A dir poco interessante la disamina della Cassazione sul delitto di maltrattamenti in famiglia con particolare riguardo al momento successivo alla separazione tra i coniugi.
Il Giudice di secondo grado riformava parzialmente la pronuncia del Tribunale con la quale l'imputato era stato condannato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie per via delle condotte protrattesi dal 2013 al 2020 e per il delitto di lesioni aggravate, avendo ritenuto interrotta la condotta nel febbraio 2019 in concomitanza con la separazione dei coniugi, applicando quindi la sanzione più mite antecedente l'entrata in vigore del
Contro la pronuncia propone ricorso in Cassazione il Procuratore generale presso la Corte d'Appello, ritenendo che le condotte maltrattanti, che si sono protratte per 7 anni in presenza tra l'altro del figlio della coppia, non potevano essersi concluse nel 2019 poiché anche in seguito si erano verificati degli avvenimenti a dir poco rilevanti, come l'ultimo nel 2020 quando, già in regime di genitorialità condivisa, l'imputato riaccompagnava il figlio dalla ex moglie e con un pretesto la aggrediva strangolandola fino a quando il figlio, allora di appena 6 anni, tirava un calcio al padre temendo che uccidesse la madre.
Con la sentenza n. 23204 del 10 giugno 2024, la Cassazione dichiara il ricorso fondato, chiarendo la natura del reato di maltrattamenti.
Come evidenziano gli Ermellini, anzitutto si tratta di un reato di durata, nel senso che il suo iter si sviluppa nel tempo e lede in modo prolungato il bene protetto dalla norma, costituito dall'integrità fisica e morale, dalla dignità umana e dall'autodeterminazione della persona, rappresentando la famiglia solo l'ambito entro il quale si sviluppano le condotte da punire.
Inoltre, si tratta di un reato abituale nel senso che è la reiterazione, seppur discontinua, a creare quel quid pluris di disvalore che caratterizza la fattispecie, andando gli episodi successivi a saldarsi con il primo in una linea di continuità che lede ripetutamente il bene giuridico tutelato, andando a configurare una realtà autonoma rispetto alle singole violazioni che, isolate e occasionali, possono configurare singoli delitti.
In tale linea continua, i fatti successivi al primo hanno la funzione di accrescere la carica di disvalore del delitto già realizzatosi e di spostare in avanti la sua consumazione che coincide con l'ultimo atto della sequenza.
La peculiarità della dinamica che caratterizza forme di violenza domestica commesse ai danni della donna sono sostanzialmente le seguenti:
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Giunti a questo punto, occorre chiedersi quale qualificazione attribuire al nuovo atto che si manifesta a distanza di tempo dai precedenti.
A tal fine, la Cassazione chiarisce che
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«Soprattutto nei reati di violenza domestica, che si connotano per la ciclicità degli atti di maltrattamento commessi nell'ambito di una relazione violenta e controllante, l'interruzione può in concreto rilevare soltanto ove risulti che l'atto successivo non sia in alcun modo riconducibile alle note modali attraverso cui si è ordinariamente sviluppata la condotta dell'autore posta in essere ai danni della medesima persona offesa ed emerga, al contempo, un significativo intervallo temporale, così da escludere in termini inequivoci la presenza dei tratti di abitualità». |
Sotto tale profilo, la separazione coniugale è una condizione che incide solo sull'assetto concreto delle condizioni di vita ma non sullo status acquisito, restando il coniuge separato una “persona della famiglia”, dunque la prospettiva esegetica deve concentrarsi sulla specifica dinamica dell'abitualità delle condotte poste in essere, a prescindere dal nuovo regime familiare.
Al suddetto quadro giuridico non si è uniformata la pronuncia impugnata che ha attribuito valenza dirimente alla separazione quale circostanza dimostrativa dell'interruzione della condotta maltrattante, senza considerare che sulla base del dato di comune esperienza il delitto si aggrava proprio in conseguenza della decisione della parte offesa di interrompere la relazione attraverso la separazione che costituisce, pertanto, un fattore di rischio.
Per questi motivi, la Cassazione annulla con rinvio la decisione impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Potenza ha parzialmente confermato la condanna del Tribunale di Potenza nei confronti di A.A. per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravato dalla presenza del figlio minorenne, "dal 2013 al 6 agosto 2020" (capo A) e per il delitto di lesioni aggravate, per trauma cranico, con prognosi di giorni 15 (capo B), ritenendo interrotta la condotta nel febbraio 2019 tanto da applicare la sanzione meno grave antecedente alla legge n. 69 del 2019 e la sospensione condizionale della pena, con contestuale revoca della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Potenza, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. coord. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata, con argomenti apparenti, ha ritenuto che le condotte maltrattanti, protrattesi per sette anni e sempre alla presenza del bambino, si fossero interrotte con la separazione dei coniugi, avvenuta nel febbraio 2019, nonostante l'ultimo episodio denunciato, in regime di genitorialità condivisa, risalisse al 6 agosto 2020 e, dunque, imponesse l'applicazione della legge n. 69 del 2019 in quanto la separazione, secondo la giurisprudenza di legittimità, non interrompe il delitto.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al regime sanzionatorio applicato, la cui mitigazione è stata fondata sull'intervenuta cessazione della convivenza e sull'incensuratezza dell'imputato, nonostante il rischio di recidiva e l'assenza di prognosi positiva espressa anche dal Giudice di primo grado. Inoltre, la sospensione condizionale della pena è stata erroneamente concessa senza subordinarla alla partecipazione a specifici percorsi di recupero nei termini indicati dall'art. 165, comma 5, cod. pen.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale.
Motivi della decisione
1.II primo motivo dì ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate, rimanendo logicamente assorbiti i motivi inerenti la determinazione del trattamento sanzionatorio.
2. La sentenza di primo grado, fatta propria da quella in questa sede impugnata, ha dato atto che, dalla credibile e riscontrata testimonianza della persona offesa fosse emerso come le condotte violente, umilianti, limitative della sua libertà e denigratorie da parte del marito si fossero sviluppate, in modo continuativo, nell'arco di sette anni, anche alla presenza del figlio minorenne della coppia (nato il 15 marzo 2014), sino a determinare la donna a separarsi e ad essere aggredita da A.A., con un tentativo di strangolamento il 6 agosto 2020, in cui il bambino, per difendere la madre, aveva sferrato un calcio al padre temendo che la uccidesse (pag. 10 della sentenza di primo grado).
La Corte di appello ha ritenuto interrotte le condotte maltrattanti al febbraio 2019, in base alla sola circostanza che la coppia si fosse separata (senza indicarne la fonte probatoria anche rispetto alla data), ha ridotto la pena, applicando quella meno severa antecedente alla legge n. 69 del 2019, e ha concesso al A.A. la sospensione condizionale della pena con revoca della misura cautelare in atto.
2.1. Premesso che gli elementi di fatto costitutivi del delitto risultano sostanzialmente non contestati, il Procuratore generale ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto apoditticamente cessate le condotte maltrattanti in coincidenza della separazione, così escludendo che la gravissima aggressione subita dalla donna alla presenza del figlio di soli sei anni, il 6 agosto 2020, fosse in rapporto di continuità con le violenze pregresse.
2.2. Dalla lettura della sentenza di primo grado è emerso che il tentativo di strangolamento della donna, del 6 agosto 2020, era avvenuto quando A.A., riportandole il bambino, aveva preso a pretesto la caduta accidentale del cellulare, fatto da collegarsi, dunque, per le modalità e il contesto, ai precedenti maltrattamenti consumatisi durante il matrimonio.
Inoltre, risulta che detta condotta illecita non solo era contenuta nello stesso capo di imputazione, come segmento del delitto di cui all'art. 572 cod. pen. nella forma aggravata dalla presenza del minorenne, ma anche come delitto autonomo (capo B, art. 582 cod. pen.), avendo determinato il trauma cranico della vittima, tanto da avere spostato, a quella data, la consumazione del delitto abituale.
Peraltro, a questa condotta ne avevano fatto seguito altre, come si legge a pag. 8 della sentenza di primo grado, che pur non descritte nel capo di imputazione, stante la "contestazione chiusa" al 6 agosto 2020, erano tali da comprovare l'abitualità, relegando a dato neutro il periodo intermedio, proprio alla luce della sistematicità delle condotte maltrattanti prima e dopo il 6 agosto 2020.
3. Alla luce di detta ricostruzione in fatto, rimasta non contestata, può essere inquadrata la questione posta dal ricorso circa il termine di consumazione del delitto e, dunque, la sanzione applicabile nel caso di successione di leggi nel tempo.
3.1. Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è un reato di durata nel senso che il suo iter si sviluppa nel tempo e lede in modo protratto il bene giuridico tutelato che, in un'esegesi costituzionalmente (artt. 2, 3 e 32 Cost.) e convenzionalmente orientata (la Convenzione per l'eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione delle Donne, detta Cedaw, adottata dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 e ratificata dall'Italia con la I. del 14 marzo 1985, n. 132, con I' art. 16; la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, detta CEDU, con gli artt. 3 e 14; la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul, ratificata senza riserve con I. 27 giugno 2013, n. 77, con l'art. 3 e la Direttiva vittime 2012/29/UE), è costituito dall'integrità fisica e morale, dalla dignità umana e dall'autodeterminazione della persona (tra le tante Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273; Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.; Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez.6, n. 29542 del 18/09/2020, G., Rv. 279688; Sez. 6 n. 2625 del 12/01/2016, G., Rv. 266243) e la famiglia (o la convivenza) rappresenta soltanto l'ambito in cui si sviluppano i rapporti interpersonali da punire e tutelare.
3.2. E' un reato necessariamente abituale: "proprio" quando le condotte maltrattanti, fisiche o psicologiche, singolarmente prese non configurano reati; "improprio" quando invece lo siano. E' la reiterazione, pur discontinua, a creare un quid pluris di disvalore perché esprime, appunto, un'abitudine relazionale dell'autore idonea a costituire un'unica fattispecie illecita. Infatti, dopo l'integrazione del delitto gli eventuali episodi successivi vi si saldano, in una linea di continuità, ledendo, in modo ripetuto, il medesimo bene giuridico così da generare una realtà autonoma e diversa anche rispetto alla violazione, isolata ed occasionale, di altri delitti che lo compongono.
In sostanza, nel reato abituale vi è una serie minima di atti, anche non delittuosi, riconoscibili solo a posteriori come idonei a perfezionare il fatto tipico nei suoi elementi costitutivi (realizzazione); quelli ulteriori avranno la funzione sia di accrescere la carica di disvalore del delitto già realizzatosi, sia di spostare in avanti la sua consumazione, che andrà a coincidere con il compimento dell'ultimo atto della sequenza criminosa (consumazione).
In assenza di una definizione normativa dell'abitualità, è utile richiamare le Sezioni Unite Ubaldi che, al di là del rilievo da attribuire al limite della pena, hanno ritenuto preclusa l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 -bis cod. pen. ai delitti di maltrattamenti "che presentano l'abitualità come tratto tipico" e agli atti persecutori "che presentano nel tipo condotte reiterate" per la loro dimensione strutturale, in quanto in entrambi detti reati "la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a configurare l'abitualità che esclude l'applicazione della disciplina" (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064).
3.3. La peculiarità della dinamica che caratterizza le forme dì realizzazione della violenza domestica commessa ai danni della donna si manifesta nel delitto in esame sotto due profili: 1) si sviluppa principalmente attraverso atti che, in sé considerati, non configurano reati, quali forme di disprezzo, umiliazioni, denigrazioni, ricatti morali soprattutto rispetto ai figli, manipolazioni psicologiche, richiami costanti all'inadeguatezza delle donne nei loro ruoli familiari (come mogli, madri o figlie); 2) assume una modalità ciclica (Sez. 6, n. 25841 del 30/03/2023, A., non mass, e Sez. 6, n. 11733 del 26/01/2023, F., non mass.) e, per questo, discontinua ma progressiva rispetto alla lesione del bene giuridico tutelato.
E' proprio la struttura discontinua e frammentaria del delitto abituale, soprattutto quando sia "proprio", ad imporre all'interprete di leggere i singoli atti, non costitutivi di per sé reato, secondo una prospettiva globale che ne valorizzi adeguatamente il grado di offensività, collocandoli entro la trama discriminatoria che viene a connotare, talora con identiche dinamiche, lo sviluppo di quella relazione nel tempo (es: utilizzo dei medesimi appellativi sessisti, delle stesse forme di umiliazione e disprezzo, impiego di identici strumenti manipolatori, ecc.). Il singolo segmento deve essere collocato, dunque, nell'ambito del più ampio sviluppo di una condotta causalmente orientata alla creazione prima, e al mantenimento poi, di un rapporto ordinariamente fondato su una matrice sopraffattoria dell'agente ai danni della persona offesa (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273).
3.4. A questo punto si pone il problema della qualificazione del nuovo atto, anche non costituente reato, che si manifesti a distanza di tempo rispetto alla condotta maltrattante già perfezionatasi.
Soprattutto nei reati di violenza domestica, che si connotano per la ciclicità degli atti di maltrattamento commessi nell'ambito di una relazione violenta e controllante, l'interruzione può in concreto rilevare soltanto ove risulti che l'atto successivo non sia in alcun modo riconducibile alle note modali attraverso cui si è ordinariamente sviluppata la condotta dall'autore posta in essere ai danni della medesima persona offesa ed emerga, al contempo, un significativo intervallo temporale (v. Sez. 6, n. 24710 del 31/03/2021, P., Rv. 281528), così da escludere in termini inequivoci la presenza dei tratti di abitualità.
L'accertamento che l'episodio successivo esprima o meno continuità con il disvalore della condotta tipica pregressa è particolarmente agevole proprio nei reati di violenza domestica ai danni delle donne, come quello in esame, in quanto l'assunzione di un'abitudine relazionale in senso gerarchico ed impositivo dell'autore si rivolge sempre e solo nei confronti della stessa partner, con la quale mancano registri comunicativi diversi da quelli fondati sul potere impositivo, cosicché il mero decorso del tempo, anche protratto, di per sé non assume valenza dirimente per escludere la continuità tra la singola condotta successiva e quelle precedenti cui si lega inscindibilmente anche sotto il profilo psicologico.
3.5. Deve altresì ribadirsi che quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, poste in essere nei confronti del coniuge, siano sorte nell'ambito domestico e proseguano nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l'unione civile la persona resta comunque "familiare", presupposto applicativo dell'art. 572 cod. pen. (Sez. 6, n. 46797 del 18/10/2023, T., Rv. 285542; Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv.284020).
La separazione, infatti, da un lato è una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status acquisito; dall'altro dispensa dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lascia integri quelli discendenti dall'art. 143, comma 2, cod. civ. (reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione), cosicché il coniuge separato resta "persona della famiglia" come, peraltro, si evince anche dalla lettura dell'art. 570 cod. pen.
3.6. Sotto altro profilo, vi è da considerare che il consolidato orientamento di questa Corte ritiene che il momento consumativo coincida con la cessazione dell'abitualità, per cui, nell'ipotesi di condotta protrattasi sotto due differenti regimi normativi, a prescindere dal numero di episodi posti in essere nel vigore della nuova legge e tali, dunque, da integrare o meno per intero l'abitualità, la sanzione è quella vigente alla data della consumazione del reato anche se sfavorevole rispetto a quella precedente (Sez. 5, n. 3427 del 19/10/2023, dep. 2024, C., Rv. 285848; Sez. 6, n. 29928 del 23/05/2023, Z., non mass.; Sez. 6, n. 21998 del 5/5/2023, P., Rv. 285118).
A favore di detto orientamento, pur in presenza di un difforme precedente (Sez. 6, n. 28218 del 24/01/2023, S., Rv. n. 284788), militano diversi argomenti: a) il termine della prescrizione nei delitti abituali decorre dal giorno dell'ultima condotta tenuta (Sez. 6, n. 52900 del 4/11/2016, P., Rv. n. 268559); b) i principi espressi dalle Sezioni Unite, secondo cui vanno applicate le regole proprie del reato permanente al "reato abituale, in relazione al quale il tempus commissi delieti, ai fini della successione di leggi penali, coincide con la realizzazione dell'ultima condotta tipica integrante il fatto di reato" (Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, cit.); c) l'illogicità delle conseguenze sul piano sanzionatorio poiché, diversamente, si finirebbe per applicare un regime punitivo meno grave a chi, pur dopo la previsione di una pena più elevata, ha protratto e aggravato la lesione del bene giuridico tutelato nella consapevolezza delle precedenti aggressioni, così dimostrando, peraltro, una maggiore determinazione criminale.
3.7. Ma quello che più rileva per escludere che detta tesi violi il principio di irretroattività della legge penale più grave, ai sensi degli artt. 25 Cost. e 2 cod. pen., è la lettura interpretativa, in chiave costituzionale e convenzionale, del delitto de quo.
3.7.1. Si tratta, infatti, di un reato abituale che, originariamente concepito all'interno di una prospettiva soggettivistica, ai limiti del tipo di autore, ha via via assunto una cifra oggettivistica in quanto attratto dal disvalore del fatto e progressivamente incentrato, nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità, sulla natura dell'offesa e sulla qualità del bene giuridico tutelato secondo una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del verbo maltrattare, così come fornita dalla giurisprudenza di questa Corte (a partire da Sez. U, n.10959 del 29/01/2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893).
A seguito di tale evoluzione ermeneutica, da ultimo espressa anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 197 del 30 ottobre 2023, il nostro ordinamento, pur lasciando invariata la descrizione della condotta contenuta nell'art. 572 cod. pen., si è posto in linea con il quadro delle fonti normative sovranazionali e, soprattutto, con la Convenzione di Istanbul, qualificando la violenza domestica come un insieme di comportamenti vessatori che, di per sé considerati, possono anche non costituire reato, senza dunque richiedere necessariamente la reiterazione di atti di violenza (tra le altre Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, O., Rv. 267270; Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962).
L'elemento modale che caratterizza un comportamento riconducibile allo schema descrittivo dell'art. 572 cod. pen., in un quadro di insieme e non parcellizzato della relazione tra autore e vittima, è rinvenibile nel fatto che gli atti maltrattanti, anche solo minacciati o apparentemente privi di portata lesiva, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico), sono orientati verso la lesione della dignità e della identità della persona offesa, attraverso le più svariate forme di umiliazione, controllo, obbligo di subordinazione, denigrazione, richiamo a stereotipati ruoli di genere in quanto donna, condizionamento manipolatorio fondato su ricatti affettivi o economici agevolati dalla relazione sentimentale e/o genitoriale; tutte condotte che, saldandosi le une con le altre, stante la struttura abituale del reato, arrivano a consolidare un assetto familiare asimmetrico.
Alla stregua di tali rilievi è di tutta evidenza che la prospettiva esegetica deve concentrarsi sulla specifica dinamica della abitualità delle condotte poste in essere nei confronti della donna in ambito familiare e deve essere volta ad accertare se il singolo atto o fatto sia riproduttivo delle modalità cicliche di prevaricazione e controllo che caratterizzano la serie degli atti di maltrattamento commessi ai suoi danni.
La ragione per la quale si ritiene superata la soglia di offensività anche attraverso condotte di per sé non costituenti reato affonda le proprie radici nel fatto che il delitto di maltrattamenti nell'ambito delle relazioni familiari si pone come lesivo di diritti umani inalienabili, quale quello delle donne di vivere libere dalla violenza ai sensi dell'art. 3 della Convenzione di Istanbul citata (in questi termini Corte EDU, Talpis contro Italia, 2 marzo 2017).
La lettura non frazionata del tempus commissi delieti rispetta la struttura del reato, lo colloca nella dimensione interpretativa richiesta anche dalle Corti sovranazionali e consente di verificare nella capacità lesiva di ogni ulteriore atto la rinnovazione e l'aggravamento dell'offesa prodotta dalla non interrotta condotta antigiuridica incidente su diritti umani inalienabili.
4. A tale quadro dì principi non si è uniformata la sentenza impugnata che, nell'attribuire valenza dirimente, di per sé, alla separazione quale circostanza dimostrativa dell'interruzione della condotta maltrattante, non solo mostra di non avere tenuto conto, ai fini dell'inquadramento dell'abitualità, del delitto avvenuto il 6 agosto 2020 e degli atti successivi descritti dalla sentenza di primo grado a pag. 8, ma ignora il dato di comune esperienza che il delitto in esame talora continua e si aggrava proprio in conseguenza della scelta della persona offesa di interrompere la relazione maltrattante attraverso la separazione, che costituisce come tale un preciso fattore di rischio, in quanto atto di affermazione di autonomia e libertà, negate nella relazione di coppia.
Peraltro, sono le stesse Convenzioni internazionali a ritenere che la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, sia una forma di violenza che non solo continua, ma spesso si aggrava, proprio per la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione che costituisce un atto di affermazione di autonomia e libertà negate nella relazione di coppia (in questi termini par. 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul). Detta interpretazione è ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poiché, in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli e l'esercizio del diritto di visita a costituire, per l'agente, l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa, come avvenuto anche nel caso di specie (Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non mass.).
Nel caso in esame, infatti, le condotte contestate all'imputato sono avvenute, nella gran parte, alla presenza del minorenne e l'ultima aggressione, durante la quale questi ha difeso la madre dal tentativo di strangolamento, è avvenuta proprio con il pretesto di riportarlo alla donna, utilizzando l'esercizio del diritto di visita, privo di limiti e con accesso libero nei luoghi in cui viveva la persona offesa, nonostante anche il minorenne ne fosse vittima, ai sensi dell'art. 572, ultimo comma, cod. pen..
5. I motivi relativi alla determinazione della pena e all'applicazione della sospensione condizionale della pena, sono da ritenere allo stato assorbiti nell'accoglimento del primo e andranno valutati, in sede di rinvio, applicando la legge vigente al momento della consumazione del delitto, ossia la legge 19 luglio 2019, n. 69.
6. Sulla base delle argomentazioni che precedono l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno, che dovrà porre rimedio ai vizi rilevati uniformandosi al quadro normativo di cui alla richiamata legge, anche con riferimento al tema posto dal ricorrente in ordine al trattamento sanzionatorio e al nuovo regime della sospensione condizionale della pena previsto per detti delitti ex art. 165, quinto comma, cod. pen.
Il Giudice del rinvio provvederà, inoltre, alla regolamentazione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.