Gli embrioni, così, venivano crioconservati – possibilità prevista grazie all’intervento della Corte costituzionale nel 2009 – per ben 8 anni.
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A ridosso della pubblicazione della sentenza di divorzio, però, la situazione cambia notevolmente: la donna a fine del 2023 formalmente chiede alla clinica di procedere al trasferimento dei gameti nel proprio utero; l'uomo si oppone fermamente diffidando la clinica a procedere, revocando il consenso prestato ben 8 anni prima in costanza di matrimonio. |
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Secondo il Tribunale, però, non sussiste alcun periculum: l'età matura della donna e le conseguenti minori chances dell'impianto costituiscono una scelta della donna, che ha avanzato la richiesta di trasferimento embrionale in utero dopo ben otto anni dalla fecondazione. Avrebbe avuto tutto il tempo per far riconoscere il proprio diritto attraverso un giudizio ordinario.
Ma attenzione, secondo il Tribunale non vi è nemmeno l'altro presupposto richiesto dall' |
Nel caso di specie, invece, il contratto – consenso sottoscritto dall'uomo - prevedeva sia una durata (annuale)dell'impegno sottoscritto e anche la facoltà di abbandonare il materiale crioconservato con una dichiarazione della propria volontà, non contenendo nemmeno informazioni sulle conseguenze del vincolo derivante dal consenso espresso con riferimento alla possibilità che tra fecondazione e impianto si verifichi un lasso temporale significativo come 8 anni.
E adesso? Cosa farà la donna dinnanzi a questa ordinanza di rigetto?
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art.700 c.p.c. (omissis) ha richiesto che venisse ordinato, con decreto inaudita altera parte, alla clinica (omissis), con sede in (omissis), in persona del legale rappresentante pro- tempore, di procedere all'impianto mediante PMA in favore della ricorrente degli embrioni prodotti dalla fecondazione degli ovociti della ricorrente medesima e del resistente (omissis), quali genitori, in data 25/4/2016 e presso la stessa clinica custoditi.
La Giudice designata, ritenuto opportuno instaurare il contraddittorio prima di ogni provvedimento, ha fissato l'udienza del 29/05/2024 per la comparizione delle parti.
Ritualmente costituitasi in data 24/05/2024, la società resistente, (omissis) ha chiesto il rigetto del ricorso, deducendo l'inammissibilità dell'ordine richiesto nei confronti della comparente Clinica; in subordine, la società resistente ha richiesto l'autorizzazione al transfer degli ovuli fecondati crioconservati dalla stessa ovvero, in ulteriore subordine, di negare tale autorizzazione, in ogni caso con esonero da ogni responsabilità della struttura sanitaria.
Con memoria difensiva depositata il 24/05/2024 si è costituito in giudizio anche (omissis) chiedendo il rigetto del ricorso e deducendone l'inammissibilità in ragione dell'assenza dei relativi presupposti di legge. In subordine, il resistente ha chiesto di sospendere il presente procedimento, rimettendo con ordinanza la questione alla Corte costituzionale, stante l'illegittimità costituzionale della legislazione stessa.
Sentite le parti comparse all'udienza del 29/05/2024, questa giudice ha riservato la decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
Occorre, in primo luogo, rammentare che il procedimento ex art. 700 c.p.c. consente la tutela di diritti soggettivi mediante l'emissione dei provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Tali provvedimenti possiedono natura di misura cautelare, in quanto si caratterizzano per la sommarietà del procedimento e del provvedimento conclusivo, nonché per la provvisorietà dei loro effetti.
Si osserva, altresì, che il provvedimento cautelare previsto dall'art. 700 c.p.c. presuppone un apprezzamento sia della fondatezza della pretesa dell'istante in termini quanto meno probabilistici, sia della esistenza di una minaccia di pregiudizio imminente e irreparabile, tale che in caso di mancata adozione della cautela il diritto fatto valere nel processo subirebbe una lesione irreversibile.
Invero, i presupposti dell'azione che l'art.700 c.p.c. individua ai fini dell’accoglimento della domanda attengono, da un lato, al fondato pericolo che, durante il tempo occorrente per far valere il diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, e, dall'altro, alla sussistenza di una situazione giuridica soggettiva sostanziale meritevole di tutela; non, quindi, un interesse di mero fatto o una semplice aspettativa, ma un diritto soggettivo avente natura fattuale.
La concessione del provvedimento urgente richiede dunque che, a seguito di una valutazione preliminare e sommaria da parte del giudice, si ravvisi l'esistenza di entrambi i presupposti innanzi richiamati; viceversa, il provvedimento deve essere negato qualora già ad un primo esame appaia non ravvisabile uno di essi e dunque non appaia applicabile il rito in oggetto.
Ciò premesso, occorre ricostruire la vicenda fattuale oggetto del presente giudizio. Nel febbraio 2016 la ricorrente (omissis), unitamente all'allora coniuge (omissis), si è sottoposta alla procedura di procreazione medicalmente assistita presso la clinica (omissis) al fine di tentare di risolvere i problemi di infertilità della coppia.
A seguito di tale procedura, in data 25 aprile 2016 sono stati fecondati due embrioni in vitro, sottoposti a processo di crioconservazione in attesa dell'impianto in utero.
Il successivo impianto non si è però mai concretizzato in quanto, secondo quando emerge dalle allegazioni di entrambi i coniugi e dai documenti in atti, la coppia si è trovata, di lì a poco, ad affrontare una crisi coniugale risultata irreparabile alla quale sono conseguiti la separazione personale con rito consensuale, omologata dal Tribunale di Siena in data 31/01/2018, e il successivo divorzio pronunciato dal medesimo Tribunale con sentenza n. XX a seguito di giudizio contenzioso.
Nel frattempo, i due embrioni sono stati conservati, mediante tecnica di crioconservazione, presso la sede della clinica (omissis), previo versamento, non regolare, di un canone annuale di euro 600,00 ed entrambi i coniugi si sono adoperati nella ricerca di possibili cliniche anche all'estero disposte ad accogliere la donazione degli embrioni, rifiutando per ragioni etiche l'utilizzo degli stessi a fini di ricerca.
La prima richiesta di impianto degli embrioni fecondati da parte della ricorrente è pervenuta alla clinica resistente soltanto con comunicazione pec in data 14/11/2023, a fronte della quale il resistente (omissis) ha formalizzato alla struttura sanitaria il proprio rifiuto con apposita diffida.
Così brevemente ricostruita la delicata vicenda in esame, deve ritenersi che non sussista il requisito del periculum in mora necessario al fine dell'emissione di provvedimento d'urgenza.
Al fine di potersi dire integrato il predetto presupposto occorre infatti che sussista un pregiudizio imminente, ossia che un danno possa rischiare di verificarsi durante il periodo di tempo occorrente per ottenere tutela in via ordinaria del diritto che si assume violato, e che il pregiudizio sia irreparabile e dunque non possa dirsi integralmente rimediabile in equivalente pecuniario o in forma specifica.
Sul punto, la ricorrente ha dedotto che sussisterebbe l'urgenza di procedere all'impianto sulla base dell'età della stessa, rappresentando che, nel tempo necessario per lo svolgimento di un giudizio ordinario, si vedrebbe sostanzialmente diminuita la possibilità di successo del transfer medesimo, e di conseguenza la possibilità di divenire madre.
La richiedente ha inoltre esposto di aver formulato alla fine dell'anno 2023 richiesta di impianto e di aver conseguentemente adito questo Tribunale, avendo recentemente completato un proprio percorso psicologico all'esito del quale si è ritenuta "pronta alla genitorialità", nonché dopo aver appreso di una pronuncia di merito favorevole all'impianto nonostante la revoca del consenso maschile.
Ritiene il Tribunale che dalle circostante dedotte dalla ricorrente non possa ricavarsi la sussistenza di periculum atteso che l'età matura della ricorrente e le conseguenti minori chances dell'impianto appaiono riconducibili ad una scelta della stessa, la quale ha avanzato la prima richiesta di trasferimento embrionale in utero a distanza di otto anni dalla fecondazione degli embrioni mediante PMA, ritenendosi soltanto oggi, a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con il resistente (omissis) e venuto meno il connesso progetto familiare, disposta ad affrontare in concreto l'esperienza di genitorialità.
Osserva l'odierna giudicante che, in tale lungo lasso temporale, la ricorrente ben avrebbe potuto esperire utilmente un ordinario giudizio di merito al fine di veder tutelato il proprio diritto. Di converso, entrambi i coniugi, nel corso degli anni intercorsi fra la fecondazione e la richiesta di trasferimento in utero degli embrioni, hanno posto in essere comportamenti di segno contrario rispetto alla volontà di procedere all'impianto, ricercando soluzioni alternative, quali la donazione a terzi degli embrioni crioconservati.
Non si ravvisano pertanto ragioni di urgenza apprezzabili sul piano oggettivo tali da giustificare il ricorso al presente procedimento.
La carenza di periculum in mora è di per sé sufficiente a non consentire superato il vaglio di ammissibilità del ricorso in esame.
Nondimeno, si rileva che, in punto di fumus boni iuris, da intendersi quale verosimile esistenza del diritto soggettivo che il ricorrente intende far valere, alla luce di una valutazione preliminare e sommaria che ha funzione di anticipare il successivo ed eventuale giudizio di merito, il presupposto indifettibile affinché il consenso maschile all'impianto degli embrioni fecondati a seguito di PMA sia irrevocabile è la sua valida ed informata espressione, quale condizione necessaria per garantire una tutela ragionevole della libertà di autodeterminazione rispetto alla genitorialità anche dell'uomo.
Tali considerazioni non appaiono sconfessate ed anzi trovano conferma anche nei principi dettati dalla recente giurisprudenza della Corte Costituzionale (v. Corte costituzionale, sentenza n. 161/2023 del 24/07/2023), cui ha fatto seguito l'emanazione di nuove Linee Guida da parte del Ministero della Salute in materia di procreazione medicalmente assistita con Decreto del 20/03/2024.
Il Tribunale adito è consapevole che, con riferimento alla possibilità per la "madre" di procedere all'impianto dell'embrione o degli embrioni anche in una situazione in cui, per il decorso del tempo, sia venuto meno l'originario progetto di coppia e sia mutata la volontà dell'uomo di divenire padre, la Corte costituzionale ha ritenuto ragionevole il bilanciamento fra confliggenti interessi - quali la tutela della salute psicofisica della donna e la sua libertà di autodeterminazione a diventare madre, la libertà di autodeterminazione dell'uomo a non divenire padre; la dignità dell'embrione e i diritti del nato a seguito della PMA - operato dal Legislatore con la previsione di irrevocabilità del consenso maschile dopo la fecondazione dell'embrione, dettata dall'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 6 della legge n. 40 del 2004.
Preme però evidenziare che, come chiarito dalla Consulta nella pronuncia innanzi citata, affinché il consenso prestato dall'uomo sia irrevocabile occorre che l'originaria volontà dello stesso alla procedura di PMA e, nella specie, alla fecondazione dell'ovulo sia stata "manifestata «per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400» (comma 3, primo periodo). In base all'art. 1, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia e del Ministro della salute 28 dicembre 2016, n. 265 (Regolamento recante norme in materia di manifestazione della volontà di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in attuazione dell'articolo 6, comma 3, della legge 19febbraio 2004, n. 40), tra gli «elementi minimi di conoscenza necessari alla formazione del consenso informato» viene espressamente indicata la «possibilità di crioconservazione degli embrioni in conformità a quanto disposto dall'articolo 14 della legge n. 40 del 2004 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 2009» (lettera t) - oltre che, ovviamente, la possibilità di revocare il consenso solo «fino al momento della fecondazione» (lettera q). Le informazioni che il medico è tenuto a fornire devono pertanto necessariamente investire tutte le conseguenze del vincolo derivante dal consenso espresso, quindi sia la possibilità che si verifichi uno iato temporale (anche significativo) tra fecondazione e impianto, sia l'eventualità che questo avvenga quando, nelle more, sono venute meno le iniziali condizioni di accesso alla PMA".
In proposito, la Corte Costituzionale ha altresì precisato che "il consenso prestato ai sensi dell'art. 6 della legge n. 40 del 2004 ha una portata diversa e ulteriore rispetto a quello ascrivibile alla mera nozione di "consenso informato" al trattamento medico, in quanto si è in presenza di un atto finalisticamente orientato a fondare lo stato di figlio. In questa prospettiva il consenso, manifestando l'intenzione di avere un figlio, esprime una fondamentale assunzione di responsabilità, che riveste un ruolo centrale ai fini dell'acquisizione dello status filiationis".
Nel caso di specie, tali presupposti non sembrano sussistere.
Giova, infatti, richiamare il contenuto del consenso informato di cui all'art. 6 della legge del 19/02/2004 n. 40 sottoscritto dalla ricorrente e dal resistente (omissis) in data 22 aprile 2016 (v. cartella clinica allegata al ricorso, p. 11 e ss.), evidenziando che il modulo prodotto in atti prevede al punto n. 4) la durata annuale dell'impegno sottoscritto e al punto n. 8) la facoltà di abbandonare il materiale crioconservato dando comunicazione, anche telefonica, della propria volontà entro i 15 giorni precedenti alla scadenza naturale del contratto, e che lo stesso non sembra, invece, contenere informazioni adeguate sulle conseguenze del vincolo derivante dal consenso espresso, con particolare riguardo alla possibilità che tra fecondazione e impianto si verifichi un significativo iato temporale, come poi concretamente avvenuto nel caso in esame.
Anche il requisito del fumus boni iuris non può dirsi dunque integrato. Il ricorso va pertanto respinto.
La complessità e la novità della questione trattata, oggetto di recente intervento da parte della Corte costituzionale, e la varietà di indirizzi interpretativi di merito rispetto alle questioni dirimenti, giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
ogni altra domanda ed eccezione disattesa,
rigetta il ricorso;
dispone l'integrale compensazione delle spese di lite;
dispone infine che in caso di diffusione del presente provvedimento fuori dall'ambito strettamente processuale siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone in esso menzionate ai sensi dell'art. 52 D. Lgs n. 196/2003.