pagamenti nell’interesse delle sole s.n.c. di cui era parimenti socio. Ciò, tuttavia, attiene alla prova del credito, non alla valutazione della legittimazione attiva: se lo stesso (omissis) assume di aver effettuato i pagamenti senza alcuna spendita del nome della s.a.s. che amministrava, risulta evidente che in alcun modo la ridetta s.a.s. può pretendere di ricevere la restituzione di somme versate in favore di soggetti giuridici (il (omissis), quale socio delle due s.n.c., e i convenuti quali soci delle due s.n.c.) del tutto estranei alla s.a.s. medesima. Ciò al netto della legittimità dell’utilizzo da parte del (omissis) di somme di denaro provenienti dalla s.a.s. per il pagamento di debiti estranei alla società che amministrava: circostanza che è estranea all’oggetto del presente giudizio, in quanto mai in esso dedotta.
b. Secondo motivo «II. Nullità della sentenza per omessa, perplessa ed apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 del C.P.C. per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 del c.p.c.»;
c. Terzo motivo «III. Nullità della sentenza per omessa, perplessa ed apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 del C.P.C. per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 del c.p.c.»;
d. Quarto motivo «IV. Nullità della sentenza per omessa, perplessa ed apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 del C.P.C. per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 del c.p.c.».
e. Quinto motivo «V. Nullità della sentenza per omessa, perplessa ed apparente motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 del C.P.C. per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 del c.p.c.», deducendo che la Corte di appello avrebbe reso una motivazione del tutto perplessa e, pertanto, apparente in ordine alla qualificazione del rapporto, alla prova dei pagamenti effettuati in favore delle due s.n.c. e alla durata della prescrizione del diritto al rimborso.
I quattro motivi possono essere congiuntamente esaminati e risultano infondati, atteso che, come anche le censure stesse riconoscono, la sentenza impugnata, e ben oltre il minimo costituzionale preteso per escludere la nullità della sentenza (a far data da Cass. S.U. n. 22232 del 2016), ha motivato chiaramente che la vicenda andava qualificata come finanziamento soci nell’ambito delle due s.n.c., senza alcuna rilevanza della fonte di approvvigionamento del denaro utilizzato dal (omissis); che il quantum della pretesa era stato individuato in base alle risultanze della consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado - consulenza che ha accertato quali pagamenti fossero riferibili al (omissis) e per quali invece non vi fosse alcuna prova di tale riferibilità – e che, pertanto, la prescrizione era quella prevista dall’art. 2949 cod. civ., dovendo l’azione di costui qualificarsi come regresso del socio nei confronti degli altri soci delle due s.n.c.. Tanto basta per escludere che la sentenza sia nulla, dovendo solo richiamarsi la correzione motivazionale apportata in relazione al primo motivo di ricorso, che consente di considerare irrilevanti alcune incertezze motivazionali oggetto dell’effettuata correzione.
f. Sesto motivo «VI. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2949 del C.C. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del C.P.C.» deducendo che la Corte di appello avrebbe errato nel qualificare l’azione promossa dal (omissis) come derivante dal rapporto sociale inerente alle sue partecipazioni nelle due s.n.c. Il motivo è fondato: la sentenza impugnata ha qualificato l’azione promossa dal (omissis) come di restituzione di un finanziamento soci, da costui effettuato in favore delle due s.n.c.
La Corte territoriale afferma che tale qualificazione sarebbe idonea a far ritenere applicabile alla fattispecie la prescrizione breve di cui all’art. 2949 cod. civ., assumendo (pag. 7, in fondo) che a tale conclusione non sarebbe di ostacolo la pronuncia di questa Corte n. 6561 del 2017, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 2949 cod. civ. all’azione di regresso del socio nei confronti dei consoci, atteso che la citata pronuncia avrebbe fatto riferimento a “ipotesi di regresso diversa da quella per cui è causa, relativa al pagamento di debiti sociali e non al rimborso di finanziamento estraneo al contratto sociale che è oggetto della sentenza di legittimità”.
Tale affermazione, che costituisce la ratio decidendi della sentenza impugnata in tema di individuazione del termine di prescrizione dell’azione esercitata nel presente giudizio, è erronea.
La sentenza di questa Corte n. 6561 del 2017 afferma il condivisibile principio di diritto, che va ribadito, secondo cui la prescrizione abbreviata ex art. 2949, comma 1, cod. civ., non si applica all'azione di regresso spettante al socio che, avendo assunto un debito per finanziare la società, si sia rivolto a un altro socio per il recupero della quota a lui facente carico, posto che il rapporto non trova la sua fonte in un obbligo derivante dal contratto sociale o da una deliberazione della società, ma da un rapporto riguardante il solo finanziamento, onde la relazione di detto accordo con l'organismo sociale e il suo ordinamento interno deve intendersi del tutto occasionale e non legata da vincolo di consequenzialità genetica.
Tale assunto si basa sulla nozione di “rapporti sociali” di cui al primo comma dell’art. 2949 cod. civ., che va intesa come quei rapporti che ineriscono alle relazioni esistenti tra la società e i suoi organi (soci, amministratori, controllori) e che trovano esplicazione attraverso quei meccanismi con i quali la società, quale entificazione distinta dalle persone fisiche che ne compongono gli organi, forma al suo interno la propria volontà e la rende opponibile anche ai soggetti che assumono in essa una carica sociale.
Ne consegue che il finanziamento di un socio a favore di una società può essere ritenuto derivare dal rapporto sociale solo se si alleghi e dimostri che la fonte di tale obbligazione deriva da una deliberazione riferibile alla società (espressa nelle forme proprie previste dalla legge per ciascun tipo societario). In difetto di ché, ove cioè il finanziamento sia stato eseguito dal socio- creditore senza alcuna previa autorizzazione (o successiva ratifica) da parte della società, il rapporto con la società è individuabile solo in via di fatto, per la mera constatazione che beneficiario effettivo del pagamento è la società, ma nessun “rapporto sociale” può essere invocabile nella specie, con la conseguenza che al relativo credito di regresso non può essere applicata la prescrizione breve che, come correttamente ricorda il citato precedente di questa Corte, ha comunque carattere eccezionale e deve, quindi, essere oggetto di stretta interpretazione.
Da ultimo, va rilevata l’erroneità della sentenza impugnata anche laddove ha male interpretato il precedente in esame di questa Corte: la sentenza n. 6561 del 2017, a pagina 6, afferma espressamente che “non diversamente, d'altra parte, si deve ritenere per il caso del regresso nei confronti degli altri soci che trovi titolo nell'avvenuto pagamento, da parte di uno di essi, di un debito della società; caso che pure occupa la fattispecie concreta.”. Il ché esclude per tabulas che questa Corte, in quella fattispecie, abbia fatto riferimento a un “finanziamento estraneo al contratto sociale”, come erroneamente afferma la sentenza impugnata (pagg. 7-8) per escluderne l’applicazione al caso di specie.
In effetti, essendo pacifico che il (omissis) non ha mai dedotto l’esistenza di decisioni societarie, né di previ accordi con i suoi consoci nelle due s.n.c., finalizzati a ottenere il finanziamento, ne deriva che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (oltre alla sentenza più volte citata, si vedano anche Sez. 2, Sentenza n. 6107 del 01/06/1993; Sez. 1, Sentenza n. 21903 del 25/09/2013; Sez. 1, Sentenza n. 13084 del 24/06/2015) non poteva trovare applicazione al credito per cui è causa la prescrizione breve di cui all’art. 2949 cod. civ.
g. L’accoglimento del sesto motivo determina l’assorbimento del settimo motivo, avente a oggetto la rilevanza interruttiva della prescrizione attribuita a un atto di messa in mora stragiudiziale, e l’ottavo motivo, inerente alla questione della regolazione delle spese di lite.
2. La sentenza va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto e le parti rinviate innanzi alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio secondo i principi sopra esposti e a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi cinque motivi del ricorso; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il sesto motivo del ricorso; dichiara assorbiti il settimo e l’ottavo motivo del ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.