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Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 508/2021, ha respinto il reclamo avverso la pronuncia del Tribunale di Alessandria che aveva confermato la ordinanza emessa in fase sommaria ex lege n. 92/2012, con la quale erano state rigettate le impugnazioni proposte da A. G., dipendente di Forno dell’S. R. srl, con mansioni di banconiera livello B2 CCNL Panificatori, nei confronti di due licenziamenti intimatile: il primo per giustificato motivo oggettivo ed il secondo per giusta causa.
2. In punto di fatto va evidenziato che, con lettera del 17.1.2018, la lavoratrice era stata licenziata per giustificato motivo oggettivo: recesso impugnato con pec del 13.2.2018 ricevuta in pari data dal datore di lavoro; il giorno 1.3.2018 era giunto presso l’indirizzo della G. un telegramma, inviato il 28.2.2018, contenente la revoca del licenziamento; con pec dell’1.3.2018 il difensore della dipendente, contestando la tardività della revoca, comunicava l’impossibilità della G. di presentarsi al lavoro alle ore 13 dell’1.3.2018 avendo ricevuto il telegramma alle ore 13.20; con pec del medesimo giorno la società, dando atto della giustificazione della assenza della lavoratrice, aveva invitato la stessa a presentarsi al lavoro il 2.3.2018; non essendosi quest’ultima presentatasi ella era stata licenziata, per giusta causa, per l’assenza al lavoro protrattasi per oltre tre giorni, con effetto dal 15.3.2018.
3. I giudici di seconde cure hanno precisato che: a) la revoca del primo licenziamento era tempestiva perché effettuata nel termine di 15 giorni e non si era verificata alcuna decadenza perché doveva aversi riguardo alla data di invio del telegramma e non alla sua ricezione, dovendosi applicare il principio di scissione degli effetti dell’atto, applicabile anche in tema di revoca del recesso, di talché per il datore di lavoro era rilevante il momento in cui questa veniva effettuata e per il lavoratore il momento della sua ricezione; b) il telegramma era riferibile alla società e ciò era avvalorato dal comportamento successivo di entrambe le parti; c) l’attività del difensore della lavoratrice, espletata durante tutti gli eventi, dimostrava l’esistenza di una procura generale e della elezione di domicilio presso di esso; d) andava applicato, per la regolamentazione delle spese, il criterio della soccombenza.
4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione A. G. affidato ad un unico motivo cui hanno resistito, con un unico controricorso, le due intimate Forno dell’S. R. srl nonché La R. R. srl.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
6. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 10 della legge n. 300 del 1970, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 149 cpc, deducendo la intempestività della disposta revoca del licenziamento in relazione alla quale andava applicata la regola relativa agli atti recettizi a forma libera e non anche la disciplina che consente, come invece aveva erroneamente ritenuto la Corte distrettuale, la scissione del termine di invio da quello della ricezione, di talché l’atto di parte datoriale doveva considerarsi intempestivo per essersi verificata la decadenza dalla possibilità di revocare il provvedimento di recesso già disposto, con ogni conseguenza di legge in termini di ripristino del rapporto.
2. Il motivo non è fondato e deve essere respinto sia pure con le precisazioni e integrazioni motivazionali che seguono.
3. Ai fini di meglio inquadrare la questione giuridica che viene sottoposta al Collegio, è opportuno delineare in modo sintetico alcuni principi in tema di revoca del licenziamento che sono stati affermati prima dell’entrata in vigore dell’art. 18 co. 10 legge n. 300/1970, come introdotto dalla legge n. 92/2012: disposizione questa pacificamente applicabile nel caso di specie e che è stata ripresa in modo identico dall’art. 4 del D.lgs. n. 23/2015.
4. Prima della suddetta modifica legislativa, la giurisprudenza era concorde nel ritenere che la revoca del licenziamento costituisse una proposta, indirizzata al lavoratore, che per essere efficace necessitava dell’accettazione da parte di quest’ultimo (Cass. n. 23435/2016; Cass. n. 13090/2011; Cass. n. 36/2011).
5. Più controversa era la problematica dell’obbligo risarcitorio a carico del datore di lavoro in ipotesi di revoca: per alcuni il risarcimento, non inferiore al limite delle cinque mensilità, era sempre dovuto (Cass. n. 5474/1984); per altri, il risarcimento era dovuto, ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/1970, solo se la revoca fosse stata effettuata dopo la notifica del ricorso introduttivo del giudizio (Cass. n. 2068/1988); per altri ancora, il risarcimento, sempre ex art. 18 citato, spettava unicamente in caso di rispristino del rapporto qualora vi fosse stata una apprezzabile soluzione di continuità (Cass. n. 6331/2001; Cass. n. 10408/1995).
6. La legge n. 92/2012 ha introdotto l’attuale versione del comma 10 dell’art. 18 legge n, 300 del 1970 che prevede testualmente: “Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo”.
7. La dottrina, condivisibilmente, ha individuato l’istituto della revoca del licenziamento, ai fini della individuazione della sua natura giuridica, quale diritto potestativo del datore di lavoro cui soggiace il lavoratore.
8. E’ una sorta, pertanto, di “autotutela” esercitabile dal datore di lavoro che determina il ripristino ex tunc del rapporto, senza che sia necessario il concorso di una analoga manifestazione di volontà da parte del lavoratore in tal senso e senza che sia fonte di risarcimento del danno.
9. Per provocare l’effetto ripristinatorio del rapporto in questi termini, la revoca deve essere effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro della impugnazione del licenziamento, prevista dall’art. 6 della legge n. 604/1966.
10. Ciò premesso, e venendo alla questione giuridica oggetto del presente giudizio, si pone il problema di stabilire se, entro il suddetto termine massimo di quindici giorni, è sufficiente che la revoca sia inviata al lavoratore ovvero pervenga e sia portata a conoscenza di questi.
11. La recente dottrina sul punto non è unanime.
12. Per la soluzione del problema ritiene il Collegio che si debba partire dalla natura giuridica della revoca.
13. Come sopra accennato, la revoca si colloca nella categoria del diritto potestativo, cioè di quel potere, riconosciuto dal diritto positivo ad un soggetto, di modificare l’altrui sfera giuridica mediante un atto unilaterale.
14. Nella fattispecie procedimentale del licenziamento, esso si pone come diritto secondario avendo carattere necessariamente accessivo ad altra situazione giuridica soggettiva rappresentata dal diritto del datore di lavoro di recedere dal rapporto con il proprio dipendente in presenza di particolari presupposti.
15. Orbene, stante la natura di diritto potestativo della revoca del licenziamento, deve richiamarsi il precedente di questa Corte (cfr. Cass. n. 24274/2006, in motivazione) secondo cui “nei rapporti negoziali, qualora ad una parte risulti conferito, dalla legge o da fonte pattizia, un diritto potestativo, l’esercizio di tale diritto produce la modificazione immediata della sfera giuridica del destinatario. Le limitazioni all’esercizio del potere, quanto alla prescrizione di determinate forme, alla sussistenza di motivi giustificativi, alla necessità di un periodo di preavviso ai fini della produzione degli effetti, devono essere specificamente stabilite dalla legge o dalla stessa fonte contrattuale attributiva del potere”. Nella fattispecie, il comma 10 dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non prevede limitazioni all’esercizio del potere di revoca del licenziamento, se non quella che la revoca debba essere “effettuata” nei quindici giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del licenziamento medesimo. Il dato testuale, che ancora il dies a quo alla comunicazione dell’impugnativa di licenziamento e il dies ad quem all’effettuazione della revoca, senza alcun riferimento alla comunicazione all’interessato, induce a ritenere sufficiente il mero invio della revoca al lavoratore nel termine prescritto e non anche la ricezione da parte dello stesso nel medesimo termine.
16. L’esercizio del potere entro il suddetto termine, come statuito dalla legge, deve considerarsi lecito, non giovando il richiamo dei precetti di buona fede e correttezza, che possono integrare il contenuto di obbligazioni ma non determinarne la nascita di nuove se non previste dalla legge o da altre pattuizioni (Cass. n. 7731/2007; Cass. n. 7053/2009; Cass. n. 4239/2015).
17. Nel caso in esame, quindi, a fronte della comunicazione dell’impugnazione del licenziamento del 13 febbraio 2018, la revoca del recesso effettuata con telegramma, inviato il 28 febbraio 2018 e pervenuto alla lavoratrice il 1° marzo del 2018, deve considerarsi tempestiva.
18. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
19. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo in favore di entrambe le intimate che si sono costituite con un unico controricorso.
20. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore delle controricorrenti, che liquida in complessivi euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.