Per la Cassazione, «sussiste violenza assistita a prescindere dall'età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico».
L'imputato ricorre per cassazione avverso la decisione della Corte d'Appello che aveva confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia alla presenza del figlio minore.
Tra i motivi di doglianza, il ricorrente lamenta l'errata applicazione dell'aggravante
Secondo il ricorrente, va escluso che un bambino appena nato possa comprendere, elaborare o anche soltanto percepire l'ambiente circostante. Inoltre, sarebbe stato necessario un accertamento ulteriore, non realizzato nel caso di specie, in merito alla capacità delle condotte in oggetto di incidere sull'equilibrio psicofisico dello spettatore passivo.
Per la Cassazione il motivo è infondato. Nelle sue argomentazioni, la Corte richiama anzitutto un precedente (non citato dal ricorrente) che ha escluso la configurabilità dell'aggravante dei c.d. maltrattamenti assistiti, affermando esplicitamente che «la tenera età dell'infante non consentisse a quest'ultimo di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (…), a prescindere, quindi, dal numero di comportamenti a cui il minore avesse assistito» (Cas. n. 21087/2022).
Per la Cassazione tale orientamento, successivo all'entrata in vigore della
Quanto al dato letterale, per dare attuazione alla Convenzione di Istanbul del 2011 sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne, il nuovo
Su un piano teorico e di sistema, la Corte osserva che «richiedere la verifica sull'idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest'ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo. Significherebbe, in definitiva, destrutturare la forma dell'offesa prescelta dal legislatore».
Quanto al piano empirico, nell'ipotesi di “maltrattamenti assistiti” non vi è ragione di dubitare dell'offensività “in astratto” della fattispecie. Non è infatti incerto il pericolo di danno provocato dalla visione di comportamenti violenti «anche in bambini di età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe quindi essere vieppiù compromesso proprio per l'impossibilità/difficoltà, per il neonato e l'infante di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti».
Sulla questione specifica un principio di diritto espresso in varie pronunce:
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«sussiste violenza assistita a prescindere dall'età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico». |
Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso con sentenza n. 47121 del 23 novembre 2023.
Svolgimento del processo
1. Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza con cui il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale locale, a seguito di rito abbreviato, aveva condannato M.M. per il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572, comma 2, cod. pen.) e lesioni (artt. 582, 585 in relazione all'art. 576 n. 5 cod. pen.).
2. Contro la sentenza della Corte di appello ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore, avvocato S.F., deducendo i seguenti motivi e chiedendo altresì la sospensione della provvisionale disposta dai giudici di merito.
2.1. Errata applicazione dell’aggravante di cui all'art. 572, comma 2, cod. pen., e correlato vizio di motivazione.
Premesso che i maltrattamenti ai danni della madre sono stati realizzati in presenza del figlio minore appena nato in due soli episodi, la Corte di appello si limita ad affermare, senza motivazione, essere un dato scientifico acquisito quello per cui non occorre, nell'infante, la piena consapevolezza per percepire la portata negativa di avvenimenti violenti e dolorosi.
Per contro, la Corte di cassazione, in una recente sentenza (Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S., Rv. 279620), ha ammesso la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista a condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della famiglia, ma a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso.
Nel caso di specie, si prosegue, va escluso che un bambino appena nato possa comprendere, elaborare o anche soltanto percepire l'ambiente circostante. In ogni caso, anche aderendo alla posizione maggioritaria della giurisprudenza, sarebbe stato necessario un accertamento ulteriore - in concreto non realizzato - quanto alla capacità delle condotte in oggetto di incidere sull'equilibrio psicofisico dello spettatore passivo.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed erronea valutazione degli elementi soggettivi.
Nell'escludere la concessione delle circostanze attenuanti generiche, i giudici hanno omesso qualsivoglia valutazione della condotta successiva al reato e della personalità dell'imputato, trascurando che il giudice deve motivare la determinazione della pena, sulla scorta dei criteri di cui all'articolo 133 cod. pen., in una prospettiva individualizzante, che valuti anche la capacità a delinquere dell'imputato.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
Ha presentato conclusioni scritte altresì la parte civile F.P., chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato.
Si è, a tal fine, evidenziato come, secondo la giurisprudenza di legittimità ai fini della configurazione dell'aggravante di cui all'art. 572, comma 2, cod, pen., sia sufficiente che "anche una sola condotta sia sta commessa in presenza del minore" (Sez. 6, n. 19832 del 06/04/2022, S., Rv. 283162) e che, comunque, il concetto di maltrattamento non si esaurisce nella realizzazione di violenze fisiche. Sono, infine, richiamati i provvedimenti adlottati a tutela dei minori dal Tribunale dei minorenni e dal Giudice per le indagini preliminari.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Ai fini della motivazione, si impongono alcuni rilievi, relativi all'orientamento di legittimità che, in modo non corretto, viene richiamato in prospettiva difensiva.
1.2. Il ricorrente cita una massima in cui la configurabilità dei c.d. maltrattamenti assistiti del minorenne è subordinata alla condizione che le condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso (Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S., Rv. 279620), dalla quale inferisce che tale accertamento debba essere svolto in concreto.
Trascura però di considerare come, nel caso oggetto di quella sentenza (in cui una bambina di un anno di età era stata costretta ad assistere reiteratamente agli atti di violenza e minaccia posti in essere dal genitore nei confronti dei fratelli), la Corte di cassazione avesse confermato la pronuncia di condanna della Corte di appello, ritenendone la motivazione ineccepibile anche sotto il profilo della configurazione della circostanza aggravante.
Soprattutto, pretermette come tale pronuncia avesse richiamato, evidentemente aderendo alla sua motivazione, un precedente (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985, anch'esso di conferma della sentenza di appello) che, in modo più ampio, argomentava la rilevanza penale di "maltrattamenti assistiti" nel contesto della tipicità dell'art. 572 cod. (prima che vi fossero legislativamente previsti in modo espresso dalla 19/07/2019, n. 69), richiedendo, in modo affatto coerente, la sussistenza dei requisiti individuati dalla consolidata giurisprudenza ai fini della configurabilità dei maltrattamenti in generale.
In altri termini, tale precedente (Sez. 6 n. 18833 del 23/02/2018, cit.) sollecitava l'indagine del giudice di merito sull'abitualità dei comportamenti e sull'offesa al bene personalistico tutelato (offesa che - precisava - deve atteggiarsi in chiave di idoneità ed anzi di effettiva causazione dell'offesa): con riferimento, evidentemente, alle condotte tenute dall'autore dei maltrattamenti nei confronti di terzi (e non nei confronti del minorenne che assiste).
1.2. Ciò precisato, e rinviando per un approfondimento sul punto alle precisazioni che seguiranno (sub § 1.4), per dovere di completezza, va anche precisato che in un altro caso (non citato dal ricorrente) questa Corte ha, per contro, escluso la configurabilità dell'aggravante dei c.d. maltrattamenti assistiti, affermando esplicitamente che la tenera età dell'infante non consentisse a quest'ultimo di percepire il contesto ambientale e le condotte maltrattanti (così, Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, C., Rv. 283271), a prescindere, quindi, dal numero di comportamenti a cui il minore avesse assistito.
1.3. Allo scopo di fugare equivoci interpretativi su una questione così delicata, questo Collegio ritiene doveroso esplicitare che non ritiene condivisibile tale ultimo orientamento - il quale, come detto, non costituisce espressione di una posizione consolidata (in senso espressamente contrario, tra le altre, Sez. 6, n. 55833 del 18/10/2017, V., Rv. 271670) -, dal momento che non trova giustificazione né nel dato letterale, né in quello teorico e di sistema, né, infine, nel dato empirico: aspetti, in verità, tra loro interrelati e di seguito distinti per sola comodità espositiva.
Quanto al dato letterale, è sufficiente rilevare che, anche per dare attuazione all'art. 46, lett. d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul del 2011), la novella introdotta con la legge 19/07/2019,
n. 69, ha positivizzato - come già ricordato - il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità.
Il legislatore ha, quindi, calato l'ipotesi di "maltrattamenti assistiti" nel corpo dell'art. 572 cod. pen., introducendo un ultimo comma, a mente del quale «il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa del reato», ed innestando, anzi, nel corpo della fattispecie, un'ipotesi aggravata che dispone un consistente aumento di pena «se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore» (art. 572, comma 2, cod. pen.).
Altro non ha aggiunto in ordine all'età del minorenne.
Su un piano appena più approfondito, che è quello teorico e di sistema, richiedere la verifica sull'idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest'ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo. Significherebbe, in definitiva, destrutturare la forma dell'offesa prescelta dal legislatore.
Più esplicitamente, l'ipotesi di "maltrattamenti assistiti" è tipizzata in chiave di pericolo astratto, in quanto assume l'elevata probabilità di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) alla presenza del minorenne.
Ciò basta ad integrare l'offesa e, dunque, la tipicità del reato, senza che, d'altronde, appaia necessario o anche soltanto opportuno proporre letture "correttive", volte a delimitare l'età del minorenne.
Va infatti ricordato che, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, ai fini della c.d. offensività "in astratto" del reato (che la Consulta rivendica al suo proprio sindacato), è sufficiente «che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all'id quod plerumque accidit» (da ultima, sent. n. 139 del 2023, che richiama, a sua volta, sentt. n. 211 del 2022, n. 141 del 2019, n. 109 del 2016 e n. 225 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 278 del 2019). Ove tale condizione risulti soddisfatta - aggiunge la Corte costituzionale - il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa (c.d. offensività "in concreto") resta affidato al giudice ordinario, nell'esercizio del suo potere interpretativo, allo scopo di evitare che l'area di operatività dell'incriminazione si espanda a condotte prive di un'apprezzabile potenzialità lesiva» (ancora sent. n. 139 del 2023, che richiama sent. Corte cast. n. 225 del 2008).
Ebbene - e si giunge in tal modo al terzo profilo accennato, che è quello empirico -, nell'ipotesi di "maltrattamenti assistiti" non vi è ragione di dubitare dell'offensività "in astratto" della fattispecie.
Infatti, non vi è motivo di dubitare del pericolo di danno indotto dalla visione di comportamenti violenti anche in bambini in età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe, quindi, essere vieppiù compromesso, proprio per l'impossibilità/difficoltà, per il neonato e l'infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti (né appare dotata di adeguato supporto l'affermazione, presente in una delle due sentenze di legittimità citate, che la "consapevolezza" si sviluppi soltanto a partire dalla seconda metà del primo anno di vita).
A fronte di tale dato empirico, che - lo si ripete - fonda la conformità a Costituzione della presunzione a fondamento dei "maltrattamenti assistiti" sul piano dell'offensività "in astratto", e precisato che, ovviamente, gli effetti della compromissione del sano sviluppo psico-fisico del bambino possono emergere a distanza di anche molto tempo dal fatto, neppure si comprenderebbe, infine, come esperire quel giudizio sul pericolo in concreto sollecitato dal ricorrente, e cioè accertare l'idoneità offensiva della specifica condotta: vieppiù in casi come quello di specie, in cui il minorenne era di «tenerissima età».
1.4. Altro discorso è quali siano i contenuti minimi, sul piano dell'offensività e quindi della tipicità, dei "maltrattamenti assistiti", che è poi la questione trattata, come detto, da Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B. cit., e, attraverso il richiamo a quest'ultima, da Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S. cit., alla quale, dunque, si torna in conclusione del discorso.
Tali pronunce, mediante il riferimento all'idoneità della condotta - "far assistere" il minorenne alle condotte realizzate nei confronti di altre persone -, hanno inteso sollecitare il suddetto riscontro sulla "offensività in concreto", da parte dei giudici di merito, sotto questo specifico profilo.
Hanno, cioè, dato conto della necessità, prima di tutto logica e poi anche giuridica, che il minorenne, quale ne sia l'età, abbia presenziato ad un numero di episodi che, per la loro gravità (non dovendo, peraltro, necessariamente consistere nell'uso di violenza fisica) e per la loro ricorrenza nel tempo (abitualità), possano comprometterne il sano sviluppo psico-fisico, locuzione a proposito della quale è appena il caso di precisare che la distinzione tradizionale tra "corpo" e "mente" risulta superata dalle acquisizioni scientifiche. E hanno, per contro, escluso che il delitto sia configurabile quando, ad esempio, il minore assista ad un solo atto di maltrattamento verso terzi.
Il principio di diritto espresso in tali pronunce può essere, dunque, più precisamente specificato nei termini seguenti: sussiste violenza assistita a prescindere dall'età del minorenne, purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.
1.5. Svolte queste precisazioni, si torna al caso di specie.
Infondata, per le ragioni indicate, appare la deduzione del ricorrente ove eccepisce che i giudici, ai fini della configurabilità dell'art. 572, comma 2, cod. pen., abbiano trascurato l'età tenerissima del minorenne e comunque non abbiano esperito alcun accertamento in ordine al pericolo di lesione della sua integrità psico-fisica, dal momento che tale età non rileva legislativamente, non potendosi, d'altronde, escludere che, al contrario di quanto ipotizzato dal ricorrente, il pericolo sia tanto maggiore quanto più tenera è l'età del minorenne che assiste ai maltrattamenti.
Né vi è motivo di ritenere - aspetto, seppur in modo liminare, anch'esso dedotto nel ricorso - che i comportamenti cui il minorenne ha assistito non integrino la soglia di rilevanza penale dei maltrattamenti. I giudici dell'appello hanno infatti avuto cura di precisare che, sebbene «dagli atti processuali emergano descritti due specifici episodi avvenuti alla presenza del figlio lattante della coppia», «gli episodi a cui ha assistito il piccolo sono sicuramente molto più numerosi, essendo il bambino, di pochi mesi, a casa con i genitori e quindi inevitabilmente spettatore, se non in qualche modo coinvolto, nelle esplosioni di violenza verbale e fisica del padre nei confronti della madre (padre che frequentemente trascinava la compagna fuori dall'abitazione, privando quindi il minore, di tenerissima età, della presenza materna)». Ed hanno aggiunto - subito di seguito - che «le urla, l'estromissione della madre dalla casa familiare, i tentativi della P. di rientrare in casa, il coinvolgimento di vicini e forze dell'ordine hanno costituito il contesto violento e nocivo in cui il minore ha vissuto i primi mesi a causa della violenta condotta paterna verso la madre».
Così argomentando, essi hanno non soltanto correttamente applicato la legge penale, ma anche ottemperato all'obbligo di rendere una motivazione completa e coerente.
2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, nel dedurre la violazione dell'art. 133 cod. pen. sotto il profilo della commisurazione della pena e, in particolare, per la mancata considerazione della personalità dell'imputato, il ricorrente non si confronta con la completa e logica motivazione della sentenza.
In particolare, non tiene conto del fatto che i giudici, nel motivare la ragione per cui si sono discostati di tre mesi dal minimo edittale, hanno considerato la pena così determinata proporzionata al disvalore del fatto sotto il profilo sia oggettivo, sia soggettivo, alla luce della protrazione delle condotte maltrattanti per un lasso temporale non breve, anche nel periodo in cui la donna, persona offesa, era in stato di gravidanza e subito dopo il parto - quindi in fasi della vita in cui era particolarmente fragile e bisognosa di collaborazione e solidarietà - nonché dell'impiego, nei confronti della stessa, anche di violenza fisica.
Aggiungono, inoltre, che «l'aumento di pena, stabilito nella misura dei sei mesi di reclusione, è anch'essa adeguata alla brutalità della condotta tenuta nei confronti della convivente e all'entità delle conseguenze dannose a lei cagionati».
Il motivo appare peraltro generico, anche perché aspecifico, non precisando in che cosa consisterebbe il ravvedimento post delictum del ricorrente e la meritevolezza del suo comportamento processuale (né elementi in tal senso si desumono dai motivi di appello, eccezionalmente sintetici sul punto, che alludono soltanto ad una asserita reciprocità delle violenze).
3. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre l'imputato alla rifusione delle spese giudiziali in favore della parte civile P. F., in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minorenne M. R., ammessa al gratuito patrocinio, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.