Svolgimento del processo
Nell'aprile 2009 la Cas.Di.T. Srl (breviter società) e i ¿deiussori G. e B.B., C.C. e C.C. convennero in giudizio il Banco di (omissis), chiedendo la restituzione delle somme indebitamente versate per l'illegittima applicazione di interessi sui conti correnti bancari accesi dalla società.
Nella resistenza della banca, che aveva eccepito tra l'altro la prescrizione della pretesa, l'adito tribunale di Napoli, all'esito di una c.t.u., dichiarò cessata la materia del contendere sulle domande proposte dalla società, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese, e respinse le domande dei fideiussori.
La corte d'appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l' impugnazione della società, in quanto cancellata dal registro delle imprese dal 26-2-2016, e ha condannato la banca al pagamento della somma di 456.746,48 Euro (corrispondente al saldo del c/c n. omissis) in favore di A.A. quale socio unico della estinta, dichiarando assorbita la domanda dei fideiussori.
La condanna, per quanto in effetti rileva, è stata pronunciata sulla scorta dei seguenti passaggi argomentativi:
(a) la pretesa originaria non potevasi considerare rinunciata come effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese, dovendo seguirsi l'orientamento per cui l'estinzione, ove intervenuta in pendenza di un giudizio già intrapreso, non determina anche la rinuncia della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito;
(b) ciò non era ravvisabile nella condotta della estinta, sicché era derivato il subentro del socio unico nei diritti vantati da essa;
(c) dalla c.t.u. era rimasto accertato che esisteva un'apertura di credito tra le parti, e il c.t.u., con la seconda ipotesi di calcolo, aveva rideterminato il rapporto di dare-avere in ossequio al principio per cui, in caso di rimesse ripristinatorie, la prescrizione (che la banca aveva eccepito con riferimento a tutte le rimesse eseguite nel decennio anteriore alla noti¿ca della citazione) decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto;
(d) ne conseguiva la necessità di riconoscere che il conto n. 4411, intrattenuto dalla società, epurato dalle poste illegittime, aveva in¿ne presentato un saldo attivo per l' importo sopra riferito (456.746,48 Euro), da attribuire in capo al predetto socio unico A.A.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione I. Spa, incorporante il Banco di (omissis), articolando tre motivi.
Gli intimati hanno replicato con controricorso e hanno proposto un motivo di ricorso incidentale condizionato, al quale la banca ha replicato a sua volta con controricorso.
I controricorrenti hanno depositato una memoria e hanno chiesto la liquidazione delle spese relative al procedimento di sospensione ex art. 373 cod. proc. civ. tenutosi dinanzi alla corte d'appello, con liquidazione in favore del difensore anticipatario.
Motivi della decisione
I. - Nel ricorso principale la banca denunzia nell'ordine:
(i) col primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 cod. civ., 112 e 101 cod. proc. civ. e l'omesso esame di un fatto decisivo, non essendosi la corte d'appello avveduta che la domanda, vertente su una richiesta di condanna ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., era inammissibile per difetto del presupposto essenziale costituito dall'estinzione del conto e dall'avvenuto pagamento a saldo di tutte le poste ritenute invalide o illegittime, volta che neppure era stata adombrata la conversione della domanda di condanna in domanda di mero accertamento del saldo medesimo; infatti l'elemento della chiusura del conto e/o del pagamento del saldo avrebbe dovuto esser considerato alla stregua di condizione di ammissibilità dell'azione di ripetizione, e non solo di procedibilità, così da dover essere valutato come esistente al momento della proposizione della domanda;
(ii) col secondo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2496 cod. civ. e 110 cod. proc. civ., essendosi la corte d'appello conformata a un indirizzo giurisprudenziale in contrasto con la soluzione validata dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 6070, 6071 e 6072 del 2013, dovendosi escludere la successione dei soci delle società estinte nelle mere pretese, anche ove già azionate, e nei crediti incerti o illiquidi; in questo senso la decisione impugnata sarebbe errata, avendo affrontato l'argomento come se si trattasse di diritti di credito liquidi e de¿niti; cosa d'altronde ricavabile dall'ampia disquisizione sulle modalità di estrinsecazione della remissione tacita, che riguarda per l'appunto diritti quanto meno liquidi e di ammontare noto o determinabile;
(iii) col terzo mezzo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2033, 2934 cod. civ., 112 e 132 cod. proc. civ., e l'omesso esame di fatto decisivo, per avere la sentenza deciso la causa senza alcun approfondimento, non avendo affatto il c.t.u. "prospettato una duplice ipotesi di calcolo", come invece ritenuto dalla corte territoriale, ma una duplice distinzione a sua volta suddivisa in altre due; segnatamente: una prima distinzione in base alle spese collegate alla tenuta e/o al funzionamento del rapporto di c/c in essere, e una seconda in base alle spese legate a "rapporti terzi", tali da richiedere una speci¿ca pattuizione; per cui quella in¿ne ritenuta dalla corte d'appello era una semplice sottodistinzione, relativa a questa seconda ipotesi e incentrata sulla epurazione di spese e interessi anche di conti terzi e di altri rapporti; in sostanza, la scelta della corte territoriale era caduta su una soluzione avente come elemento di fondo un conto depurato da qualsiasi spesa e da interessi anche relativi a rapporti estranei al giudizio, neppure richiamati speci¿camente; sui quali diversi rapporti non si era mai instaurato alcun contraddittorio, essendo in¿ne mancata qualsiasi veri¿ca di eventuali profili di criticità o di eventuali poste illegittime applicate dalla banca.
II. - Nel ricorso incidentale condizionato è invece dedotta, in unico motivo, la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, avendo la corte d'appello, sebbene menzionandola nella motivazione, mancato di accogliere "la domanda di accertamento negativo del conto" e mancato altresì di accertare che il saldo del conto era pari a 456.746,48 Euro.
III. - Il secondo motivo del ricorso principale pone una questione sulla quale si è determinata, presso questa Corte, nell'ultimo decennio, una divaricazione di indirizzi.
La questione attiene alla possibilità di con¿gurare la tacita rinuncia dei crediti della società, non compresi nel bilancio ¿nale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione della stessa dal registro delle imprese, con conseguente estinzione, nella pendenza del giudizio teso a farli accertare.
IV. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte hanno espresso il noto principio secondo il quale, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale, tuttavia, dal lato attivo, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, "con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo" (Cass. Sez. U n. 6070-13, Cass. Sez. U n. 6071-13).
Da tale principio ha preso avvio di un indirizzo conforme, del quale può considerarsi espressione, tra le altre, Cass. Sez. 1 n. 25974-15: "l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina il trasferimento della corrispondente azione in capo ai soci, atteso che dal fenomeno di tipo successorio derivante dalla suddetta vicenda, riguardante esclusivamente gli eventuali rapporti giuridici (afferenti le obbligazioni ancora inadempiute, oppure i beni o i diritti non compresi nel bilancio ¿nale di liquidazione) non venuti meno a causa di quest'ultima, esulano le mere pretese, benché azionate in giudizio, e i diritti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell'accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato con conseguente cessazione della materia del contendere".
V. - Nel solco di questo indirizzo è stata peraltro progressivamente valorizzata in modo non univoco la questione, di non secondario effetto pratico, del rinvenimento di una presunzione quali¿cata di rinuncia alle pretese così definibili.
Invero Cass. Sez. 3 n. 15782-16 ha ritenuto che " in caso di cancellazione volontaria di una società dal registro delle imprese, effettuata in pendenza di un giudizio risarcitorio introdotto dalla società medesima, si presume che quest'ultima abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito, ancorché incerto ed illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della società; tale presunzione comporta che non si determini alcun fenomeno successorio nella pretesa sub iudice, sicché i soci della società estinta non sono legittimati ad impugnare la sentenza d'appello che abbia rigettato questa pretesa".
VI. - L'assunto non ha trovato integrale condivisione nella giurisprudenza successiva.
In particolare, è stato contrastato da due decisioni, rispettivamente, della Prima sezione e della Prima sottosezione della Sesta sezione, l'una in tema di cancellazione volontaria e l'altra in tema di cancellazione d'ufficio:
- "l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne pro¿ttare" (Cass. Sez. 1 n. 9464-20, che in applicazione del principio ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto dovute agli ex soci di una società di capitali, estintasi nel corso della causa, le somme inizialmente pretese dalla medesima);
- "nel caso di cancellazione della società dal registro delle imprese (tanto più se si tratta di cancellazione d'uf¿cio ex art. 2490, ultimo comma, cod. civ.) non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito controverso (nella specie derivante dall'azione promossa ex art. 2476 cod. civ.), atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell'art. 1236 cod. civ., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore" (Cass. Sez. 6-1 n. 30075-20).
VII. - In¿ne, un'altra decisione della Terza sezione si è posta in antitesi a tale indirizzo, riproponendo l'affermazione che:
- "a seguito della cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, la successione dei soci non opera in relazione ai crediti illiquidi e inesigibili non compresi nel bilancio ¿nale di liquidazione, i quali si presumono tacitamente rinunciati a bene¿cio della sollecita de¿nizione del procedimento estintivo della società, salva la prova contraria da parte di colui che intenda far valere la corrispondente pretesa, senza che assuma rilievo, a tal ¿ne, la dichiarata qualità di ex socio o di liquidatore, non necessariamente implicante la successione dal lato passivo nel correlativo obbligo" (Cass. Sez. 3 n. 21071-23, la quale, in applicazione del principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli ex soci di una società di persone, cancellata dal registro delle imprese nel corso del giudizio di appello, in mancanza della dimostrazione che il credito originariamente azionato dalla stessa - il quale, essendo ancora sub iudice, non poteva considerarsi liquido ed esigibile - non fosse stato implicitamente rinunciato).
VIII. - In de¿nitiva può osservarsi che, dopo le sentenze delle Sezioni Unite all' inizio citate, si è perpetuato un contrasto in seno alla Corte, vertente in particolare sulla possibilità di con¿gurare la tacita rinuncia ad alcuni dei crediti della società, sub iudice e illiquidi, e non compresi nel bilancio ¿nale di liquidazione, ove questa venga cancellata dal registro delle imprese in pendenza di lite, con conseguente estinzione e impossibilità di trasferimento ai soci anche ai fini dell'art. 110 cod. proc. civ.
Secondo l'orientamento sotteso alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 6070 del 2013, condiviso da altre immediatamente susseguenti anche non massimate, andrebbe constata in casi del genere una presunzione pressoché assoluta di rinuncia, correlata a un intento abdicativo di per sé discendente dalla cancellazione.
Cosa peraltro determinativa di non secondarie criticità: (a) per l' irrazionalità della con¿gurazione che pone a elemento distintivo l' idoneità della posta creditoria a essere iscritta nel bilancio ¿nale, in contrasto col principio contabile generale per cui ogni credito, in verità, ancorché illiquido o incerto, va iscritto (e quindi può essere iscritto) in bilancio al valore presumibile di realizzo (art. 2426 cod. civ.); (b) per l'automatica riconduzione della formalità pubblicitaria (la cancellazione dal registro delle imprese) alla fattispecie della rinuncia, pur in presenza di circostanze logicamente non compatibili, come la coltivazione del giudizio per l'accertamento del credito da parte del liquidatore; (c) per l'oggettiva dif¿colta di sostenere l'assunto sul piano degli effetti pratici, giacché mantenendosi l'automatismo ne deriverebbe una perdita potenziale in pregiudizio degli stessi creditori, in ragione della impossibilità di far conto della posta attiva in esito a una scelta abdicativa a loro estranea.
In ragione di tanto le due decisioni citate, della Prima sezione (Cass. Sez. 1 n. 9464-20) e della Prima sottosezione delle Sesta (Cass. Sez. 6-1 n. 30075-20), hanno ritenuto di poter trovare un punto di equilibrio nell'affermazione di una presunzione inversa, escludente (di fatto) ogni automatismo: la cancellazione della società non determina la automatica rinuncia del credito controverso, perché la remissione del debito presuppone una volontà inequivoca in tal senso, che deve essere speci¿camente allegata e provata.
Di contro, l'arresto della Terza sezione ha posto nuovamente al centro del problema l'automatismo discendente dalla distinzione operata dalle Sezioni Unite del 2013, ridimensionandone il pro¿lo – certo - ma sull'opposto versante della ripartizione dell'onere della prova: la volontà abdicativa si presume ¿ntanto che non sia dimostrato il contrario, vale a dire che il credito, originariamente azionato dalla società e per definizione illiquido, non è stato implicitamente rinunciato.
IX. - In guisa del contrasto di giurisprudenza, e in ogni caso anche in considerazione della particolare importanza della questione sottesa, suscettibile di riproporsi in un numero indeterminato di casi, il collegio reputa di dover rimettere gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.