
Svolgimento del processo
1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da ATAC avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale, in accoglimento dell'opposizione proposta da (omissis) (dipendente con qualifica di operatore di esercizio), è stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato al medesimo in data 8.8.2018, ordinata la reintegra nel posto di lavoro, condannata la società al pagamento di indennità risarcitoria pari agli importi dovuti dal giorno della sospensione dalla paga e dal servizio sino all'effettiva reintegra;
2. la Corte di merito. in particolare, ha osservato che:
- la condotta addebitata al lavoratore consisteva nell'aver violato i principi fondamentali inerenti al rapporto di lavoro, per aver presentato certificazioni mediche false a giustificazione di giornate di assenza a causa della malattia del figlio (vicenda coinvolgente altri lavoratori e uno studio medico, dalla quale è originato un procedimento penale);
- al lavoratore non veniva imputato di aver falsificato o contribuito a falsificare i certificati in questione;
- la prova della consapevolezza da parte del lavoratore della non autenticità della documentazione al fine di farne uso traendone un indebito vantaggio, così da compromettere il vincolo fiduciario, non era emersa in giudizio e non poteva essere oggetto di presunzione per il solo fatto che il lavoratore avesse utilizzato i certificati;
- il comportamento del dipendente risultava quindi privo del carattere di illiceità sotto il profilo soggettivo, per mancanza di coscienza e volontà riguardo all’antigiuridicità della propria condotta;
3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre la società con tre motivi; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Motivi della decisione
1. con il primo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) erronea attribuzione dell'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata; afferma che l’onere di accertamento della genuinità dei certificati non poteva che competere al lavoratore;
2. il motivo non è fondato;
3. non è integrata violazione dell’art. 2697 c.c., deducibile per cassazione, ai sensi dell'art. 360, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni;
4. in materia opera la regola generale di cui all'art. 5, legge n. 604/1966, che pone a carico del datore di lavoro l'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento;
5. in tale ambito, la Corte d’Appello ha compiuto una valutazione complessiva delle prove proposte dalle parti, ed ha ritenuto non provata la sussistenza dell’elemento soggettivo del fatto illecito contestato, pur materialmente accertato (ossia la consapevolezza della falsità dei certificati medici utilizzati, posto che il fatto materiale della falsificazione non era addebitato al lavoratore);
6. non si registra, quindi, inversione della prova nei termini prospettati da parte ricorrente, ma un’operazione di valutazione delle prove raccolte, in esito alla quale non è stata, nel merito, inferita la consapevolezza dell'uso di certificato falso in capo al lavoratore; si tratta di operazione di valutazione del materiale probatorio squisitamente di merito, spettante al relativo doppio grado, e non rivedibile in sede di legittimità, che non è il terzo grado di merito;
7. con il secondo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, per non avere la Corte territoriale dato rilevanza al fatto che due dei certificati in contestazione risultavano essere perfettamente sovrapponibili e pertanto essere uno la riproduzione dell'altro;
8. il motivo è inammissibile;
9. la Corte d'Appello ha confermato le statuizioni della sentenza di primo grado (a seguito di rituale opposizione all’ordinanza resa in esito alla fase sommaria), e si realizza perciò ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l'ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggettto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);
10. con il terzo motivo, la società ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell'art. 18, commi 4 e 5, legge n. 300/1970, per non essere stata applicata l’indennità risarcitoria nei minimi di legge in luogo della reintegra;
11. il motivo è infondato;
12. è stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92 del 2012, comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente, ma privo del carattere di illiceità (anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo); ed è stato precisato che la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, st. lav. novellato, applicabile ove sia ravvisata l'"insussistenza del fatto contestato", comprende l'ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (cfr. Cass. n.3655/2019, n. 3076/ 2020, nonché, sulla medesima vicenda, Cass. n. 4316/2023);
13. parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, secondo la regola della soccombenza;
14. al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte controricorrente a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.