Svolgimento del processo
A seguito di verifica fiscale relativa all’anno d’imposta 2008, l’Agenzia delle entrate notificò alla E. s.r.l., successivamente dichiarata fallita, l’avviso d’accertamento con cui, contestando l’emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, determinò il maggior imponibile ai fini Ires ed Iva, con conseguente maggiore imposta, ed irrogò sanzioni.
Con l’atto impositivo furono sollevati rilievi relativi sia alla partecipazione della società ad operazioni oggettivamente inesistenti, nel contesto di un sistema di frodi c.d. carosello, finalizzate all’evasione di iva e di imposte dirette, sia alla dichiarazione di variazione negativa tra rimanenze finali e giacenze iniziali di merce, non rispondenti al vero secondo i riscontri della verifica.
Avverso l’atto impositivo la società, nelle more dichiarata fallita, propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, che con sentenza n. 1541/09/2014 ne dichiarò l’inammissibilità perché tardivo.
L’appello proposto dal fallimento dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna fu respinto con sentenza n. 333/08/2016.
Il giudice regionale ha ritenuto che il termine semestrale di “proroga” per la proposizione del ricorso, previsto dall’art. 40, comma 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fosse da intendersi come termine fisso “ineludibile”, che non poteva aggiungersi ad altri termini, in ipotesi ancora pendenti al momento dell’evento ai fini della proponibilità dell’impugnazione dell’atto impositivo, ma semplicemente, secondo una lettura del testo normativo, come spazio temporale massimo, assegnato dal Legislatore, tra il verificarsi di uno degli eventi elencati nel comma 1 della medesima norma, e la possibilità di proporre ricorso.
La società in fallimento ha censurato la decisione con un unico motivo, ulteriormente illustrato da memoria, e ne ha chiesto la cassazione. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
La Procura generale presso la Corte di cassazione ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Nell’adunanza camerale del 17 gennaio 2024 la causa è stata discussa e decisa.
Motivi della decisione
La ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 40, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992. La decisione assunta dalla Commissione regionale sarebbe fondata su una interpretazione errata del comma 4 dell’art. 40 del d.lgs. 546 del 1992, peraltro in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per una disparità di trattamento ai fini della tutela del contribuente avverso atti impositivi impugnabili.
Il motivo è fondato.
Deve intanto riportarsi il testo dell’art. 40 del d.lgs. n. 546 del 1992. In esso si prevede che «1. Il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica: a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall'ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza; b) la morte, la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati a sensi dell'art. 12. 2. L'interruzione si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi di cui al comma 1, lettera b). In ogni altro caso l'interruzione si ha al momento in cui l'evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l'evento si riferisce.
3. Se uno degli eventi di cui al comma 1 si avvera dopo l'ultimo giorno per il deposito di memorie in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica udienza, esso non produce effetto a meno che non sia pronunciata sentenza e il processo prosegua davanti al giudice adito. 4. Se uno degli eventi di cui al comma 1, lettera a), si verifica durante il termine per la proposizione del ricorso il termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell'evento. Si applica anche a questi termini la sospensione prevista dalla legge 7 ottobre 1969, numero 742».
Riassumendo ora le scansioni temporali che qui interessano, risulta che l’avviso d’accertamento fu notificato alla contribuente, ancora in bonis, in data 30 maggio 2011. Il 27 luglio la società presentò istanza di accertamento con adesione, ossia al cinquantottesimo giorno dalla notifica. A partire dall’istanza ebbe pertanto inizio il decorso del termine di novanta giorni, così come prescritto dall’art. 6 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218. In data 21 settembre 2011 il Tribunale di Bologna dichiarò il fallimento della società. Il ricorso avverso l’avviso d’accertamento fu proposto dal curatore del fallimento il 2 maggio 2012.
Secondo l’interpretazione della disciplina, come enunciata dalla Commissione regionale, il ricorso era da ritenere inammissibile perché il termine ultimo per la sua proposizione doveva individuarsi nel 20 marzo 2012.
L’argomentazione addotta dal giudice d’appello si riassume nell’opinione secondo cui il termine semestrale, di cui al citato comma 4 dell’art. 40, decorre improrogabilmente dall’accadimento di uno degli eventi elencati nel comma 1 della medesima norma, dovendosi escludere che il suddetto termine sia da aggiungere a quelli ulteriori, di cui al momento della dichiarazione di fallimento la contribuente già fruisca o di cui possa ancora fruire. Il fondamento di tale argomentazione riposa in una pretesa esegesi letterale del testo normativo, che non consente di affermare una equivalenza della accordata “proroga“ con gli effetti della sospensione o della interruzione dei termini che afferiscono ad ipotesi relative ad eventi verificatisi nel corso del processo, laddove la fattispecie per cui è causa riguarda la diversa ipotesi di evento accaduto nella fase anteriore all’inizio dei processo. Inoltre, poggia sulla considerazione che il termine semestrale avrebbe l’effetto di “sostituire” qualunque altro termine già pendente. La giustificazione di tali conclusioni sono poi individuate nella opinione secondo cui il termine di proroga semestrale indica “il punto di massima coniugazione operato dal legislatore tra diritto di difesa del contribuente, ampliato a sei mesi quand’anche si verifichi contestualmente alla sua decadenza, e certezza delle posizioni di diritto tributario oggetto di accertamento da parte della amministrazione.
Le ragioni non trovano condivisione.
Intanto è proprio la giustificazione, che il giudice d’appello intende porre a fondamento della proposta interpretativa, ad implicare un contrasto logico nella ricerca di un equilibrio tra diritto di difesa ed esigenza di stabilità della posizione fiscale accertata. Atteso infatti che il termine semestrale è riconosciuto dal legislatore a fronte di un evento, il venir meno, per decesso o per altre cause, o per la perdita di capacità di stare in giudizio di una parte -che non sia l’ufficio- o di chi lo rappresenti, in un momento corrente tra la notifica dell’atto impositivo e il promovimento di un giudizio, a tutela avverso quell’atto impositivo, per ciò solo fa comprendere come, proprio da una piana lettura della norma si evince che essa appresti un presidio a tutela di chi subentri nella posizione fiscale e nel conseguente diritto di difesa. Il termine semestrale è dunque individuato come quello indispensabile perché al successore della parte venuta meno sia dato uno spazio temporale per prendere consapevolezza e conoscenza dell’atto impositivo, vagliando l’opportunità e/o l’utilità di difendersi in sede processuale da quell’atto. E poiché l’interpretazione di una norma, posta a presidio del diritto di difesa, possa considerarsi corretta, coerente e capace di trattare e tutelare in egual misura tutte le ipotesi astrattamente cadenti nella medesima fattispecie, è necessario che nessuna di tale ipotesi possa finire per evidenziare un trattamento addirittura peggiorativo di chi subentri nella posizione del soggetto colpito da uno degli eventi previsto dal comma 1, rispetto a quello di cui avrebbe fruito il soggetto originariamente attinto dalla notifica dell’atto impositivo.
Ebbene, l’interpretazione resa dal collegio regionale si espone alla facile constatazione che, nell’ipotesi di evento che colpisca il destinatario dell’atto impositivo il giorno seguente o nei giorni immediatamente seguenti la sua notifica, al suo successore sarebbe concesso un termine per impugnare l’atto appena superiore a quello nella disponibilità del destinatario originario dell’atto impositivo.
A tal fine si pensi all’ipotesi del venir meno del legale rappresentante di una persona giuridica, ed ai conseguenti tempi tecnici per la nuova nomina, ma anche alla più comune ipotesi della identificazione ed organizzazione dei successori della persona fisica o, ancora, come nel caso di specie, i tempi necessari perché il curatore fallimentare abbia modo di acquisire necessaria contezza dei rapporti pendenti del fallito. Non si riuscirebbe ad intendere neppure il perché al successore non debba essere riconosciuta la possibilità di vagliare l’opportunità di una definizione della posizione fiscale mediante accertamento con adesione del rapporto giuridico d’imposta, se non altro anche ai soli fini deflattivi del contenzioso tributario.
Ne discende che già di primo acchito l’interpretazione offerta dal collegio regionale assume i connotati della irragionevolezza e della ingiustificata disparità di trattamento tra i vari destinatari di un provvedimento impositivo.
Vagliando poi la terminologia utilizzata dal legislatore, il ricorso al termine “proroga”, lungi dall’essere altra cosa rispetto al significante “sospensione” o “interruzione”, rivela un linguaggio atecnico, ma che in alcun modo esclude, con riferimento non all’accadimento intervenuto nel corso del processo, ma nello spazio temporale corrente tra il termine iniziale dal quale il destinatario di un atto impositivo può adire la via giudiziaria e il termine ultimo, entro cui sia dato promuovere il contenzioso, gli effetti sospensivi dei termini medesimi.
La valenza processuale di quel significante trova anzi il suo riscontro proprio nell’espressa previsione che ad esso devono aggiungersi i termini di sospensione previsti per il periodo feriale, di cui alla l. 7 ottobre 1969, n. 742.
Ebbene, se il legislatore ha inteso aggiungere la specifica previsione del necessario conteggio dei termini di sospensione feriale, non vi è alcuna ragione per escludere la sommatoria dei termini ordinari per l’impugnazione dell’atto, né quelli, eventuali, di accesso all’istanza di definizione dell’accertamento con adesione.
Anzi, per quanto chiarito, il significante “proroga” è proprio lì a rappresentare, atecnicamente ma plasticamente, che nelle ipotesi del venir meno del soggetto destinatario dell’atto impositivo o del suo legale rappresentante, tutti i termini previsti prima del concreto esercizio del diritto di promovimento del ricorso avverso l’atto impositivo sono prorogati di sei mesi. Conseguentemente, al momento del verificarsi di una delle ipotesi previste nel comma 1 dell’art. 40 del d.lgs. n. 546 del 1992, il successivo comma 4 impone che qualunque termine, tra quelli ordinariamente o ancora eventualmente computabili in rapporto al momento concreto in cui l’evento si manifesta, sono prorogati di sei mesi. Sono proprio quei termini cioè, per chi subentra nella posizione giuridica soggettiva, ad essere congelati in funzione delle scelte ancora operabili prima del promovimento del giudizio.
Deve dunque affermarsi il principio di diritto secondo cui «Ai fini della tempestività del ricorso avverso un atto impositivo, nell’ipotesi del verificarsi di uno degli eventi interruttivi previsti dall’art. 40, comma 1, lett. a), del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, la cui disciplina è estesa dal comma 4 del medesimo articolo anche al computo del termine di proposizione del ricorso introduttivo della controversia, deve tenersi conto che la proroga di sei mesi decorre dall’evento e, se pendenti ulteriori termini che, a prescindere dall’evento interruttivo, già consentivano di promuovere la controversia oltre l’ordinario termine di legge, questi riprenderanno a decorrere dal consumarsi del termine semestrale».
Nel caso di specie, al momento della dichiarazione di fallimento, era ancora decorrente il termine di novanta giorni per la definizione con adesione dell’accertamento, termine a cui risultava applicabile la sospensione feriale, ancorché non ancora intervenuta l’espressa previsione normativa (introdotta dall'art. 7 quater, comma 18, del d.l n. 193 del 2016, convertito con modificazioni dalla legge n. 225 del 2016, secondo cui "I termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale", e considerata norma interpretativa, valevole dunque anche per il passato, come affermato da Cass., 27 dicembre 2019, n. 34490; 21 febbraio 2019, n. 5039). Decorsa dunque la proroga semestrale, il 20 marzo 2012, ha ripreso a decorrere il termine per optare per la definizione in via amministrativa con adesione. Tale termine, come calcolato esattamente anche dalla Procura Generale, avrebbe maturato il suo decorso il 13 giugno 2012. Ne consegue che il ricorso proposto dal curatore fallimentare della società E. il 2 maggio 2012 era da considerarsi tempestivo.
La sentenza, dichiarando invece l’inammissibilità del ricorso per inutile decorso del termine per l’impugnazione dell’avviso d’accertamento, non si è attenuta al principio di diritto enunciato.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza va cassata.
Alla cassazione della sentenza segue il rinvio della causa alla Corte di giustizia di II grado dell’Emilia-Romagna, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, procederà ad esaminare le ragioni dell’appello.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Emilia-Romagna, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma, il giorno 17 gennaio 2024.