Svolgimento del processo
1. Con citazione dell’8 agosto 2013, L. P., A. P., V. P. e P. R. – premesso che il 7 febbraio 2007 il loro congiunto, V. P., (fratello dei primi tre e figlio della seconda) era deceduto in seguito ad un incidente stradale verificatosi in località (omissis); che, nell’occasione, l’autovettura condotta dalla vittima, mentre percorreva la Strada Provinciale 111, era ruotata di 180 gradi, finendo a ridosso della scarpata che costeggiava la corsia opposta a quella del suo senso di marcia; che, proprio nel momento in cui si era venuta a trovare su tale corsia, era stata investita dall’autoarticolato guidato da M. N., di proprietà della L. E. eredi V. N. di M. N. e C. s.n.c. (di seguito, brevemente, L. E. s.n.c.) e assicurato per la r.c.a. con la società C. di Assicurazione coop. a r.l., il quale viaggiava in direzione inversa; e che sussisteva la responsabilità del conducente e della società proprietaria dell’autoarticolato medesimo per i danni diretti e riflessi conseguiti alla morte di V. P. – convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, M. N., la L. E. s.n.c. e la società C. di Assicurazione, chiedendone la condanna al risarcimento.
Costituitisi i convenuti, istruita la causa mediante prova testimoniale e acquisizione di documenti (tra cui gli accertamenti compiuti dagli Ufficiali di PG nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di M. N., conclusosi con provvedimento di archiviazione per la riscontrata assenza della sua responsabilità), con sentenza n. 4206/2016, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ritenuta l’esclusiva responsabilità della vittima nella causazione del sinistro, rigettò la domanda e compensò le spese.
2. La decisione del Tribunale è stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di Napoli che, con sentenza 9 luglio 2020, n. 2529, nel contradittorio con la L. E. s.n.c. e la società C. di Assicurazione e nella contumacia di M. N., ha rigettato l’impugnazione proposta dagli attori.
3. Propongono ricorso per cassazione L. P., A. P. e V. P., anche in qualità di eredi di P. R. (deceduta nelle more), sulla base di sei motivi.
Risponde la società C. di Assicurazione con controricorso.
Resta intimata la L. E. eredi V. N. di M. N. e C. s.n.c..
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380-bis.1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Sia i ricorrenti che la controricorrente hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..
I ricorrenti premettono che la Corte d’appello, replicando il giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto il sinistro ascrivibile a colpa esclusiva della vittima, in ragione dello stato di ebbrezza in cui essa si trovava durante la guida, accertato all’esito di un esame alcolemico effettuato sul cadavere di V. P. dagli Ufficiali di Polizia Giudiziaria, su delega del pubblico ministero, in forma di accertamento tecnico irripetibile ex art. 360 cod. proc. pen., nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di M. N.; accertamento da cui era risultato un tasso alcolemico di 1,54 grammi/litro.
Ciò premesso, i ricorrenti deducono che con l’atto di appello avevano contestato sotto vari aspetti la valenza probatoria di tale accertamento, osservando, in particolare, che, essendo stato compiuto sette giorni dopo l’incidente mortale, in data 14 febbraio 2007, esso avrebbe necessariamente espresso un grado di alcolemia maggiore di quello effettivamente esistente al momento del decesso, a causa della neoproduzione di alcol etilico determinata dal processo di decomposizione del cadavere.
A questa specifica doglianza, la Corte di merito, pur affermando la legittimità e l’utilizzabilità formale, nonché l’efficacia probatoria sostanziale dell’accertamento alcolemico effettuato, non aveva specificamente risposto, così pronuncia.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.1.a. In primo luogo, non si profila alcuna omessa pronuncia sulla specifica doglianza sopra illustrata, in quanto la generale censura sull’utilizzabilità formale e sulla inferenza probatoria sostanziale dell’accertamento tecnico irripetibile svolto in sede penale è stata adeguatamente scrutinata dal giudice d’appello, sicché la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico dedotto con il motivo di ricorso in esame, quand’anche fosse sussistita, non avrebbe integrato omessa pronuncia ma implicito rigetto della doglianza. Tale formale omissione, peraltro, non potrebbe in ogni caso reputarsi sussistente poiché la specifica doglianza in discorso, quand’anche effettivamente formulata con l’atto di gravame, si sarebbe infranta sull’accertamento contenuto a p.6 della sentenza d’appello, ove si è rilevato che l’esame alcolemico era stato effettuato in data 8 febbraio 2007, dunque il giorno successivo a quello del decesso. Ove tale indicazione – che la Corte di merito ha rilevato come emergente dagli atti di causa – fosse stata il frutto di un errore di percezione, i ricorrenti avrebbero dovuto censurare tale errore con il rimedio revocatorio.
1.1.b. Al di là di ciò, va poi rilevato che, ad onta della formale intestazione, il motivo in esame attiene, nella sostanza, a profili di fatto e tende a suscitare dalla Corte di legittimità una ricostruzione delle circostanze e una valutazione delle risultanze istruttorie alternativi a quelli compiuti dal giudice del merito e ad essi incensurabilmente riservati.
La finalità della censura formulata dai ricorrenti è infatti convincere il giudicante che il tasso alcolemico al momento della morte di V. P. era minore di quello rilevato dalla PG e si collocava nell’intervallo tra 0,5 e 1.00 grammi/litro, gradi che «provocano euforia, ma non la perdita di autocontrollo» (p.9 del ricorso).
In tal modo, però, viene indebitamente censurato il motivato accertamento di fatto operato dalla Corte di merito, la quale, sulla base di corrette premesse in iure, ha attribuito piena inferenza probatoria all’accertamento tecnico eseguito nel procedimento penale irripetibile quale prova atipica pienamente utilizzabile nel processo civile, ritenendo dunque accertato il tasso alcolemico di V. P., al momento della guida, nella rilevante misura di 1,54 grammi/litro.
Deve poi anche aggiungersi che il giudizio, pure esso di merito (e, come tale, incensurabile in sede di legittimità) sulla colpa esclusiva del conducente non è stato desunto dal giudice d’appello soltanto dall’accertamento della circostanza che esso guidava in stato di ebbrezza, ma anche da altre circostanze parimenti accertate, quali la dinamica del sinistro (sbandamento con invasione in testacoda dell’opposta corsia di marcia) e le condizioni di guida (provenienza da curva a sinistra su manto stradale reso viscido dalla pioggia).
Nel formulare l’inammissibile censura in esame i ricorrenti hanno dunque omesso di considerare che la ricostruzione delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione (tra le quali rientra l’accertamento della colpa dell’autore o della vittima di un illecito e il carattere esclusivo o concorrente di tale elemento), unitamente all’apprezzamento delle risultanze istruttorie funzionali a tale ricostruzione, sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
2. Anche con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..
Sempre muovendo dalla premessa che la Corte d’appello, replicando il giudizio espresso dal Tribunale, ha ritenuto il sinistro ascrivibile a colpa esclusiva della vittima, escludendo quella del conducente dell’autocarro, i ricorrenti si dolgono che essa non abbia pronunciato sul motivo di gravame con cui avevano dedotto che, se l’autocarro guidato da M. N. avesse viaggiato ad una velocità rispettosa del previsto limite di 30 km orari, avrebbe potuto arrestare tempestivamente la marcia evitando l’impatto, o comunque avrebbe urtato più lievemente l’autovettura condotta da V. P., causando danni meno gravi e senza conseguenze letali.
I ricorrenti reputano che la Corte d’appello abbia risposto soltanto al primo dei due rilievi compiuti con l’illustrato motivo d’appello, non anche al secondo, poiché si sarebbe limitata ad escludere la possibilità che il conducente del veicolo pesante avrebbe potuto evitare l’impatto, senza considerare la diversa possibilità che avrebbe potuto cagionare pregiudizi meno rilevanti.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, per ragioni sovrapponibili a quelle evidenziate nell’esame del motivo precedente.
2.1.a. Ben vero, infatti, non sussiste l’ipotizzata omissione di pronuncia, avendo debitamente la Corte di merito proceduto all’accertamento della condotta tenuta dal conducente dell’autocarro sotto il profilo oggettivo e soggettivo (accertamento necessario in funzione della esclusione della presunzione di pari responsabilità ex art.2054 cod. civ., come si vedrà, infra) ed avendo ritenuto che la marginale violazione del limite di velocità da parte del guidatore dell’autocarro non avesse avuto alcuna incidenza causale nella produzione dell’evento lesivo, che restava ascrivibile in via esclusiva alla condotta colposa della vittima.
Precisamente, la Corte territoriale, premesso che l’autocarro viaggiava a 44 km orari, ha espressamente affermato che – avuto riguardo alla circostanza che esso si era trovato improvvisamente dinanzi un «ostacolo imprevedibile» (p.9 della sentenza impugnata), rappresentato dall’autovettura che immediatamente prima del suo passaggio aveva invaso la sua corsia di marcia – una velocità inferiore di soli 10 km non solo non avrebbe evitato l’impatto ma neppure «ne avrebbe attenuato le conseguenze», né avrebbe «in ogni caso scongiurato l’esito letale dell’urto» (p.10, primo capoverso).
2.1.b. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte di merito ha dunque risposto in pieno alla specifica doglianza sull’efficienza causale della violazione compiuta dal conducente dell’autocarro formulata con l’atto di appello, sicché anche il motivo di ricorso in esame, lungi dal prospettare una effettiva violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, indulge inammissibilmente alla censura di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, da esso motivatamente operato e, dunque, incensurabile in sede di legittimità.
Anche il secondo motivo va dichiarato, pertanto, inammissibile.
3. Con il terzo motivo viene denunciato, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo e discusso.
I ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello non avrebbe considerato tre fatti decisivi, rappresentati dal giudizio espresso dal consulente tecnico nominato dal pubblico ministero nell’ambito del procedimento penale, dalla circostanza che l’autocarro aveva lasciato al suolo tracce di frenata estese per sette metri e dai dati relativi agli effetti della velocità di un veicolo sull’estensione del suo spazio di frenata emergenti dalle tabelle di frenatura redatte dall’ACI ed allegate a sostegno dell’appello.
3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Da, un lato, va ricordato che il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi della norma appena citata, deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass.. Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761), sicché non costituisce omissione censurabile, ai sensi della norma richiamata, l’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Dall’altro lato – e soprattutto – non può sottacersi che, in applicazione della regola di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (ma la disposizione ha trovato continuità normativa nel nuovo art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022), va esclusa la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. “dopP. conforme”); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. “dopP. conforme” in facto, sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994).
Nella fattispecie, non solo il detto onere non è stato assolto, ma i ricorrenti hanno specificamente evidenziato che le due pronunce di merito hanno trovato fondamento nel comune apprezzamento della colpa esclusiva della vittima e dell’esclusiva efficienza causale della sua condotta nella produzione dell’evento dannoso.
Giova comunque evidenziare che le omissioni ipotizzate neppure sussistono, poiché il giudice d’appello ha preso in esame sia la circostanza relativa alla lunghezza delle tracce di frenata sia la deduzione istruttoria sui dati tecnici risultanti dalle tracce di frenatura.
Anche il terzo motivo, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.
4. Con il quarto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 (recte: n.4) cod. proc. civ., «nullità della sentenza per irrazionalità manifesta. Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.».
Viene censurata, in quanto «tautologica» e «profondamente irrazionale», l’argomentazione della sentenza d’appello secondo cui una velocità rispettosa del limite esistente da parte del conducente dell’autoarticolato non avrebbe attenuato le conseguenze dell’urto.
4.1. Anche il quarto motivo è manifestamente inammissibile.
Deve al riguardo ricordarsi che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità attiene all’esistenza in sé della motivazione e alla sua coerenza, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto
dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n.4 cod. proc. civ., la cui violazione – deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. – sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
Nel caso di specie, queste gravi lacune motivazionali non solo non esistono (avendo la Corte di merito agganciato l’apprezzamento della neutralità causale della condotta di M. N. al dato oggettivo che egli viaggiava ad una velocità di poco superiore al limite esistente e si era trovato improvvisamente dinanzi sulla propria corsia di marcia l’ostacolo imprevedibile costituito dalla vettura di V. P.), ma non sono state neppure debitamente contestate dai ricorrenti.
Anche il quarto motivo va dunque dichiarato inammissibile.
5. Con il quinto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2054, secondo comma, cod. civ..
I ricorrenti osservano che per vincere la presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054, secondo comma, cod. civ., non sarebbe sufficiente la mancanza di prova di condotte scorrette ma sarebbe necessaria la prova positiva di avere tenuto una condotta di guida rispettosa delle norme del codice della strada e di quelle di comune prudenza.
Sostengono che, nel caso di specie, questo principio sarebbe stato disatteso poiché la Corte d’appello avrebbe attribuito al conducente dell’autovettura la responsabilità esclusiva dello scontro tra i due veicoli, sebbene, da un lato, non disponesse di elementi certi per ricostruire la dinamica del sinistro, mentre, dall’altro lato, disponesse di elementi certi che imponevano di affermare la colpa concorrente dell’altro conducente.
5.1. Il quinto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.
È, infatti, consolidato, l’orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di responsabilità da sinistro stradale con scontro di veicoli, l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti libera l'altro dalla presunzione della concorrente responsabilità di cui all'art. 2054, secondo comma, cod. civ. nonché dall'onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno; la prova liberatoria per il superamento di detta presunzione di colpa non deve necessariamente essere fornita in modo diretto - e cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell'incidente - ma può anche indirettamente risultare tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo dell'evento dannoso con il comportamento dell'altro conducente (cfr. già Cass. n. 23/08/1990, n.8622; Cass. 11/05/1999, n. 4648; Cass. 10/03/2006, n. 5226; Cass. 22/04/2009, n.9550).
In altre parole, nel caso di scontro tra veicoli, la prova liberatoria per il superamento della presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, secondo comma, cod. civ., si ha non solo nel caso di accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell'altro, che viene quindi liberato dalla detta presunzione, nonché dall'onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno; ma può essere acquisita anche indirettamente, tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente (Cass.21/05/2019, n.13672; Cass. 11/03/2021, n. 6941).
Nel caso di specie, sulla base di un motivato e incensurabile apprezzamento di merito, la Corte d’appello ha accertato il collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento di danno con il comportamento colposo del conducente dell’autovettura, mentre, per contro, ha ritenuto causalmente irrilevante la pur riscontrata marginale violazione del limite di velocità da parte del conducente dell’autoarticolato.
La presunzione di concorrente responsabilità di cui all’art. 2054, secondo comma, cod. civ. è stata dunque ritenuta superata sulla base di un accertamento di fatto fondato su corrette premesse in iure, riconducibili ad un principio di diritto affermato con orientamento risalente e mai smentito di questa Corte, donde l’inammissibilità, ex art. 360-bis n. 1 cod. proc. civ., del motivo di ricorso in esame.
6. Con il sesto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 4 del d.m. 10 marzo 2014 n. 55.
I ricorrenti premettono che nel giudizio d’appello, rimasto contumace il conducente dell’autoarticolato M. N., si erano invece costituite in giudizio la L. E. s.n.c. e la società C. di Assicurazione; esse erano difese dal medesimo difensore, il quale aveva depositato due comparse di costituzione e risposta di identico contenuto e di pari estensione; il deposito di tali identiche comparse aveva costituito l’unica attività difensiva svolta nel secondo grado di giudizio dal difensore delle due parti appellate, che non aveva depositato scritti conclusionali.
Ciò premesso, i ricorrenti censurano la statuizione con cui la Corte d’appello li ha condannati al rimborso integrale sia delle spese sostenute dalla L. E. s.n.c. sia delle spese sostenute dalla Società C. di Assicurazione e al pagamento di due distinti compensi al medesimo difensore, liquidandoli – previa riconduzione della controversia allo scaglione delle cause di valore indeterminabile con complessità media – nella misura di Euro 4.771,10, (oltre spese forfetarie e accessori) per ciascuna delle parti appellate.
Sostengono che, anziché effettuare due integrali liquidazioni, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che, nella sostanza, il difensore delle parti V.se aveva redatto un unico atto, così escludendo di addossare a quelle soccombenti spese eccessive o superflue, in conformità al disposto dell’art. 92, primo comma, cod. proc. civ..
Deducono, inoltre, che le parti appellate costituite condividevano la posizione di “soggetti aventi la stessa posizione processuale” difesi dallo stesso avvocato, sicché avrebbe dovuto liquidarsi un compenso unico che avrebbe potuto (non dovuto) essere eventualmente aumentato nella misura del 30%, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014, applicabile ratione temporis.
6.1. Il motivo è fondato.
6.1.a. Non sono controversi né la riconducibilità del valore della causa, ai fini delle spese, allo scaglione delle controversie di valore indeterminato, né la circostanza che nel giudizio d’appello le società appellate costituite erano state difese da un unico avvocato che aveva sibbene depositato due comparse di risposta, ma di identico contenuto.
Pertanto, in ragione dell’esigenza di evitare la ripetizione di spese eccessive o superflue (art.92, primo comma, cod. proc. civ.), la fattispecie va assimilata, ai fini della disciplina delle spese, a quella di deposito di un unico atto per le diverse parti difese.
6.1.b. Ciò posto – e ricordato altresì che le domande proposte da un solo attore contro più convenuti (ad es., nel caso di debitori solidali: litisconsorzio facoltativo passivo) non si sommano tra loro ai fini della determinazione del valore (Cass. 27/11/1975, n. 3968) -, le variazioni in aumento o in diminuzione nell’ipotesi di assistenza di più soggetti da parte del medesimo avvocato sono stabilite dall’art. 4, commi 2 e 4, del d.m. 10 marzo 2014 n. 55 (in tema, cfr. Cass. 17/04/2024, n. 10367).
L’art. 4, comma 2, d.m. 55/2014 prevede la regola del “compenso unico” (sulla cui estensione cfr. Cass. 31/01/2024, n. 2956), ovverosia la regola per cui l’onorario dovuto all’avvocato, il quale ha difeso più parti “aventi la stessa posizione processuale”, va liquidato una sola volta, come se avesse difeso una sola parte, e poi maggiorato di una certa misura percentuale per ciascuna parte assistita, fino ad un massimo di trenta.
L’ art. 4, comma 4, d.m. 55/2014 stabilisce un temperamento alla regola per cui il “compenso unico” va maggiorato in proporzione al numero delle parti assistite, prevedendo che il compenso “altrimenti liquidabile” all’avvocato che ha assistito più parti debba ridursi fino al 30% se l’adempimento del mandato difensivo non ha comportato “l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto”.
6.1.c. Va dunque chiarito, anzitutto, cosa debba intendersi per “parti aventi la stessa posizione processuale”; in secondo luogo se l’aumento per l’assistenza di più parti sia un obbligo od una facoltà per il giudice; infine, a quali condizioni e con quali modalità operi concretamente la riduzione di cui all’art. 4, comma 4, d.m. 55/2014.
6.1.c.1. Per “parti aventi la stessa posizione processuale” debbono intendersi coloro che siano accomunati dalla posizione di attore, di convenuto o di interventore: da un lato infatti, dalla lettura del comma 4 dell’art.4, si desume, a contrario, che l’identità di posizione processuale non coincide con l’identità di questioni da esaminare e decidere; dall’altro lato, neppure può farsi coincidere la detta “identità” con l’identità di petitum e di causa petendi, poiché, secondando tale opinione, l’identità di “posizione processuale” finirebbe per coincidere con l’identità di domanda, facendo perdere senso al disposto dello stesso comma 4.
6.1.c.2. L’aumento previsto dall’art. 4, comma 2, d.m. 55/2014 nel caso di assistenza di più parti deve applicarsi obbligatoriamente a tutte le prestazioni professionali completate dopo il 23 ottobre 2023, in virtù del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lett. b), 6 e 7 d.m. 13 agosto 2022, n. 147.
Per le prestazioni professionali completate prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo decreto (avvenuta per l’appunto il 23 ottobre 2023), invece, l’aumento poteva applicarsi “di regola”, e dunque in base alle circostanze del caso.
La circostanza che la “regola” fosse quella dell’aumento, e l’eccezione quella della misura standard, induce a ritenere che, mentre il giudice, il quale avesse applicato l’aumento, non avrebbe avuto alcun obbligo di motivare la propria decisione, la scelta di non applicare l’aumento imponeva al giudice l’obbligo di indicare le ragioni per cui aveva inteso derogare alla regola generale.
6.1.c.3. Ai sensi del comma 4 dell’art. 2 del d.m. n.55 del 2014, infine, va applicata la riduzione del 30% solo quando la coincidenza tra le posizioni delle parti assistite dal medesimo difensore sia totale, posto che il compenso non va ridotto se l’avvocato, pur difendendo soggetti aventi l’identica posizione processuale, abbia dovuto esaminare “specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto” (Cass.17/04/2024, n. 10367, cit.).
6.1.d. Avuto riguardo alle regole appena enunciate, nella fattispecie in esame il giudice d’appello avrebbe dovuto:
a) tenendo conto che la L. E. s.n.c. e la società C. di assicurazione condividevano l’identica posizione processuale, in quanto accomunate dalla posizione di convenute-appellate, individuare la misura del compenso standard liquidabile per una sola parte; b) applicare la maggiorazione del 30%, ex art. 4, comma 2, d.m. n. 55 del 2014, motivando espressamente l’eventuale scelta di non applicarla; c) nell’individuazione della misura del compenso standard su cui applicare la maggiorazione, ai sensi dell’art.4, comma 4, tenere conto della “non coincidenza” tra le posizioni dei due soggetti, pur obbligati in solido alla prestazione risarcitoria, ma l’uno tenuto rispondere in quanto responsabile dell’illecito aquilano, l’altro in forza del contratto di assicurazione; pertanto, il compenso standard su cui applicare la maggiorazione prevista dall’art. 4, comma 2, d.m. 55/14 sarebbe dovuto corrispondere a quello che si sarebbe dovuto liquidare per una sola parte, senza la riduzione del 30% di cui al comma 4 del medesimo decreto ministeriale.
6.1.e. In accoglimento del sesto motivo di ricorso, la sentenza d’appello va cassata in relazione ad esso.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può statuire nel merito circa la liquidazione delle spese del grado di appello.
Al riguardo, determinato il compenso standard nella misura di Euro 6.491,00 (pari al compenso minimo per le cause di valore indeterminabile con complessità media, secondo le tabelle ratione temporis applicabili ed essendo sempre dovuto il compenso per la fase di trattazione: Cass. n. 8561 del 27/03/2023 ), disposto l’aumento del 30%, ex art.4, comma 2, d.m.n. 55 del 2014 (pari ad Euro 1947,30), l’importo delle spese dovute dagli appellanti alle società appellate costituite ed oggetto di distrazione in favore del loro difensore, dichiaratosi antistatario, va liquidato nella somma di Euro 8.438,30 per compensi, oltre alle spese forfetarie in misura del 15% e agli accessori di legge.
7. L’esito del giudizio di legittimità giustifica l’integrale compensazione delle relative spese.
8. Ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 196 del 2003, va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei ricorrenti e delle altre persone in esso menzionate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio d’appello dovute dai ricorrenti (già appellanti) alle appellate costituite, L. E. s.n.c. e Società C. di Assicurazione soc. coop. a r.l., ed oggetto di distrazione in favore del loro difensore, dichiaratosi antistatario, in complessivi Euro 8.438,30 per compensi, oltre le spese forfetarie in misura del 15% e gli accessori di legge.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei ricorrenti e delle altre persone fisiche in esso menzionate.