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11 luglio 2024
La sorte dei crediti vantati da una società estinta in pendenza di giudizio
L'estinzione di una società, in pendenza di giudizio, comporta o meno la rinuncia tacita di crediti, incerti o illiquidi, dalla stessa vantati e assenti nel bilancio finale di liquidazione? Dato il contrasto giurisprudenziale sulla questione, la Suprema Corte decide di rimettere gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
di La Redazione
La pronuncia della sezione Prima Civile della Corte di Cassazione vedeva, ab origine, la proposizione di un ricorso da parte di una Società e i suoi fideiussori i quali chiedevano la restituzione di somme indebitamente versate per l'illegittima applicazione di interessi sui conti correnti bancari accesi dalla Società presso la propria Banca. Il Tribunale di Napoli, investito della vicenda, all'esito di una CTU dichiarò la cessazione della materia del contendere delle domande proposte dalla Società - medio tempore cancellata dal Registro delle imprese - respingendo le domande dei fideiussori. Successivamente, la Corte d'Appello di Napoli dichiarava inammissibile l'impugnazione presentata dalla Società in quanto cancellata dal registro delle imprese, condannando la Banca al pagamento della somma controversa in favore del socio unico della Società ormai estinta e dichiarando assorbita la domanda dei fideiussori. La decisione della Corte poggiava, tra le altre, sulla circostanza per cui l'intervenuta estinzione della Società non avrebbe determinato alcuna rinuncia del credito in assenza di prove sulla volontà del creditore di rimettere il debito.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sul ricorso della Banca, soffermandosi in particolare sul secondo motivo di ricorso rilevava un contrasto di indirizzi nella stessa giurisprudenza di legittimità circa la possibilità di configurare una tacita rinuncia a crediti di una Società, incerti e illiquidi, non compresi nel bilancio finale di liquidazione, ove questa venga cancellata dal registro delle imprese in pendenza di lite, con conseguente estinzione e impossibilità di trasferimento ai soci.

Sul punto le Sezioni Unite nel 2013 esprimevano il principio secondo cui «qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale, tuttavia, dal lato attivo, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo». Pertanto, secondo l'orientamento delle Sezioni Unite – condiviso da posteriori pronunce – in tali casi vige una presunzione pressoché assoluta di rinuncia quale diretta conseguenza della cancellazione della Società dal registro delle imprese.

Tale assunto, tuttavia, non trovava integrale condivisione nella giurisprudenza successiva, la quale, per converso, ritiene prevalente la presunzione inversa escludendo ogni automatismo: secondo tale filone interpretativo, la cancellazione della Società non determina l'automatica rinuncia del credito controverso, perché la remissione del debito presuppone una volontà inequivoca che deve essere specificamente allegata e provata.

A fronte di tale contrasto giurisprudenziale, la Suprema Corte ritiene necessario rimettere gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
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