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12 giugno 2024
Violenza domestica: il delitto di maltrattamenti non si interrompe, bensì si aggrava, dopo la separazione

A dir poco interessante la disamina della Cassazione sul delitto di maltrattamenti in famiglia con particolare riguardo al momento successivo alla separazione tra i coniugi.

di La Redazione

Il Giudice di secondo grado riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale con la quale l'imputato era stato condannato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie per via delle condotte protrattesi dal 2013 al 2020 e per il delitto di lesioni aggravate, avendo ritenuto interrotta la condotta nel febbraio 2019 in concomitanza con la separazione dei coniugi, applicando quindi la sanzione più mite antecedente l'entrata in vigore del Codice Rosso (L. n. 69/2019).
Contro la pronuncia propone ricorso in Cassazione il Procuratore generale presso la Corte d'Appello, ritenendo che le condotte maltrattanti, che si sono protratte per 7 anni in presenza tra l'altro del figlio della coppia, non potevano essersi concluse nel 2019 poiché anche in seguito si erano verificati degli avvenimenti a dir poco rilevanti, come l'ultimo nel 2020 quando, già in regime di genitorialità condivisa, l'imputato riaccompagnava il figlio dalla ex moglie e con un pretesto la aggrediva strangolandola fino a quando il figlio, allora di appena 6 anni, tirava un calcio al padre temendo che uccidesse la madre.

Con la sentenza n. 23204 del 10 giugno 2024, la Cassazione dichiara il ricorso fondato, chiarendo la natura del reato di maltrattamenti.
Come evidenziano gli Ermellini, anzitutto si tratta di un reato di durata, nel senso che il suo iter si sviluppa nel tempo e lede in modo prolungato il bene protetto dalla norma, costituito dall'integrità fisica e morale, dalla dignità umana e dall'autodeterminazione della persona, rappresentando la famiglia solo l'ambito entro il quale si sviluppano le condotte da punire.
Inoltre, si tratta di un reato abituale nel senso che è la reiterazione, seppur discontinua, a creare quel quid pluris di disvalore che caratterizza la fattispecie, andando gli episodi successivi a saldarsi con il primo in una linea di continuità che lede ripetutamente il bene giuridico tutelato, andando a configurare una realtà autonoma rispetto alle singole violazioni che, isolate e occasionali, possono configurare singoli delitti.
In tale linea continua, i fatti successivi al primo hanno la funzione di accrescere la carica di disvalore del delitto già realizzatosi e di spostare in avanti la sua consumazione che coincide con l'ultimo atto della sequenza.
La peculiarità della dinamica che caratterizza forme di violenza domestica commesse ai danni della donna sono sostanzialmente le seguenti:

ildiritto

  • Considerati da soli, i singoli atti non configurano reati perché si sostanziano in forme di disprezzo, umiliazioni e denigrazioni, manipolazioni psicologiche e richiami costanti all'inadeguatezza della donna nel suo ruolo familiare;
  • Dette condotte assumono modalità ciclica, quindi discontinua ma progressiva rispetto alla lesione del bene giuridico tutelato.

Giunti a questo punto, occorre chiedersi quale qualificazione attribuire al nuovo atto che si manifesta a distanza di tempo dai precedenti.
A tal fine, la Cassazione chiarisce che 

ildiritto

«Soprattutto nei reati di violenza domestica, che si connotano per la ciclicità degli atti di maltrattamento commessi nell'ambito di una relazione violenta e controllante, l'interruzione può in concreto rilevare soltanto ove risulti che l'atto successivo non sia in alcun modo riconducibile alle note modali attraverso cui si è ordinariamente sviluppata la condotta dell'autore posta in essere ai danni della medesima persona offesa ed emerga, al contempo, un significativo intervallo temporale, così da escludere in termini inequivoci la presenza dei tratti di abitualità».

Sotto tale profilo, la separazione coniugale è una condizione che incide solo sull'assetto concreto delle condizioni di vita ma non sullo status acquisito, restando il coniuge separato una “persona della famiglia”, dunque la prospettiva esegetica deve concentrarsi sulla specifica dinamica dell'abitualità delle condotte poste in essere, a prescindere dal nuovo regime familiare.

Al suddetto quadro giuridico non si è uniformata la pronuncia impugnata che ha attribuito valenza dirimente alla separazione quale circostanza dimostrativa dell'interruzione della condotta maltrattante, senza considerare che sulla base del dato di comune esperienza il delitto si aggrava proprio in conseguenza della decisione della parte offesa di interrompere la relazione attraverso la separazione che costituisce, pertanto, un fattore di rischio.
Per questi motivi, la Cassazione annulla con rinvio la decisione impugnata.

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