La cancellazione dal Registro delle imprese determina la perdita di capacità di stare in giudizio, conseguendone l'inesistenza della procura speciale rilasciata al difensore per mancanza del mandante.
La Corte d'Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto da Tizio, socio accomandatario e legale di una società, sul rilievo che l'impugnazione era stata proposta quando la società era stata cancellata dal registro delle imprese e dunque aveva perduto la capacità di stare in giudizio.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Frascati, con sentenza n. 828/2015, depositata il 12 marzo 2015, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, proposta dalla società O.P. di R.G. & C. s.a.s., con il quale la società F. s.r.l. aveva intimato all’opponente il pagamento della somma di euro 14.746,34, oltre interessi, in forza di fattura n. 3608 emessa in data 31 dicembre 2009 relativa ad una fornitura di funghi.
2. La sentenza è stata impugnata dal sig. G. R., nella qualità di socio accomandatario e legale rappresentante della società O.P. di R.G. & C. s.a.s., avanti alla Corte d’Appello di Roma, che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello.
In particolare, senza entrare nel merito dei motivi di gravame, la corte territoriale ha rilevato che l’impugnazione era stata proposta quando la società, originariamente parte opponente, non era più in vita per essere stata cancellata dal registro delle imprese in data 2 luglio 2013 (in pendenza del giudizio di primo grado), e che l’appello, proposto dal R., non in proprio, ma quale socio accomandatario e legale rappresentante della società estinta, era inammissibile, avendo la società perduto la capacità di stare in giudizio; ha, quindi, aggiunto che il giudizio d’appello era ‹‹monco››, in difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti del socio accomandante, litisconsorte necessario.
3. Il R., nella qualità di socio accomandatario di O.P. di R.G. & C. s.a.s., nonché quale ex rappresentante legale ed anche in proprio quale ex socio, ricorre per la cassazione della sentenza d’appello, con due motivi.
La società F. s.r.l. resiste mediante controricorso.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‹‹omessa, illogica contraddittoria e travisata motivazione per il travisamento dei fatti circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. – erronea e scorretta applicazione ed interpretazione delle disposizioni di legge di cui agli artt. 2312, 2495, comma 2, c.c., come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, nonché degli artt. 75 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., nonché degli artt. 2697 c.c. e 112, 115 e 116 c.p.c. – errata e scorretta interpretazione dei principi che regolano la legittimazione attiva nelle società in accomandita semplice ed i rapporti di successione in capo all’ex socio accomandatario – omessa ed errata valutazione nel rilevare il contenuto della domanda introduttiva formulata dalla parte ricorrente – illogica e contraddittoria motivazione per il travisamento dei fatti circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. e dei richiamati artt. del codice di rito 112, 115 e 116 c.p.c. sulla prova dei fatti posti a fondamento del diritto vantato››.
Sostiene che la Corte d’appello ha, erroneamente, rilevato il difetto di legittimazione attiva, in quanto egli aveva agito, nel giudizio di appello, non come rappresentante legale della società estinta, ma quale socio accomandatario e quindi ex socio pienamente legittimato ad esperire, in nome e per conto proprio, azioni giudiziali a tutela dei propri diritti, e che ha male interpretato l’atto introduttivo del giudizio di appello, senza tenere conto degli elementi istruttori offerti (quali la visura camerale), così risolvendo la controversia in palese violazione dei criteri di ripartizione in materia di onere della prova.
Contesta pure ai giudici di merito di avere disatteso l’obbligo di pronunciare su tutta la domanda, alla stregua delle prove fornite dalle parti, senza considerare che egli aveva agito anche in proprio, come emergeva dalla procura alle liti, sicché la sola impugnazione della società avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con le sentenze nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013.
2. Con il secondo motivo, denunciando ‹‹totale travisamento della pronuncia di secondo grado per aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello piuttosto che la nullità per omessa chiamata del litisconsorte necessario››, il ricorrente lamenta che i giudici di appello avrebbero errato nel rilevare il difetto del contraddittorio nei confronti del socio accomandante senza poi disporre l’integrazione del contraddittorio e limitandosi a dichiarare l’inammissibilità dell’appello.
3. Preliminarmente, deve darsi atto dell’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto da G.R., nella dichiarata qualità di ‹‹ex rappresentante legale (giusti poteri con atti del 10.7.1989 a tempo indeterminato)›› della società O.P. di R.G. & C. s.a.s.
3.1. È pacifica la circostanza che la società da ultimo indicata sia stata cancellata dal registro delle imprese in data 2 luglio 2013, come rilevato dal giudice d’appello e non contestato dalla stessa parte ricorrente.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito con la sentenza n. 6070 del 2013, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, che ha in particolare modificato l'art. 2495 cod. civ., qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con l'eccezione della fictio iuris contemplata dall'art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c.; qualora l'evento non sia stato fatto constatare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constatare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l'evento estintivo è occorso.
3.2. Una simile esegesi non è incisa, per gli effetti che ne derivano in questa controversia, da quanto ulteriormente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte a proposito della c.d. ultrattività del mandato difensivo (Cass., sez. U, 04/07/2014, n. 15295) nei giudizi in cui sia parte la persona fisica. Non è incisa perché nella specie si discorre della legittimazione a proporre il ricorso per cassazione. È difatti dirimente la considerazione che il principio enunciato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite, nel concludere che il procuratore della parte, ove munito di procura valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte estinta, trova limite proprio nel ricorso per cassazione. E dunque non interessa ai fini della proposizione del ricorso per cassazione per il quale è richiesta la procura speciale, che il legale rappresentante della società oramai definitivamente estinta (v. già Cass., sez. U, 22/02/2010, n. 4060; Cass., sez. U, 22/02/2010, n. 4061; Cass., sez. U, 22/02/2010, n. 4062) non è legittimato a rilasciarla per conto di questa, giacché la cancellazione della società ha come effetto il venir meno del potere di rappresentanza degli organi della liquidazione (Cass., sez. 3, 22/09/2022, n. 27847; Cass., sez. 5, 10/06/2015, n. 12040; Cass., sez. 5, 03/11/2011, n. 22863).
Consequenziale è l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal R. nella dichiarata qualità di ex legale rappresentante della società estinta, richiamata nell'intestazione del ricorso per cassazione, trattandosi di qualità giuridicamente impossibile in dipendenza dell'avvenuta cancellazione e stante la necessità che il mandato sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio (Cass., sez. 6 -3, 22/05/2018, n. 12603; Cass., sez. 22/01/2020, n. 1392; Cass., sez. 5, 17/06/2021, n. 17360; Cass., sez. 3, 19/05/2022, n. 16225).
4. Passando all’esame del ricorso proposto dal R. in proprio”, il primo motivo è infondato.
4.1. A supporto della tesi censoria il ricorrente evoca il principio affermato da Cass, sez. U, n. 6070 del 2013, ma i principi espressi da tale pronuncia, già richiamati al § 3.), non possono giovare.
Difatti, le Sezioni Unite hanno dato risposta al quesito su chi sia legittimato a impugnare (o su chi debba essere il destinatario dell’altrui impugnazione avverso) la sentenza pronunciata nei confronti della società, nel caso in cui questa sia stata cancellata e l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dall’art. 299 e ss. cod. proc. civ. e lo hanno individuato nel ‹‹socio succeduto alla società estinta››, sul presupposto che l’estinzione della società determini ‹‹un meccanismo di tipo successorio››, ma non hanno al contempo escluso che tale veste legittimante ad impugnare o a resistere all’impugnazione, affinché possa essere posta a base della decisione, debba essere espressamente allegata.
Al riguardo viene in rilievo il principio secondo cui il soggetto che proponga impugnazione ovvero vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio, deve allegare la propria legitimatio ad causam e deve altresì fornirne la prova, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione ed alla verifica della sussistenza delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla successione nel processo ex art. 110 cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 22/04/2013, n. 9692; Cass., sez. 1, 26/09/2019, n. 24050; Cass., sez. L, 27/01/2011, n. 1943).
4.2. La Corte d’appello, attenendosi a tale principio, non ha negato che spetti al ‹‹socio succeduto a società estinta›› la legittimazione ad impugnare, ma ha, ben diversamente, deciso sulla base della prospettazione dell’appello e, segnatamente, della qualità che l’appellante in quell’atto dichiarava di rivestire (‹‹socio accomandatario e legale rappresentante della società…››), che non faceva menzione di quella successione e che lasciava presumere che si stesse proponendo impugnazione nella qualità di socio illimitatamente responsabile e di legale rappresentante della s.a.s., qualità diversa da quella di socio subentrato alla società estinta, che, sola, avrebbe potuto legittimare a proporre il gravame.
In altri termini, il giudice d’appello si è posto il problema della legittimazione ad impugnare, riferita alla veste, dichiarata nell’atto di gravame, di socio accomandatario e legale rappresentante di una società ancora esistente, e non a quella, non dedotta, di socio succeduto alla s.a.s. estinta, ed ha, del tutto correttamente, escluso tale legittimazione, sul rilievo che la veste indicata nell’atto introduttivo del giudizio di appello identificava un soggetto (il socio e legale rappresentante) distinto dal socio succeduto alla società cancellata dal registro delle imprese, in tal modo evidenziando che non sussisteva un problema di prova di tale veste, quanto piuttosto di allegazione o, meglio, di idoneità della qualità spesa nell’atto di appello a legittimare l’impugnazione.
4.3. Alla stregua delle considerazioni svolte è del tutto evidente che la sentenza impugnata si sottrae a tutte le censure svolte con il motivo in esame.
La motivazione della sentenza non risulta, invero, illogica o contraddittoria, considerato che tale vizio ricorre solo quando essa contenga affermazioni tra loro inconciliabili, tali da non consentire la identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cass., sez. L, 17/08/2020, n. 17196), né incorre, per le ragioni sopra esposte, nella violazione degli artt. 2312 e 2495 cod. civ. e 2697 cod. civ.; va, parimenti, esclusa la denunciata violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in quanto la rilevata inammissibilità dell’appello preclude l’esame del merito della controversia.
5. L’inammissibilità dell’appello consente di ritenere assorbita ogni altra questione, compresa quella concernente l’integrazione del contraddittorio, prospettata con il secondo motivo di ricorso; invero, solo ove l’appello fosse ammissibile, la prosecuzione del giudizio imporrebbe di verificare la ritualità ed integrità del contraddittorio instaurato con l’atto di appello.
6. Il ricorso proposto dal R. in proprio va, dunque, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal R. nella qualità di socio accomandatario ed ex rappresentante legale della società O.P. di R.G. 6 C. s.a.s.; rigetta il ricorso proposto dal R. in proprio.
Condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.