I valori previsti dal D.M. n. 55/2014 mirano a garantire, attraverso una limitata flessibilità dei parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.
La società contribuente proponeva appello avverso la sentenza della CTP, lamentando una liquidazione delle spese processuali al di sotto dei minimi tariffari. Il Giudice di secondo grado rigettava il gravame, conseguendone il ricorso per cassazione.
In sede di legittimità, la società censura la sentenza...
Svolgimento del processo
1.Emerge dalla sentenza impugnata, e dagli atti di parte, quanto segue.
La società contribuente propose appello avverso la sentenza della C.T.P. di Reggio Calabria con la quale, per quel che rileva in questa sede, vennero liquidate le spese processuali per un importo pari ad euro 2.850,00. Secondo la società il giudice nel liquidare le spese era sceso al di sotto dei minimi tariffari. Il giudice di seconde cure respinse il ricorso, analizzando le voci liquidate e ritenendo congrua la liquidazione effettuata dal giudice di prime cure. Impugna la decisione la società contribuente, resiste con controricorso l’ADER. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per non aver il giudice di merito condannato l’agenzia alla rifusione delle spese secondo le tariffe ministeriali in base al valore della causa, pari ad euro 1.899.954,36.
Al riguardo l’ADER controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in punto di specificità non essendo stato indicato correttamente il valore della causa. Il ricorrente infatti ha rappresentato che il valore del giudizio dichiarato nel ricorso di primo grado era pari ad euro 1.899.956,36 laddove l’Agenzia evidenzia che in applicazione dell’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 il valore è pari ad euro 556.000,00.
2. Preliminarmente deve evidenziarsi che l’eccezione formulata non può qualificarsi come nuova atteso che il giudice ben può, d’ufficio, individuare lo scaglione ai fini della determinazione delle spese da liquidare.
Deve a questo punto osservarsi che la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l'onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima.
Nella specie il ricorrente ha indicato le singole voci.
Laddove poi il ricorrente per cassazione che deduca la violazione dei minimi tariffari per aver omesso il giudice d'appello di specificare, pur in presenza della richiesta di riconoscimento di poste dettagliate, il sistema di calcolo e la tariffa adottati, deve indicare il valore della controversia rilevante ai fini dello scaglione applicabile, trattandosi di presupposto indispensabile per consentire l'apprezzamento della decisività della censura.
Il ricorrente ha effettivamente indicato il valore della causa ma ha errato nella sua determinazione atteso che l’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992 chiarisce che il valore della causa è dato dall’entità del tributo, oltre sanzioni ed interessi, ossia, nella specie 557.094,00 euro.
Premesso dunque che il valore della causa è stato indicato e ben potendo il giudice, comunque, procedere a determinarlo d’ufficio al momento della liquidazione delle spese, è superata l’eccezione formulata.
Sicché, sia che si consideri il valore della causa come erroneamente indicato dal contribuente sia che si consideri il valore come correttamente individuato in relazione all’art. 12 dall’Agenzia, il ricorso è, all’evidenza, fondato.
3. Il ricorso pone il problema della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo dell’art. 4, comma primo, D.M. 55/2014, come dapprima modificato dal D.M. 37/2018.
La disposizione disponeva che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all'80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento.
La questione è stata risolta da questa Corte con sentenza n. 9815/2023, il cui iter motivazionale integralmente si condivide e si fa proprio in questa sede.
L’art. 13, comma sesto, della l. n. 247 del 2012 rimette, com’è noto, ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l’aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d’intesa con in Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri “si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”.
La novellata previsione dell’art. 4, comma primo, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%.
Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020).
A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. 55/2014, questa Corte ha escluso che possa darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. 37/2018: non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso – o le spese processuali- e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.
La suddetta ratio legis è esplicitamente evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, n. 2703/2017 del 27 dicembre 2017, che aveva giudicato inadeguato, rispetto al dichiarato scopo di “limitare il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare, l’utilizzo di una formula normativa suscettibile di avallare “approdi interpretativi in merito all’applicazione della locuzione “di regola” anche alle riduzioni percentuali dei valori parametrici di base, mentre tale possibilità doveva più incisivamente essere limitata agli incrementi dei parametri e non alla riduzione”.
La previsione è quindi volta proprio a specificare “con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, e ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 13, comma 7 della legge n. 247 del 2012 prevede fra i criteri cui si deve attenere l’Amministrazione quello della “trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali”.
La previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi (articolo 101, paragrafo 1, TFUE): l’ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia (sentenza 19.2.2000, cause C-35/1999) ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge (ma la disciplina può comunque rivestire natura statale quando i membri dell'organizzazione di categoria siano esperti indipendenti dagli operatori economici interessati e siano tenuti dalla legge a fissare le tariffe prendendo in considerazione non solo gli interessi delle imprese o delle associazioni di imprese nel settore che li ha designati, ma anche l'interesse generale e gli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi: Corte di giustizia 427/2017; Corte di Giustizia UE 5.12.2006 C- 94/2004 e C- 202/2004; in tema di tariffe in settore dei trasporti: Corte di giustizia 9.9.2004 C-184/02 e C- 223/2002). Va evidenziato, al riguardo, che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all’esigenza di garantire la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. Tali parametri non appaiono discriminatori, avendo portata generale (ex art. 15, comma 2, lettera g) Direttiva 2006/123/CE; Corte di giustizia 4.7.2019 C- 377/2017) ed inoltre l’intervento normativo lascia impregiudicata la possibilità che le parti stabiliscano un compenso inferiore a quello risultante dalla massima riduzione prevista, per cui l’introduzione dei minimi finisce per incidere in misura non sproporzionata sulle dinamiche concorrenziali tra professionisti. I nuovi criteri rispondono inoltre all’interesse generale di introdurre una remunerazione minima in modo da non svilire la professione ed esigere anzi un livello della prestazione adeguato nell’interesse del cliente, secondo un principio ed esigenze comuni ad altri settori professionali (cfr. Corte di giustizia UE 4.7.2019 C-377/17, in tema di tariffe per gli architetti e gli ingegneri), assicurando standard di diligenza appropriati alla natura e al decoro delle attività svolte.
4. In assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può quindi scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile (Cass. n. 9815/2023; in questo senso altresì Cass. n. 11788 del 2023).
5. Il giudice di secondo grado è infatti sceso al di sotto dei minimi tariffari previsti per la causa, ne consegue l’accoglimento del ricorso con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, la quale determinerà altresì le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.