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9 settembre 2024
Il caso processuale: la rinuncia agli atti è diversa dalla rinuncia all’azione
Qual è la differenza tra la rinuncia agli atti e la rinuncia all'azione?
di La Redazione
L’oggetto del processo: pagamento di somme

ilcaso

Parte attrice, cessionaria della società convenuta di alcuni crediti, invocava la condanna al pagamento della somma e interessi moratori ai sensi dell'art. 1283 c.c. Dichiarata la contumacia del ed assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., in assenza di istanze di prova costituenda, all'udienza, sulle conclusioni rassegnate dall'attrice, la causa era stata trattenuta a sentenza, con termini per comparse conclusionali e di replica; con nota depositata successivamente, veniva rappresentato l'intervenuta transazione, nelle more, della lite, veniva formulata istanza di «estinzione del giudizio contendere con ogni conseguenza di legge».

La normativa risolutiva

legislazione

Secondo la Legge (art. 306 c.p.c.), il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. L'accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni. Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti. Il giudice, se la rinuncia e l'accettazione sono regolari, dichiara l'estinzione del processo. Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

La procedura

esempio

Con la rinuncia agli atti, l'attore mantiene la facoltà di agire nuovamente in un successivo giudizio per la tutela dello stesso diritto, anche se, ovviamente, gli atti del processo estinto perdono ogni efficacia. La rinuncia all'azione, invece, integra un vero e proprio atto di disposizione del diritto azionato ed equivale, nella sostanza, ad un rigetto nel merito delle pretese attoree. Pertanto, tale rinuncia comporta la preclusione a far valere in un successivo giudizio le medesime ragioni con una nuova domanda. La rinuncia all'azione, comportando la cessazione della materia del contendere, porta alla pronuncia di una sentenza che attesta il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del processo. Invece, l'estinzione del processo conseguente a rinuncia agli atti va dichiarata con sentenza dell'organo collegiale o con ordinanza del giudice istruttore. Anche davanti al giudice monocratico il provvedimento dovrebbe avere, di regola, forma di sentenza, ma pur quando reso in forma di ordinanza esso conserva il suo carattere decisorio e risulta, pertanto, appellabile (Trib. Torino 12 febbraio 2016, Trib. Bari 24 aprile 2008 e Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2009, n. 15631). La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato "ad hoc", senza che sia a tal fine sufficiente quello "ad litem", in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate (Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4837).

La soluzione del giudice

ildiritto

Secondo il Tribunale, nella vicenda in commento, non poteva accedersi alla richiesta estinzione del giudizio, che, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., richiede espressa dichiarazione, della parte o del suo procuratore speciale, «di rinuncia agli atti, che, peraltro, è cosa ben diversa dalla rinuncia all'azione», atteso che la prima, a differenza della seconda, consente la riproposizione della domanda. Pertanto, in assenza di quella esplicita dichiarazione, e sebbene, trattandosi di giudizio contumaciale, non siano necessarie le formalità (notifica ed accettazione) previste nel citato art. 306 c.p.c., il Tribunale non può quindi che prendere atto della dedotta intervenuta transazione della lite, evenienza che comporta il venir meno dell'interesse ad agire, condizione dell'azione scrutinabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, e che determina conseguente e necessaria declaratoria di cessazione della materia del contendere. Del resto, rimane indicativo, in tal senso, il lapsus calami contenuto nella stessa istanza di parte attrice, laddove, come visto, si invoca declaratoria di “estinzione del giudizio contendere”, dopo aver premesso l'intervenuta transazione della lite.

In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, il giudice dichiara cessata la materia del contendere ed irripetibili le spese e competenze di lite.

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