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31 luglio 2024
Danno differenziale: ai fini del risarcimento le conseguenze dell'errore medico devono incidere causalmente sulla condizione finale
Con ordinanza n. 21261/2024 la Suprema Corte decide sul caso di un paziente che, colto da infarto, batte la testa cadendo. La mancanza di accertamenti delle successive lesioni hanno comportato un aggravamento delle sue condizioni di salute che, secondo la vittima, avrebbero influito sui postumi permanenti.
di La Redazione
È possibile far valere il diritto al risarcimento del danno biologico differenziale solo se i postumi inevitabili dovuti alla patologia pregressa aggravano la situazione del soggetto leso da un errore medico. Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 2126/2024, con cui ha deciso sul caso di un paziente che, colto da infarto, batteva la testa cadeva a terra, con conseguente trauma cranico. In ospedale, pur in presenza di lesioni evidenti, non veniva effettuato alcun accertamento per escludere la sussistenza di patologie incompatibili con le terapie anticoagulati e antiaggreganti utilizzate per i casi di infarto. Il soggetto subiva così postumi permanenti sia legati alla patologia cardiaca che quelli derivanti dall'emorragia cerebrale e riconducibili al ritardo nella sospensione del trattamento antiaggregante. Per quanto riguarda la quantificazione del danno veniva calcolato l'ammontare del risarcimento in misura pari alla differenza tra i corrispettivi della invalidità permanente complessiva e dei postumi che sarebbero comunque residuati, oltre alla inabilità temporanea. 
L'azienda sanitaria ricorreva in Cassazione che rilevava che «ai fini di una corretta liquidazione del danno risarcibile occorre accertare se la condizione preesistente (o anche contemporaneamente determinatasi, ma per causa indipendente) del soggetto leso abbia o meno una incidenza causale sulla sua condizione finale, se cioè essa possa ritenersi concorrente, e non meramente coesistente». Sarebbe quindi stato necessario procedere a verificare, ai fini di una corretta liquidazione del danno, con accertamento in concreto ed ex post, se le lesioni cardiache derivanti dall'infarto concorressero o meno ad aggravare la situazione del paziente nelle sue conseguenze permanenti derivanti dall'ischemia cerebrale. Se si fosse trattato di lesioni semplicemente concorrenti, prive di incidenza causale sulla condizione finale del controricorrente, l'appello avrebbe dovuto essere rigettato. 
Nell'accertare il nesso di causalità giuridica, ciò che rileva è il giudizio controfattuale, e dunque quali sarebbero state le conseguenze dell'illecito, in assenza della patologia preesistente. «Se tali conseguenze possono teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell'infortunio, dovrà concludersi che non vi è nesso di causa tra preesistenza e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse una persona sana». Sul piano medico-legale il grado di invalidità permanente sofferto dalla vittima va determinato senza aprioristiche riduzioni, ma apprezzando l'effettiva incidenza dei postumi sulle capacità, idoneità e abilità da questi possedute. Nel caso di specie, il necessario giudizio controfattuale manca del tutto. La Suprema Corte accoglie quindi il ricorso e cassa la sentenza.
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