L'amministrazione pubblica è tenuta alla manutenzione del bene in sua custodia e a segnalare qualunque rischio, non potendosi giustificare con la distrazione dell'utente.
F.V. riportava lesioni durante una passeggiata con il marito e gli amici a causa di una caduta in un tombino coperto da foglie e rami. Conveniva quindi in giudizio l'ente pubblico territoriale al fine di ottenere il risarcimento dei danni. Condannato alla rifusione, il Comune proponeva appello che veniva rigettato dalla Corte territoriale, e ricorreva cosi in...
Svolgimento del processo
i fatti ancora significanti in questa sede sono i seguenti: F.V. mentre passeggiava con il coniuge e alcuni amici in agro del Comune di Fabrizia, su di una strada interpoderale, in giornata estiva (1/06/2003) e in ore tardo pomeridiane (all’incirca verso le diciannove), cadde, in località «Angiletta» con una gamba in un tombino, coperto da foglie e rami, sito ai margini della strada, sulla banchina, dove ella si era dovuta spostare a causa del sopraggiungere di un’autovettura, riportando lesioni;
F.V. convenne, quindi, in giudizio il Comune di Fabrizia al fine di ottenere il risarcimento dei danni, che, nel contraddittorio con l’ente pubblico territoriale, le furono liquidati dal Tribunale di Vibo Valentia, con sentenza n. 831 del 13/11/2017, in oltre trentanovemila mila euro (€ 39.153,00);
il Comune di Fabrizia ha proposto appello e la Corte territoriale di Catanzaro, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha rigettato l’impugnazione, con sentenza n. 943 del 29/06/2021;
avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso per
cassazione, affidato a due motivi, il Comune di Fabrizia; risponde con controricorso F.V.;
il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni; entrambe le parti hanno depositato memorie per l’adunanza camerale del 15/04/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione
il Comune di Fabrizia propone i seguenti motivi di ricorso: primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di fatto decisivo;
secondo l’ente pubblico ricorrente la presuzione di responsabilità di cui alla detta norma non è applicabile nei confronti della Pubblica Amministrazione cosicché la circostanza che sia esigibile in concreto la custodia del bene è a carico del danneggiato e, nella specie, risultava indimostrato che la strada sulla quale si era verificata la caduta rientrasse nell’ambito del territorio del Comune di Fabrizia e fosse, comunque comunale e (o) aperta al pubblico uso;
secondo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., l’ente pubblico territoriale pone censure incentrate sull’inadeguata attenzione prestata dallaF.V. durante la passeggiata e dunque sull’abnormità della sua condotta;
il primo motivo è perplesso, oltre che del tutto aspecifico;
esso, a tacere d’altro, cade nella preclusione da cd. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 4, cod. proc. civ., (nella formulazione di cui al d.lgs. n. 149 del 10/10/2022 la previsione è stata riprodotta nell’art. 360, comma 4, cod. proc. civ.), in quanto le circostanze di fatto, circa il carattere comunale e comunque di uso pubblico della strada sulla cui banchina si verificò l’evento, consistente nella caduta dellaF.V., sono state accertate e, con riferimento all’essere la strada interpoderale aperta all’uso pubblico, ammesse dallo stesso ente pubblico territoriale, a mezzo dei propri organi tecnici;
il primo motivo non si confronta, inoltre, con l’affermazione della sentenza d’appello, che ricalca quella di primo grado, secondo la quale la detta strada era (ed è) pacificamente comunale, e come tale è stata attestata anche dall’area tecnica manutentiva del Comune di Fabrizia;
a tanto consegue che l’ente pubblico era tenuto alla custodia del bene e, quindi, a far sì che il tombino posto sulla banchina non rimanesse scoperchiato e fosse segnalata la circostanza che era
privo di copertura, rispondendo dei danni, ai sensi dell’art. 2051 nel
caso di prova di omessa custodia, come affermato dai giudici di
merito;
il secondo motivo è inammissibile, poiché di carattere fattuale e non avente una adeguata prospettazione di critica argomentata, in quanto contesta la valutazione delle prove compiuta dai giudici di merito, affermando puramente e semplicemente che i due testimoni escussi erano inattendibili e richiede, comunque, una rivalutazione complessiva delle circostanze di fatto, adeguatamente vagliate dai giudici di merito;
deve peraltro, ribadirsi l’irrilevanza della disattenzione del pedone su strada pubblica, salva l’ipotesi della sua condotta abnorme, in adesione all’orientamento di questa Corte (Cass. n. 15761 del 29/07/2016, Rv. 641162), che è condiviso dal Collegio, secondo il quale «l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze, indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della P.A.; su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227
c.c. (nella specie, la S.C. cassava la sentenza impugnata, escludendo che lo stato di una strada comunale - risultata "molto sconnessa" e contraddistinta dalla presenza di "buche e rappezzi" - costituisse esimente della responsabilità dell'ente per i danni subiti da un pedone, caduto a causa di una delle buche presenti sul manto stradale, atteso che il comportamento disattento dell'utente non è astrattamente ascrivibile al novero dell'imprevedibile)», salva
l’ipotesi che il danneggiato fosse pienamente dell’esistenza dell’insidia (nella specie, una buca sul manto stradale: Cass. n. 23919 del 22/10/2013 Rv. 629108 - 01);
il ricorso è, nel riscontro di ipotesi di inammissibilità e di infondatezza dei motivi, infondato e deve, pertanto, essere rigettato;
le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente nei confronti della controricorrente e, valutata l’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo e vanno distratte in favore dei difensori che hanno reso la dichiarazione di cui all’art. 93 cod. proc. civ.;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, stante il rigetto dell’impugnazione, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (in forza del comma 1 bis dello stesso art. 13), se dovuto;
il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui alsecondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, con distrazione in favore degli avvocati Francesco Mamone e Rocco Maria Giovanni Alessi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 se dovuto.