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4 luglio 2024
PMA: il Tribunale di Siena ritiene valida la revoca del consenso da parte dell’uomo
Rigettato il ricorso d'urgenza proposto ex art. 700 c.p.c. da una donna che si era rivolta al Tribunale di Siena affinché ordinasse alla clinica presso cui erano crioconservati due embrioni formati attraverso la PMA, di provvedere al trasferimento nel proprio utero.
di La Redazione
La coppia, sposata, nel 2016 si rivolgeva ad una clinica specializzata in PMA e iniziava il percorso finalizzato a divenire genitori. Gli embrioni si formavano ma il trasferimento non avveniva immediatamente.
Gli embrioni, così, venivano crioconservati – possibilità prevista grazie all’intervento della Corte costituzionale nel 2009 – per ben 8 anni.
In questo lasso di tempo, nel frattempo, la coppia veniva meno: prima la separazione e poi il divorzio. Durante questo periodo, tra l’altro, le parti cercavano di donare a terzi gli embrioni ponendo in essere dei comportamenti concludenti contrari alla volontà di divenire genitori.

attenzione

A ridosso della pubblicazione della sentenza di divorzio, però, la situazione cambia notevolmente: la donna a fine del 2023 formalmente chiede alla clinica di procedere al trasferimento dei gameti nel proprio utero; l'uomo si oppone fermamente diffidando la clinica a procedere, revocando il consenso prestato ben 8 anni prima in costanza di matrimonio.

La donna, così, ormai ultraquarantenne, si rivolge al Tribunale attraverso un ricorso cautelare urgente rilevando che sussisterebbe l'urgenza di procedere all'impianto sulla base della propria età posto che nel tempo necessario per lo svolgimento di un giudizio ordinario si vedrebbe diminuita la possibilità di successo del transfer medesimo e, quindi, di diventare madre.

giurisprudenza

Secondo il Tribunale, però, non sussiste alcun periculum: l'età matura della donna e le conseguenti minori chances dell'impianto costituiscono una scelta della donna, che ha avanzato la richiesta di trasferimento embrionale in utero dopo ben otto anni dalla fecondazione. Avrebbe avuto tutto il tempo per far riconoscere il proprio diritto attraverso un giudizio ordinario.

Ma attenzione, secondo il Tribunale non vi è nemmeno l'altro presupposto richiesto dall'art. 700 c.p.c.: il fumus, la verosimile esistenza del diritto soggettivo che il ricorrente intende far valere.

Sul consenso, la Corte costituzionale si era espressa proprio un anno fa con la sentenza n. 161/2023: il consenso prestato dall'uomo al momento dell'inizio delle pratiche di PMA è irrevocabile una volta fecondato l'embrione. Secondo la Corte è ragionevole il bilanciamento tra gli interessi contrapposti: prevale la tutela della salute psicofisica della donna e la sua libertà di autodeterminazione a diventare madre rispetto alla libertà di autodeterminazione dell'uomo a non divenire padre.
Secondo la Consulta, precisa il Tribunale di Siena, affinché il consenso prestato dall'uomo sia irrevocabile occorre che l'originaria volontà dello stesso alla procedura di PMA sia stata manifesta per iscritto e si concretizzi in un atto finalisticamente orientato a fondare lo stato di figlio. Il consenso, qui, esprime una fondamentale assunzione di responsabilità che riveste un ruolo centrale per l'acquisizione dello status filiationis.

Nel caso di specie, invece, il contratto – consenso sottoscritto dall'uomo - prevedeva sia una durata (annuale)dell'impegno sottoscritto e anche la facoltà di abbandonare il materiale crioconservato con una dichiarazione della propria volontà, non contenendo nemmeno informazioni sulle conseguenze del vincolo derivante dal consenso espresso con riferimento alla possibilità che tra fecondazione e impianto si verifichi un lasso temporale significativo come 8 anni.

E adesso? Cosa farà la donna dinnanzi a questa ordinanza di rigetto?
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